Le batterie agli ioni di litio stanno dominando il mercato delle tecnologie di accumulo energetico, ma hanno un problema: contengono materie prime critiche come cobalto, grafite e nichel. Questi minerali sono considerati critici dall’Unione Europea perché la loro quantità sulla Terra è tutt’altro che abbondante e il loro approvvigionamento è spesso messo a rischio da fattori geopolitici esterni, capaci di influenzare il mercato dei prezzi e l’intera catena del valore.
Batterie al litio o batterie al sodio: su cosa puntare?
Diversi centri di ricerca italiani da tempo stanno sondando e testando soluzioni alternative, in alcuni casi più circolari, alle batterie agli ioni di litio, che possano diversificare i materiali per l’accumulo elettrochimico. La più promettente e più pronta, per ora, sembra la tecnologia agli ioni di sodio. Una chimica che, nonostante non sia ancora stata sperimentata su scala industriale, offre prestazioni di accumulo energetico simili a quelle delle batterie al litio.
“Le batterie agli ioni di sodio funzionano praticamente nella stessa maniera ma con il vantaggio di impiegare materiali non critici. A partire dal sodio, che diversamente dal litio è un elemento abbondante in natura”, spiega a Materia Rinnovabile Omar Perego, project manager del dipartimento Tecnologie di generazione e materiali di RSE, Ricerca sul sistema energetico. Secondo Perego, che abbiamo intervistato in occasione dell’evento Materiali per l’accumulo elettrochimico nelle batterie a ioni-sodio organizzato da RSE, il sodio si potrebbe teoricamente estrarre dal sale dell’acqua di mare, ma deve raggiungere una certa purezza (battery grade) per far sì che la batteria sia performante.
Secondo uno studio della svedese Chalmers University of Technology, le batterie al sodio per ora non porteranno grandi benefici ambientali, ma rispetto alle ioni-litio possono contare su elementi molto più abbondanti sulla Terra. Il sodio, infatti, costituendo il 2,8% della crosta terrestre, è il sesto elemento più presente sul nostro Pianeta.
L’Hard Carbon circolare ma energivoro
L’impatto ambientale delle batterie agli ioni di sodio si potrebbe ridurre con l’utilizzo dell’hard carbon, elemento carbonioso che sostituirebbe come anodo la grafite, una materia prima critica. L’hard carbon si può ottenere da biomassa e scarti di lavorazione tramite pirolisi, che però è un processo termochimico lungo ed energivoro. “Si tratta di una sintesi che ha bisogno di tempo e molta energia”, commenta Perego. “L’industria deve quindi valutare se il gioco vale la candela, anche da un punto di vista economico.”
Toccherà quindi alle aziende scegliere l’anodo meno impattante. Estrarre la grafite dalle miniere o puntare sull’hard carbon da materiale organico facendo attenzione ai consumi energetici della pirolisi? I costi giocheranno un ruolo rilevante.
Le applicazioni delle batterie al sodio
Oggi è la Cina a dominare il mercato delle batterie agli ioni di sodio, spesso utilizzando l’hard carbon come anodo. Destinate prevalentemente alle case automobilistiche, le batterie cinesi sembrano già più economiche (30%-40%) rispetto a quelle al litio. Alcuni analisti valutano le batterie agli ioni di sodio una tecnologia promettente e già pronta, per competere con le formule elettrochimiche dominanti che ruotano attorno al litio (litio ferro fosfato, litio nichel manganese cobalto). Ad oggi lo stoccaggio di energia stazionario per eolico e solare è considerato l’ambito d’utilizzo più adatto, ma, come sta accadendo in Cina, le batterie al sodio mostrano grandi potenzialità anche nella mobilità.
Secondo Margherita Moreno, ricercatrice dell’Agenzia nazionale per le nuove tecnologie (ENEA), diversificare gli approvvigionamenti per produrre le batterie sarà sempre più essenziale: “Puntare su un solo cavallo non ha senso. Ogni tipo di batteria avrà un suo grado di sostenibilità che anche a seconda dei costi potrà permettere alle aziende di scegliere.”