Abbiamo superato la soglia di 1,5°C. Questo è stato l’annuncio shock del Copernicus Climate Change Service, il servizio europeo finanziato dai paesi membri che fornisce informazioni autorevoli sul clima passato, presente e futuro in Europa e nel resto del mondo.

Materia Rinnovabile ha voluto intervistare Carlo Buontempo, che dirige Copernicus Climate Change, per capire se il 2024 sarà un altro anno record, come i dati raccolti da Copernicus possano servire ai processi di adattamento di imprese e città e conoscere da vicino uno dei principali centri di elaborazione dei dati climatici. Copernicus Climate Change lavora in sinergia con le principali agenzie meteo internazionali, analizza trend e rischi legati alle temperature e ai fenomeni atmosferici e fornisce intelligence a governi e imprese per meglio programmare la loro risposta a un clima sempre più estremo e fuori scala.

Carlo Buontempo

 

Direttore, i dati degli ultimi 13 mesi hanno suscitato più di un allarme all’interno della comunità scientifica.

Il 2023 è stato un anno eccezionale, che ha raggiunto gli 1,48°C di aumento della temperatura media rispetto all’era preindustriale, sfondando la soglia di 1,5°C nel periodo febbraio-gennaio 2024. Sono stati i 12 mesi più caldi da quando sono iniziate le misurazioni. Mai visto prima.

L’ennesimo campanello d’allarme?

Non abbiamo mai vissuto come civiltà in un clima tanto caldo, le nostre città non hanno mai dovuto affrontare un clima di questo tipo. Un clima che non ha precedenti nella nostra storia su questo pianeta.

Quali sono le variabili di questo periodo di temperature record?

Sicuramente la presenza di El Niño, gli effetti del vapore acqueo generati dall’eruzione del vulcano sottomarino Hunga Tonga–Hunga Ha'apai e l’intensa attività solare del periodo hanno contribuito a innalzare la colonnina di mercurio. Però, anche tenendo conto di tutte queste componenti in modo isolato, non saremmo in grado di riprodurre le temperature estreme che abbiamo visto e vediamo, se non tenessimo in conto il riscaldamento globale antropico.

Che previsioni possiamo fare per questa estate 2024? Avrà impatti importanti sulla nostra società?

Sebbene non possiamo dire con certezza quello che accadrà, abbiamo alcuni punti di riferimento. Infatti guardando indietro nel tempo vediamo che il picco di temperatura media globale di solito avviene nell'anno seguente all’apice di El Niño. Dunque questo lascerebbe pensare che il 2024 possa essere un anno potenzialmente più caldo del precedente o almeno altrettanto caldo. Copernicus Climate Change usa un insieme di otto sistemi di previsione stagionale che sono il sistema Copernicus stesso, quello di Meteo France, quello del Met Office inglese, quello del Deutscher Wetterdienst, quello del CMCC italiano, affiancati dai sistemi canadese, americano, giapponese e fra poco anche da quello australiano. Questo insieme di simulazioni ci indica che El Niño è già in fase di decrescita, almeno nel Pacifico centrale, e dovrebbe tornare a condizioni neutre entro fine giugno 2024. Una delle ultime previsioni indica, però, che dopo giugno ci potrebbe essere una transizione verso la Niña: se la transizione fosse repentina potrebbe evitare un’estate altrimenti estremamente calda, riducendo le probabilità che il 2024 diventi un nuovo anno record.

Copernicus Climate Change fornisce servizi previsionali per governi e imprese. Che richieste ricevete?

Noi forniamo i dati e le mappe in modo gratuito a chiunque per utilizzarli come meglio crede. Abbiamo circa 300.000 utenti da tutto il mondo che accedono a circa 150 terabyte di dati raccolti ogni giorno. Alcuni dataset sono particolarmente ricercati dal settore privato, come le serie storiche sul clima, oppure l’atlante del vento o delle risorse solari per il settore energetico delle rinnovabili. Quest’ultimo è particolarmente interessato al nostro lavoro per gli impatti che le condizioni climatiche possono avere sulla produttività e sulle infrastrutture. Recentemente abbiamo firmato un accordo con Entso-e, European Network of Transmission System Operators for Electricity, per lavorare insieme su proiezioni climatiche e impatti sulle reti, generando scenari e simulazioni congiunte.

Lavorate anche con i settori finanziari?

Sia con il settore finanziario che quello assicurativo. Sono settori che hanno un crescente interesse sul tema, molto dinamici e attenti a seguire le tendenze: per loro è fondamentale essere sempre avanti rispetto agli altri nel calcolo del rischio. In particolare i riassicuratori, come Swiss Re, hanno grande interesse nelle previsioni stagionali dei rischi legati ai cicloni. Nel settore bancario sono state la tassonomia europea e la Task Force on Climate-Related Financial Disclosure ad accelerare la volontà di quantificare il rischio d’investimento legato al clima. Oggi infatti lavoriamo con la Banca Mondiale e la European Investment Bank per coadiuvare le loro decisioni finanziarie.

Per potenziare il servizio di Copernicus Climate Change cosa servirebbe?

Innanzitutto stiamo lavorando alla nuova generazione delle rianalisi. Sono lo strumento che consente di quantificare le dinamiche meteorologiche e climatiche di tutto il pianeta, sia nel loro insieme, per i fenomeni di scala planetaria, che nelle espressioni più specifiche e locali. Fino a cinque anni fa potevamo caratterizzare lo stato delle variabili in qualsiasi punto del pianeta con un passo di griglia di 30 chilometri, ora stiamo lavorando alla sesta generazione (ERA6) che dovrebbe iniziare a girare sul supercomputer di Bologna da gennaio 2025 e che avrà una griglia di analisi nell’ordine di 15 chilometri, dimezzando il passo della griglia. In questo modo avremo un’informazione ad alta risoluzione e sempre più granulare, utile per prendere decisioni puntuali.

L'altro aspetto su cui stiamo lavorando è cercare di caratterizzare tante più variabili possibili nei modelli climatici. Oggi il Global Service System, l’Organizzazione mondiale che coordina le osservazioni del clima, ha identificato 54 variabili terresti, oceaniche e atmosferiche come essenziali per descrivere lo stato del pianeta. Al momento disponiamo di informazioni costanti per 22 variabili, con serie costanti e senza salti. Ma la nostra aspirazione è portare questo numero quanto più vicino a 54, colmando il gap. Ad esempio con misurazioni del permafrost o della clorofilla del mare in modo da avere un modello quanto più completo possibile.

Il terzo punto su cui bisogna investire è l’attribuzione degli eventi meteo-catastrofici, ovvero quanto sia diventato più o meno probabile in conseguenza dei cambiamenti climatici un determinato fenomeno meteo, come le recenti alluvioni in Libia o Grecia.

C’è abbastanza copertura di sensori per raccogliere dati oggi?

Dopo il 1979 abbiamo colmato il gap con l’emisfero australe, ma ci piacerebbe certo avere più sensori per vedere fenomeni difficili da osservare o una maggiore copertura in paesi del Sud America e dell’Africa. Inoltre servirebbe digitalizzare la mole di dati raccolti su carta prima del 1960 per avere serie storiche climatiche sempre più accurate.

Sembra che ci sia un’accelerazione dei fenomeni climatici, alcuni che ci saremmo aspettati solo tra qualche decennio si vedono già ora. Oppure rimaniamo in linea con le previsioni dei primi report IPCC?

Entrambe le affermazioni sono vere. Da una parte le proiezioni sulle temperature che erano state fatte all'inizio del secolo per questo decennio non sono dissimili da quelle che stiamo vivendo adesso, posizionandoci nella parte alta della forchetta di incertezza. Dunque i modelli e gli strumenti a nostra disposizione sono stati utili e accurati. Dall'altra parte è vero che, specialmente negli ultimi dodici mesi, abbiamo visto cose che non ci saremmo aspettati di vedere già così presto. Ci sono indicatori che lasciano pensare che il riscaldamento effettivamente stia accelerando e quello che abbiamo vissuto nel 2023-24 potrebbe essere la prima avvisaglia di un cambio di ritmo. Ma questo ce lo confermeranno solo misurazioni sempre più accurate e continue.

 

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Immagine: Chris Weiher, Unsplash