La mappa della mobilità elettrica in Europa è sempre più disegnata dalle infrastrutture di ricarica. Secondo il nuovo Italy’s EV Charging Market Report pubblicato da ChargePlanner, l’Italia si trova in una posizione di rincorsa rispetto ai principali partner europei. Francia e Germania hanno già intrapreso piani di espansione rapida, mentre i Paesi Bassi restano il benchmark assoluto, con una densità di punti di ricarica che non ha pari sul continente: oltre il 25% di tutte le colonnine europee è concentrato nei Paesi Bassi. L’Italia, al contrario, rimane sotto la media europea sia per numero totale di punti di ricarica sia per la quota di stazioni ad alta potenza. Nel 2024 risultavano attivi in Italia poco più di 50.000 punti di ricarica pubblici, contro i 100.000 della Francia e i 120.000 della Germania. Ma il dato più critico riguarda la distribuzione: solo il 18% delle colonnine italiane è a ricarica rapida (DC), mentre la media europea supera il 30%. In un mercato che si muove ormai su scala continentale, questo gap rischia di trasformarsi in un ostacolo competitivo: se l’infrastruttura non segue il ritmo, anche la diffusione dei veicoli elettrici rallenta.

Gli obiettivi di Bruxelles e la sfida al 2030

Il ritardo italiano pesa ancora di più alla luce del nuovo quadro normativo europeo. Con l’entrata in vigore dell’Alternative Fuels Infrastructure Regulation (AFIR), Bruxelles ha imposto a tutti gli Stati membri obiettivi vincolanti sulla copertura delle reti di ricarica, proporzionati al numero di veicoli elettrici circolanti. L’Ue prevede che entro il 2030 ci siano almeno 1,3 kW di potenza installata per ogni veicolo elettrico circolante. Per rispettare questa soglia, l’Italia dovrebbe più che raddoppiare le installazioni attuali. A oggi nel nostro Paese circolano circa 220.000 auto elettriche pure (BEV), contro le più di 1 milione in Germania e le quasi 800.000 in Francia. Ma il rapporto auto-colonnine resta squilibrato: in Italia si contano 4,3 veicoli per ogni punto di ricarica, mentre la media europea è di 3,2. Il rischio non è solo quello di non centrare i target europei – con possibili procedure di infrazione, ma anche di restare indietro rispetto ai mercati più dinamici, compromettendo la competitività del settore auto e della filiera energetica nazionale.

Investimenti e mercato paneuropeo

Se l’Italia frena, altri Stati accelerano e attirano capitali. La corsa alla ricarica è ormai un business europeo: operatori come Enel X Way, Ionity, TotalEnergies o Shell Recharge sviluppano piani su scala continentale, scegliendo dove investire in base alla stabilità regolatoria e alla rapidità delle autorizzazioni. In Spagna, ad esempio, nel 2024 sono stati installati più di 11.000 nuovi punti di ricarica, quasi il doppio rispetto all’Italia, segnalando un’accelerazione che riflette anche l’impegno del governo iberico a semplificare i permessi. La grande distribuzione e il settore retail guardano all’infrastruttura come a un servizio strategico per i clienti, capace di trasformarsi in leva competitiva. Non a caso, il report stima che oltre il 40% delle nuove installazioni in Europa avverrà in parcheggi di supermercati, centri commerciali e aree retail. Nel contesto italiano, invece, la burocrazia continua a pesare: per aprire un nuovo punto di ricarica possono servire fino a 18 mesi di autorizzazioni, contro i 6 mesi medi richiesti in Germania o nei Paesi Bassi. Pur disponendo delle risorse del Pnrr, il Paese rischia di trasformare i fondi europei in occasioni mancate se non sarà in grado di snellire le procedure.

Italia tra divari e opportunità

Il quadro interno resta contraddittorio. Da un lato, il Nord concentra la gran parte delle installazioni: Lombardia ed Emilia Romagna coprono insieme oltre un quarto di tutte le colonnine italiane, mentre il Sud rimane un “deserto infrastrutturale” in cui le colonnine sono poche e distanziate. In regioni come la Calabria e la Basilicata si contano meno di 500 punti di ricarica ciascuna, a fronte dei quasi 9.000 della Lombardia. Dall’altro, proprio questa assenza segnala un enorme potenziale di crescita: man mano che la domanda di veicoli elettrici aumenta, con un mercato europeo che nel 2024 ha visto le BEV raggiungere il 15% delle immatricolazioni complessive, le regioni meridionali possono rappresentare un mercato di espansione naturale per gli operatori. La sfida è decidere se trasformare il ritardo in opportunità o lasciarlo degenerare in freno strutturale. Per il settore privato, la partita si gioca sul ritorno economico degli investimenti, mentre per lo Stato sulla capacità di accompagnare la transizione con politiche stabili e tempi certi. Senza un cambio di passo, l’Italia rischia di rimanere un anello debole nella catena europea della mobilità elettrica.

 

In copertina: foto Envato