Questo articolo fa parte del canale tematico The Social and Governance Observer, in collaborazione con Trentino Sviluppo. Iscriviti alla newsletter su LinkedIn

Se la parità di genere è un tema ormai centrale nel dibattito pubblico, che occupa quotidianamente i canali di informazione, rimane però ancora una certa confusione sulle reali implicazioni di questo concetto, che spesso viene visto in modo astratto.

“Si tratta invece di un percorso concreto e graduale, sostenuto da dati chiari e comparabili, che può accompagnare l’azienda verso un miglioramento costante e una crescita realmente sostenibile. Non un mero adempimento formale, ma un vero vantaggio competitivo”, spiega a Materia Rinnovabile Bianca Meglioranzi, professionista nella function di Sustainability & Emerging Assurance di Deloitte & Touche SpA e auditor interno per la Certificazione PdR 125:2022.

Differenza tra parità formale e sostanziale

Innanzitutto, bisogna distinguere tra parità formale e sostanziale. “La prima assicura l’uguaglianza 'su carta', cioè garantisce l’equità uomo-donna a livello legislativo: è innegabile come i nostri costituenti abbiano dato espressione in vari articoli della Costituzione alle istanze sociali in tema di pari diritti e opportunità”, continua Meglioranzi.

Nei fatti, però, stigmi e stereotipi continuano a influenzare la vita delle donne, all’interno della sfera privata e lavorativa: da giovani, a causa della potenzialità riproduttiva; in età adulta, per il peso delle responsabilità domestiche; in età più avanzata, per l'autonomia limitata. “La parità sostanziale presuppone una piena equità e non ammette la persistenza di ostacoli di natura sociale, culturale ed economica, che penalizzano prevalentemente le donne. Per assicurarla, è essenziale identificare e rimuovere questi impedimenti obsoleti e le varie ipotesi pregiudiziali che li alimentano.”

Il lavoro invisibile delle donne

Secondo l’International Labour Organization (ILO) nel 2023 il 45% delle donne è stato escluso dal mercato del lavoro retribuito a livello globale proprio a causa del “lavoro invisibile”, ovvero quel compito di cura e gestione famigliare operato tipicamente in ambito casalingo e privato, e di conseguenza non retribuito. “In Italia questa dinamica è andata rafforzandosi sia a causa di un limitato investimento di ampio respiro in ambito di welfare nazionale, sia per un'ideologia della domesticità, erede di stereotipi culturali e modelli storici, che ha influenzato l’organizzazione del mercato del lavoro, contribuendo nel corso del Novecento a consolidare la segregazione occupazionale di genere”, racconta Meglioranzi.

Guardando allo scenario internazionale, un ottimo esempio di come correggere la rotta arriva dal Messico, dove nel 2024 la presidente Claudia Sheinbaum ha introdotto la Pensión Mujeres Bienestar. “Una pensione di sussistenza per tutte le donne dai 60 anni in su, senza altri requisiti necessari, se non l’età minima e la cittadinanza messicana”, spiega Meglioranzi. “Riconoscendo il valore economico e sociale del lavoro casalingo, si favorisce l’indipendenza economica femminile, anche in età più avanzata, contrastando la precarietà.”

Governance aziendale e parità di genere

Nel nostro paese, di fronte a ostacoli alla parità sostanziale così radicati, il mercato del lavoro e il tessuto economico rappresentano un terreno cruciale di intervento. “Qui entrano in gioco politiche come la Certificazione UNI PdR 125:2022, promossa per aiutare le aziende a trasformare la parità di genere in pratiche concrete, applicabili nella quotidianità lavorativa”, prosegue Bianca Meglioranzi. Emanata dall’Ente italiano di normazione il 16 marzo 2022, questa normativa mette a disposizione delle organizzazioni le linee guida per l’adozione di un sistema di gestione interno per la parità di genere, inserendosi nel quadro delle misure per le pari opportunità previste dal Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR), Missione 5 Inclusione e coesione, ma anche nel quadro più ampio dell’Agenda 2030 dell'ONU, Obiettivo 5 Parità di genere.

“La certificazione, di natura volontaria, mira a favorire una maggiore equità tra uomini e donne nel contesto lavorativo, ma anche a incrementare la competitività delle aziende, che possono distinguersi grazie a comportamenti virtuosi nei confronti del personale. Si rivolge a tutte le organizzazioni a prescindere da dimensione, forma giuridica e settore, garantendo addirittura procedure semplificate per le aziende più piccole”.

Effetti su performance aziendali e PIL

La UNI PdR 125:2022 non si limita a proteggere i diritti delle donne: invita le imprese a valorizzarle, integrandole nelle strategie di governance, nei processi decisionali e nei ruoli manageriali. E non è solo questione di giustizia sociale: come attestano vari studi, “le imprese italiane con un personale più equilibrato a livello di genere risultano più produttive, mostrando migliori performance organizzative e maggiore innovazione, grazie a network più ampi. Hanno anche una comunicazione più partecipativa e una migliore reputazione aziendale, processi decisionali più robusti, migliori dinamiche di gruppo e maggiore comprensione dei mercati. Infine, sviluppano modelli di governance più inclusivi e sostenibili”, aggiunge Meglioranzi.

Secondo l’ILO, il 74% delle aziende che adottano politiche per la diversità di genere registra un aumento degli utili tra il 5% e il 20%. A livello globale colmare il divario di genere potrebbe portare a un aumento del PIL fino all’8% nei mercati emergenti, mentre la completa chiusura del gap nel mondo potrebbe tradursi in una crescita media del 23% per tutti i paesi, come emerge dal report sull’empowerment femminile realizzato da Deloitte insieme a UN Women Italy e Winning Women Institute.

Le aziende a conduzione famigliare

In Italia uno dei primi e più importanti passi è stata la Legge Golfo-Mosca, che nel 2011 ha introdotto le quote di genere nei consigli di amministrazione delle società quotate e a partecipazione pubblica.

“I risultati sono evidenti: nel 2023 le donne rappresentavano il 43% dei CDA delle aziende quotate [dati Consob, nda]”, sottolinea Meglioranzi. “In molte aziende a gestione famigliare, tuttavia, la presenza femminile nel top management dipende ancora da legami parentali più che dal merito, con benefici conseguentemente limitati. La vera sfida oggi è superare la logica del 'riempire una quota' e scegliere le persone meritocraticamente, sulla base delle competenze reali, considerato anche il tasso, costantemente in crescita, delle donne con un alto livello di istruzione.”

Una crescita reale e misurabile

Se la parità di genere sta diventando un concetto meno astratto e molto più concreto, come misurarla? “La UNI PdR 125:2022 definisce numerosi Key Performance Indicators (KPI), di tipo quali-quantitativo, suddivisi in sei aree: cultura e strategia, processi HR, opportunità di crescita, equità retributiva, tutela della genitorialità, conciliazione vita-lavoro”, spiega Meglioranzi. Questi indicatori fotografano la situazione aziendale, ma fungono anche da linee guida per un reale processo di miglioramento continuo.

“La loro forza risiede nella capacità intrinseca di rendere chiare e confrontabili informazioni e pratiche che spesso, nella quotidianità aziendale e negli studi macroeconomici, rimangono in ombra o risultano difficili da valorizzare, dalla presenza femminile nei ruoli manageriali al gender pay gap, dall’utilizzo di misure di flessibilità fino ai rientri dopo il congedo parentale. La certificazione aiuta proprio a dare forma, metodo e concretezza a queste dimensioni.”

I KPI variano in base alle dimensioni delle aziende, suddivisibili in quattro fasce in base al numero di dipendenti: micro, piccole, medie e grandi. “Alle realtà più piccole è richiesto di soddisfare un numero inferiore di KPI, così da calibrare lo sforzo. Inoltre, come baseline per il KPI, viene considerato anche il codice ATECO dell’impresa, in modo da riconoscere le differenze intrinseche tra i diversi settori”, spiega Meglioranzi.

“Per misurare davvero la parità di genere all’interno delle organizzazioni non basta più contare banalmente ‘quante donne ci sono’: serve interrogarsi e andare oltre i grezzi numeri, capire approfonditamente le condizioni lavorative specifiche delle donne, quali opportunità ricevono, quanto vengono pagate rispetto agli uomini, quali sono le loro effettive possibilità di carriera.”

Oltre alla misurazione dei KPI, la UNI PdR 125:2022 prevede la creazione di un sistema di gestione strutturato, sostenuto da audit periodici. “Non un controllo fine a sé stesso, ma uno strumento utile alle imprese per monitorare con continuità i risultati, verificare i progressi e rendere tangibili gli impegni assunti in ambito di Diversity & Inclusion.”

Parità di genere e standard ESG

In questo percorso la Certificazione per la parità di genere si integra perfettamente con gli standard di rendicontazione ESG (Environmental, Social, Governance), dalla Global Reporting Initiative (GRI), che offre strumenti operativi e concreti in ambito sociale, agli European Sustainability Reporting Standards (ESRS), che garantiscono trasparenza e responsabilità nella comunicazione dei risultati di sostenibilità.

“I KPI della UNI PdR 125:2022 diventano così un ponte operativo tra le politiche di parità e la reportistica di sostenibilità, fornendo un supporto prezioso per una disclosure più solida e aumentando la credibilità dell’azienda verso investitori, dipendenti e stakeholder”, aggiunge Meglioranzi. Infine, la Certificazione UNI PdR 125:2022 offre ulteriori vantaggi economici alle aziende: “In termini di sgravi fiscali, dà diritto a un esonero parziale del versamento dei contributi previdenziali dei lavoratori, fino a €50.000. Inoltre, offre punteggi bonus sulle proposte progettuali in sede di richiesta di fondi e criteri premiali nelle gare pubbliche, come stabilito all’interno del nuovo Codice degli appalti”.

Nonostante la parità di genere sostanziale non sia ancora stata raggiunta, insomma, negli ultimi anni “abbiamo assistito a un’importante crescita nel numero e nella gamma di strumenti, politiche e normative pensate per avvicinarci sempre di più a questo obiettivo”, conclude Bianca Meglioranzi. “Le azioni messe in campo, sia a livello europeo che italiano, contribuiscono anche a costruire una cultura che riconosce e valorizza consapevolmente la diversità in tutte le sue dimensioni. Proseguire in questa direzione, con resilienza e continuità, è essenziale per sostenere un cambiamento sociale che sia reale, duraturo e inclusivo.”

 

In copertina: immagine Envato