Si sono conclusi il 26 aprile a Washington D.C. gli Spring Meetings 2025 del Fondo Monetario Internazionale (FMI) e della Banca mondiale. Dopo l’accelerazione dello scorso anno, è stata un’edizione dai toni insolitamente “sobri”, come l’ha definita lo stesso World Economic Forum.

Forse unica strategia per non sincronizzare il proprio battito a quello instabile della capitale statunitense, al momento sospesa tra guerra commerciale, scetticismo climatico e spallate a un multilateralismo sempre più fragile.

Le pressioni degli Stati Uniti, primo azionista delle istituzioni di Bretton Woods, si sono fatte sentire, soprattutto dopo le parole del nuovo segretario del tesoro, Scott Bessent, che seppur facendo tirare un sospiro di sollievo − per il momento il ritiro USA dalla Banca mondiale prospettato Project2025, faro e dottrina della rivoluzione ultraconservatrice trumpiana, è scongiurato − ha messo in guardia contro una “deriva missionaria” su temi come il cambiamento climatico.

Un cambio di tono che stride con la visione del presidente della Banca mondiale Ajay Banga, che nel promettere di non oscurare la missione principale della sua istituzione, cioè la riduzione della povertà globale, ha ribadito l'obiettivo di destinare entro il 30 giugno 2025, termine dell’anno fiscale, il 45% dei prestiti annuali a progetti legati al clima.

L’annuncio segue infatti l’allarme su una potenziale “emergenza occupazionale”: nei prossimi dieci anni, 1,2 miliardi di giovani entreranno nel mercato del lavoro, a fronte di una creazione di soli 400 milioni di occupati. Per il presidente Ajay Banga si tratta di una sfida che va oltre l’economia. Per questo l’obiettivo della banca è integrare la creazione di lavoro in tutte le sue attività, dall’infrastruttura agli investimenti, rendendola una priorità strutturale.

“La nostra idea è quella di costruire una banca che fornisca ciò che viene richiesto: posti di lavoro. Perché un lavoro è il modo migliore per piantare un chiodo nella bara della povertà", ha detto Banga.

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World Economic Outlook e stabilità finanziaria: la frenata è globale

Il messaggio da Washington è chiaro: l’economia mondiale rallenta, ma senza cadere in recessione. Nel suo ultimo aggiornamento del World Economic Outlook, rilasciato il 22 aprile, il Fondo monetario internazionale ha rivisto al ribasso le stime di crescita globale per il 2025, dal 3,3% al 2,8%, segnalando un rallentamento diffuso ma comunque non catastrofico.

Gli stessi Stati Uniti, colpendo e ferendo con i dazi più alti degli ultimi decenni, vedono la loro crescita ridimensionata all’1,8% (-0,9%). Niente recessione, dunque, così come per la Cina, superpotenza che resta fortemente dipendente dalle esportazioni.

Come riporta Reuters, la direttrice generale del FMI, Kristalina Georgieva, ha ammesso che le prospettive restano incerte, con l’economia globale ancora sotto pressione dopo anni di pandemia, inflazione e conflitti. Tuttavia, ha espresso fiducia in una possibile distensione.

Nel suo Global Financial Stability Report, l’FMI segnala però un aumento delle fragilità sistemiche. Le istituzioni finanziarie non bancarie – spesso meno regolamentate – risultano particolarmente esposte a improvvisi cambi di valutazione degli asset e a livelli di leva finanziaria elevati. Il rischio? Scosse impreviste nei mercati globali, con effetti a catena.

I paesi emergenti, già sotto pressione per l’aumento del costo del debito, sono tra i più vulnerabili a eventuali fughe di capitali. Sul fronte fiscale, il campanello d’allarme è del resto sul debito pubblico globale, che potrebbe arrivare a toccare il 100% del PIL mondiale entro il 2030.

L’FMI suggerisce riforme strutturali e ristrutturazioni. Il rischio, soprattutto per le economie più fragili, è che la crescita venga soffocata dal peso di passività ormai fuori controllo.

IDA21, che fine faranno le risorse?

Anche sul fondo International Development Association (IDA), il principale strumento della Banca mondiale per finanziare i paesi a basso reddito, regna l’incertezza. Le trattative per il rifinanziamento si sono chiuse lo scorso dicembre, poco prima dell'insediamento del presidente Donald Trump.

Un quell’occasione, gli Stati Uniti avevano promesso un impegno da 4 miliardi di dollari. Ma quella cifra, oggi, resta sospesa: il via libera ufficiale ancora non c’è. Ajay Banga, presidente della Banca mondiale, non nasconde la preoccupazione. Secondo le stime iniziali, come ricordato da DevEx, l’IDA avrebbe potuto contare su circa 100 miliardi di dollari nei prossimi tre anni, includendo anche il sostegno dei mercati obbligazionari.

Ma senza la conferma degli Stati Uniti — e in un contesto in cui anche alcuni governi europei stanno rivedendo la propria politica di aiuti — il pacchetto potrebbe scendere tra gli 80 e gli 85 miliardi, più vicino ai livelli del 2019 che ai 93 miliardi raggiunti nel 2021. In questo scenario per il presidente della Banca mondiale la sfida sarà massimizzare l’uso delle risorse disponibili, continuando a coinvolgere tutti i partner. Con Washington il confronto resta aperto, mentre il “dialogo è costruttivo”. In altre parole: non ci resta che l’attesa.

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In copertina: Kristalina Georgieva fotografata da Kim Haughton © IMF