Tra le opportunità offerte dalla mobilità elettrica c’è la possibilità di usare le batterie delle auto per restituire energia alla rete nazionale, sfruttando il Vehicle-to-Grid (V2G), un meccanismo di ricarica bidirezionale, che promette benefici energetici, ambientali ed economici. Ma quanto siamo vicini alla sua reale diffusione?

“Se da un lato l’Italia ha già compiuto parecchia strada lungo il percorso dell’integrazione rete-veicolo, grazie a innovazioni tecnologiche e normative già introdotte, nonché a progetti pilota e sperimentazioni in corso, dall’altro ci vorrà ancora tempo per raggiungere la fase di maturità”, spiega Emanuele Regalini, referente per la supervisione delle attività in materia di decarbonizzazione dei consumi e mobilità elettrica di ARERA, l’Autorità di regolazione per energia, reti e ambiente.

Cos’è il Vehicle to Grid, il veicolo come storage domestico

Innanzitutto qualche distinzione. “Sotto il cappello di ricarica bidirezionale rientrano diverse tecnologie, accomunate dal fatto che l’energia contenuta nella batteria di un veicolo elettrico può essere scaricata, seguendo il flusso opposto rispetto alla normale ricarica.”

Il Vehicle-to-Load (V2L), per esempio, consente attraverso l’auto di alimentare via cavo altri dispositivi, per esempio un barbecue in giardino, agendo essenzialmente come fonte di alimentazione mobile. “Una soluzione, questa, che a livello di sistema nazionale non ha impatto: si tratta più che altro di una funzionalità accessoria.”

Un’altra possibilità, più efficace, è il Vehicle-to-Home (V2H): la batteria dell’auto viene usata come batteria di accumulo per un’abitazione, o comunque per un edificio (si parla allora di Vehicle-to-Building, o V2B). “Le batterie installate in casa per l’accumulo di energia prodotta da fonti rinnovabili hanno tipicamente una capacità intorno ai 10 kWh, mentre quelle dei veicoli elettrici partono da circa 40 kWh, nel caso di un’utilitaria, per arrivare in media a 60-70 kWh, o anche a 100 kWh, se consideriamo i modelli top di gamma”, sottolinea Regalini. “Le batterie delle auto, quindi, sono in generale più capienti e non richiedono investimenti dedicati.”

C’è ancora da attendere, però, prima che questa applicazione si diffonda. “Non esistono problemi legislativi-regolatori per l’applicazione di questo approccio, ma le wallbox domestiche bidirezionali praticamente non esistono sul mercato o le pochissime esistenti sui mercati esteri hanno prezzi proibitivi, intorno ai 5.000-7.000 dollari. Un investimento iniziale non ripagabile neanche lontanamente con i benefici economici ottenibili anche con offerte a prezzi dinamici. Inoltre, al momento solo uno o due venditori italiani propongono alle famiglie offerte basate su prezzi orari, facendoli anche ‘pagare cari’, cioè applicando quote fisse ben più alte della media di mercato.”

Vehicle-to-Grid (V2G), come funziona

La connessione con la rete elettrica vera e propria si realizza solo con il Vehicle-to-Grid (V2G), lo scenario più evoluto: in questo caso è come se si sfruttasse una “grande batteria distribuita sul territorio, composta da tante auto che, contemporaneamente e in una determinata area geografica, riversano nella rete l’energia che hanno immagazzinato, nella logica delle virtual power plant, o centrali elettriche virtuali”, prosegue Regalini. L’idea, insomma, sulla carta è semplice: dato che l’auto privata resta ferma per molte ore al giorno, perché non usarla anche per fornire servizi alla rete, oltre che per il trasporto?

Facciamo l’esempio di un contesto domestico, come spiega ARERA nella Relazione 2024 dedicata alla ricarica bidirezionale. Un’auto full electric che rientri presso l’abitazione tra le 18 e le 19 con batteria carica ancora per il 50% (26 kWh residui) potrebbe svolgere nelle ore successive due servizi diversi e alternativi tra loro, ma entrambi utili da un lato a equilibrare la rete, riducendo le congestioni tipiche delle ore serali, dovute all’incremento dei carichi domestici e all’azzeramento della generazione fotovoltaica, e dall’altro a ridurre la spesa energetica, poiché nelle ore serali si registrano i prezzi maggiori della giornata.

Nel caso del V2H potrebbe soddisfare i fabbisogni dell’abitazione fino alle 23 o alle 24 con la carica residua della batteria, evitando in tal modo che l’abitazione prelevi energia dalla rete elettrica pubblica: ricaricando a 6 kW nelle 8 ore successive sarebbe poi possibile ripristinare la completa ricarica della batteria. Nel caso del V2G, invece, potrebbe erogare 6 kW verso la rete pubblica fino alle 22 o alle 23 (immettendo tra 18 e 26 kWh) e poi recuperare completamente la carica nel corso della notte.

V2G, i problemi applicativi

Nel passaggio dalla teoria alla pratica, però, bisogna affrontare diverse questioni di tipo tecnologico, normativo e anche sociale. Innanzitutto, servirà ancora qualche anno di attesa, almeno fino al 2030 o 2035, sia per avere a disposizione un numero sufficiente di veicoli elettrici, che devono tra l’altro essere appositamente abilitati a questo scopo, sia perché molte infrastrutture, oggi inadeguate, possano essere sostituite una volta giunte a fine vita.

Fatta questa premessa, va detto che per abilitare lo scambio bidirezionale l’auto deve restare ferma per un numero minimo di ore, da una a quattro almeno: “Gli attuali punti di ricarica fast o ultrafast, progettati per ricariche brevi, non sono quindi adatti al V2G. Servono punti di ricarica lenti, non oltre i 22 kW, che oggi sono prevalentemente in corrente alternata”, specifica Regalini.

Qui nasce un’altra discrepanza. “Gli standard per la ricarica bidirezionale installati attualmente a bordo delle auto elettriche sono quasi tutti sviluppati per la corrente continua, quindi non sono compatibili con il parco attuale di colonnine in corrente alternata, diffuse in case, uffici e strade. Questo è proprio uno degli aspetti a cui le case automobilistiche stanno lavorando per favorire il cambiamento.”

C’è poi un altro aspetto che riguarda le infrastrutture: “Solo a partire dall’ultimo anno si stanno approvando standard internazionali che codifichino gli scambi energetici, in modo da sviluppare sistemi hardware e software che permettano la comunicazione tra veicoli e colonnine di costruttori diversi”.

Inoltre, per poter avere un impatto visibile sul bilanciamento della rete elettrica è necessario avere tante auto connesse nello stesso momento e nella stessa area geografica, obiettivo non banale da realizzare e nemmeno semplice da prevedere attraverso calcoli statistico-probabilistici. Come fare?

“Bisognerebbe coinvolgere il maggior numero possibile di automobilisti: per favorire la propensione alla condivisione e la disponibilità alla collaborazione, si potrebbe eventualmente offrire incentivi economici, anche se va detto che il V2G resta per ora poco vantaggioso, soprattutto per un utente privato.”

Il motivo? La struttura dei prezzi dell’energia in Italia, pur includendo meccanismi dinamici, non presenta ancora differenziali di prezzo tra fasce orarie abbastanza ampi da rendere davvero conveniente l’uso della batteria per lo scambio bidirezionale.

In questo senso, contributi positivi alla creazione di condizioni di mercato favorevoli all’accumulo potranno venire sia da una maggiore elettrificazione dei consumi (con conseguente aumento della domanda) sia da un’ulteriore diffusione della produzione da fonti rinnovabili.

E ancora, accanto agli aspetti economici, c’è anche una questione prettamente culturale: “Per molti utenti l’auto è ancora percepita come un bene da proteggere e possono provare diffidenza all’idea di usurarne potenzialmente la batteria per altri scopi, anche se la possibilità di effettive conseguenze è ancora oggetto di molti studi”.  

Vehicle to Grid, in Italia un quadro normativo favorevole

In questo contesto piuttosto complesso, però, sotto certi punti di vista l’Italia non presenta particolari ostacoli, anzi. “Alcuni prerequisiti tecnologici sono presenti: nel nostro paese c’è una diffusione capillare degli smart meter di seconda generazione, cioè di contatori elettronici in grado di misurare con precisione i flussi energetici bidirezionali e di monitorarli da remoto: questo consente un dialogo avanzato tra i dispositivi domestici e la rete, elemento imprescindibile per qualsiasi progetto, che ci dà una posizione di vantaggio in Europa.”

Inoltre, soprattutto dal punto di vista normativo, il nostro paese è uno dei più avanzati. Una tappa fondamentale è stata nel 2020 l’emanazione del decreto del MISE, che ha posto le basi per la partecipazione dei clienti domestici alla flessibilità di rete. Sebbene oggi quel decreto sia stato superato – dal 1° gennaio 2025 è entrato in vigore il nuovo Testo integrato del dispacciamento elettrico (TIDE) – ha avuto il merito di far partire il lavoro normativo e tecnico.

Tra l’altro, il decreto assegnava a CEI (Comitato elettrotecnico italiano) e ARERA il compito di definire uno standard tecnico per l’aggregazione dei dispositivi di ricarica: è nato così il CIR (Controllore di infrastruttura di ricarica), uno standard hardware e software che definisce come devono essere costruiti i dispositivi, anche domestici, per essere integrabili in sistemi di aggregazione e per consentire agli aggregatori – soggetti terzi tra cliente e rete – di controllare il flusso energetico, modulando la potenza prelevata.

Infine, grazie all’intervento di ARERA e agli aggiornamenti del codice di rete di Terna, l’energia prelevata da un veicolo e poi reimmessa nella rete in Italia non è soggetta agli oneri di sistema, perché ne viene riconosciuta la funzione di stoccaggio.

Progetti e sperimentazioni in laboratorio

Le condizioni tecniche e normative si stanno quindi consolidando, ma la reale diffusione richiederà tempo, investimenti e sperimentazione. Se per il mercato di massa bisognerà aspettare oltre il 2030, ci sono però alcune applicazioni di nicchia in cui il V2G ha già oggi senso.

Per esempio, si può applicare con successo agli autobus elettrici: oltre a offrire batterie capienti, il loro stazionamento nei depositi offre la possibilità di ricariche notturne prevedibili e centralizzate. Allo stesso modo, con il car sharing elettrico si ha a disposizione una grande quantità di auto, parcheggiate simultaneamente in luoghi controllati, spesso durante il giorno.

E ancora, le flotte aziendali: anche in questo caso la gestione centralizzata e l’omogeneità dei mezzi agevolano l’integrazione con la rete per lo scambio bidirezionale. Lo dimostra il progetto pilota DrossOne, realizzato da Stellantis nello stabilimento di Mirafiori, a Torino, dove una flotta di auto bidirezionali interagisce con un impianto fotovoltaico e un sistema di accumulo, contribuendo a ridurre i picchi di carico e offrendo alla rete di trasmissione nazionale servizi di regolazione in frequenza.

Un altro progetto importante è MiNDFlex, avviato da Unareti in seguito alla delibera ARERA 352/21, dedicata a favorire la sperimentazione da parte dei DSO elettrici. Giunto nel 2025 alla seconda fase della sperimentazione, coinvolge l’intera rete di distribuzione che alimenta le città di Milano e Rozzano ed è aperto a tutte le risorse distribuite dotate di potenza contrattuale di almeno 3 kW (e potenza modulabile almeno pari a 300 W) e misuratore 2G. Per quanto riguarda invece le sperimentazioni in laboratorio, Terna ha avviato l’E-mobility Lab, che dispone di 13 postazioni di test con potenze variabili da 25 kVA a 500 kVA.

Guardando all’estero, invece, in Svizzera il progetto V2X Suisse, condotto tra il 2022 e il 2024, ha coinvolto 50 auto Honda adibite a servizio di car sharing e 40 stazioni di ricarica: se da un lato è stata dimostrata la fattibilità tecnica di un’iniziativa di questo genere, dall’altro si sono evidenziate alcune criticità economiche, legate sia ai costi delle infrastrutture bidirezionali sia ad aspetti normativi e regolatori.

Un altro interessante progetto è quello avviato nel Regno Unito nel marzo 2024 dal venditore Octopus Energy, che offre ai propri clienti domestici la possibilità di sottoscrivere un’opzione contrattuale aggiuntiva, denominata Power Pack, grazie alla quale l’auto elettrica viene ricaricata gratuitamente.

A fronte di questo beneficio economico, l’azienda prende il controllo delle operazioni di carica e scarica dell’auto, garantendo di mantenere sempre disponibile un livello di carica minimo indicato dal cliente, ma chiedendogli in cambio di tenere l’auto connessa elettricamente per almeno 12 ore ogni due giorni e di non ricaricare più di 333 kWh al mese.

Il fil rouge è sempre quello di valutare quanto e in che modo la mobilità elettrica possa rappresentare in futuro una fonte importante di flessibilità, in vista di un sistema elettrico sempre più basato sull’utilizzo di fonti rinnovabili non programmabili e di consumi finali sempre più elettrificati.

 

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In copertina: immagine Envato