Sesta estinzione di massa e crisi climatica vanno, purtroppo, a braccetto, ma non sono la stessa cosa. Quando si parla di estinzione di massa, ci si riferisce all'ingente perdita di biodiversità su scala planetaria. Quella in corso dallo scorso secolo risulta eccezionalmente rapida e viene definita "sesta estinzione di massa", il cui principale responsabile sembra proprio l’essere umano.

Per poter contrastare questo fenomeno bisogna innanzitutto comprenderlo e monitorarlo. Ma come fare delle rilevazioni adeguate della biodiversità a livello planetario? Una ricerca pubblicata su Current Biology propone un nuovo (e inaspettato) alleato: i sensori di monitoraggio della qualità dell’aria.

Il DNA ambientale per monitorare la biodiversità

Per monitorare la biodiversità, è possibile rilevare il cosiddetto DNA ambientale, o semplicemente eDNA (EnvironmentalDNA). “Un campione di DNA ambientale è qualsiasi materiale biologico che ci si lascia dietro dopo essersene andati. È come una piccola impronta che ci si lascia alle spalle”, spiega a Materia Rinnovabile la professoressa Elizabeth Clare, autrice dello studio e attualmente docente di biologia alla York University, in Canada. “Può trattarsi di qualsiasi cosa, da alcune cellule della pelle e un po' di capelli, a veri e propri pezzi di DNA in cui la cellula è esplosa e ha rilasciato il materiale nell'ambiente.”

“Quasi tutti gli animali e le piante sulla terra rilasciano eDNA. Si tratta di un segnale universale che viene rilasciato nell’ambiente”, aggiunge la professoressa Joanne Littlefair, diretta collaboratrice di Clare in questo studio e in altri precedenti. Sono anni che le due studiose si occupano delle rilevazioni di eDNA, un processo che risulta più facile in acqua: basta prenderne un campione e filtrarlo. Per ottenere una quantità di eDNA equivalente nell’aria, invece, monitoraggi di pochi minuti non sono sufficienti. Servono giorni, perché “l’atmosfera nell’aria è molto più densa”, spiega Clare. I sensori dell’aria, quindi, essendo già posizionati in un certo luogo, potrebbero evitare a biologhe e biologi di rimanere in appostamento per giorni alla ricerca di eDNA.

Come funzionano i sensori dell’aria

I sensori dell’aria sono una rete di monitoraggio che serve principalmente a rilevare porzioni di aria per monitorare i livelli di inquinanti che non dovrebbero essere superati per non nuocere alla salute umana. Un sensore, spiega a Materia Rinnovabile il fisico James Allerton che lavora al National Physical Laboratory di Teddington, “assomiglia a un piccolo frigorifero con un tubo che fuoriesce dalla parte superiore, con una specie di cappuccio per non far penetrare la pioggia e il materiale particolato indesiderato”. Al suo interno, ci sono dei tubi filtranti che possono essere realizzati in modo diverso: con fibre di quarzo, oppure con nitrocellulosa, che “sembra una carta bianca da filtro”, aggiunge Allerton.

Durante il campionamento, il filtro diventa sempre più scuro, a seconda dell’inquinamento di quella zona. Ora lo studio a cui Allerton ha collaborato spiega che inavvertitamente i sensori rilevano non solo particolato ma anche DNA ambientale.

L’importanza dell’interdisciplinarietà

La scoperta è avvenuta casualmente, perché Allerton stava leggendo una ricerca delle docenti in cui si parlava della possibilità di ricavare eDNA dall’aria. “Quando ho visto quel rapporto nel gennaio 2022 ‒ spiega il fisico ‒ mi è venuta in mente questa cosa: se quelle le ricercatrici hanno raccolto il DNA degli animali nell'aria grazie ai sensori, non è che lo abbiamo raccolto anche noi? E lo stiamo ancora raccogliendo? Lo abbiamo sui nostri filtri?”. Dopo accurate verifiche, la risposta definitiva è risultata affermativa.

La fortuna, spiega Allerton, è che “nel laboratorio dobbiamo seguire delle regole molto rigide che prevedono la conservazione dei filtri anche dopo mesi dalla prima analisi, in un ambiente asettico”. Questo perché possano essere effettuate eventuali verifiche sulla correttezza dei dati estrapolati. In questo modo, le ricercatrici hanno potuto esaminare anche filtri precedenti e individuare eDNA su questi ultimi, provando la validità della propria teoria.

La straordinarietà di questa scoperta è che è avvenuta grazie alla curiosità di un fisico che stava leggendo letteratura scientifica sulla biologia, esterna quindi al proprio campo di studi. Commenta Clare: “È successo solo perché due discipline diverse hanno iniziato a parlarsi”.

Dove sono i sensori per il monitoraggio della qualità dell’aria?

Questa scoperta può cambiare completamente l’approccio nel monitoraggio della biodiversità terrestre, perché i sensori si trovano su tutto il pianeta, anche se non sono distribuiti in modo uniforme. Nel Nord del mondo, infatti, ve ne sono molti di più rispetto al Sud. “C'è una disuguaglianza in termini di distribuzione, ma i sensori non mancano [...] e i campioni saranno raccolti sia che li osserviamo sia che non lo facciamo”, spiega Clare. “Come scienziati della biodiversità abbiamo sostenuto per decenni la necessità di creare un'infrastruttura globale per misurare la biodiversità. Ora ce ne hanno appena consegnata una già esistente. Ed è lì dagli anni Settanta”.

D’altra parte, bisogna tenere conto che le reti per la qualità dell’aria non sono state create con l’intenzione di monitorare la biodiversità, bensì per la salute umana, e sono state ottimizzate a questo scopo. Il loro utilizzo per un obiettivo diverso implica ulteriore ricerca, che comprende anche dei campionamenti mirati a specifiche specie a rischio, spiega Littlefair.

Siamo in un “momento storico stimolante”, dice Allerton, perché la possibilità di accedere a dati provenienti da tutto il pianeta amplia enormemente il panorama della ricerca scientifica e facilita le comparazioni tra luoghi lontani. Va ricordato che un singolo campionamento ha scarso valore, ma quando se ne hanno a disposizione molti la situazione cambia. E aggiunge Clare: “Questi campioni dovrebbero essere considerati come l'arte del puntinismo. Ogni campione è un punto. Da solo non ti dice nulla. Ma se si fa un passo indietro e si guarda il totale, si vedono un milione di punti che insieme formano un quadro splendido. È esattamente la stessa situazione con il DNA ambientale. Ogni singolo campione è un singolo punto. È quando ne hai migliaia che il quadro emerge”.

 

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Immagine: Envato

 

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