In anni in cui parlare di crisi climatica è (giustamente) all’ordine del giorno, ci interroghiamo di continuo su come costruire una nuova coscienza ecologica e ripristinare quel rapporto con la natura che abbiamo perduto.
Si è sempre parlato molto del rapporto simbiotico uomo-natura, delle relazioni perdute o dimenticate, dell’importanza del contatto con l’elemento naturale e animale. Tuttavia, nella vasta letteratura che affronta questi temi, c’è un aspetto che spesso viene sottovalutato: quello sonoro. Il suono, la musica in senso ampio, sia come suono ambientale, sia come creazione umana consapevole. E se per sviluppare una nuova sensibilità ecologica potessimo affidarci anche a questo? Se il cambiamento di cui abbiamo bisogno potesse partire proprio dall’ascolto?
Sono le domande da cui parte il nuovo libro di Dario Giardi, E se fosse la musica a salvarci? La memoria dei suoni e la sfida climatica, pubblicato da Mimesis Edizioni nella collana Eterotopie, appena arrivato in libreria. Un saggio che fonde ecologia, filosofia, storia della musica e neuroscienze in un viaggio sonoro dentro il nostro rapporto con la natura.
Perché le nostre città hanno bisogno di silenzio (e di identità sonora)
“Viviamo in una società che ha progressivamente smarrito la capacità di ascoltare. Il nostro ambiente acustico è stato colonizzato dal rumore, da un costante bombardamento sonoro che anestetizza i sensi e trasforma l’esperienza del mondo in un’interferenza da ignorare. Questo non è solo inquinamento acustico: è il riflesso di un’umanità disconnessa, un segno tangibile della frattura tra uomo e natura”, scrive Giardi.
Entro il 2030, fra meno di cinque anni, il 70% della popolazione mondiale vivrà in contesti urbani. Fra dieci e poi vent’anni, questa percentuale sarà ancora più alta. I nostri contesti urbani, le nostre città, sono colonizzati da rumori artificiali: traffico, notifiche, musica in loop predetta da algoritmi. Suoni che si sostituiscono a quelli sempre più rari della natura: il fruscio delle foglie, il canto di un uccello, il non-silenzio del bosco. Perdendo questi suoni, perdiamo anche un pezzo della nostra connessione con la Terra. Non è sensazionalismo, è un dato di fatto.
Le nuove generazioni – quelle più attente all’ambiente, quelle che guideranno la transizione ecologica – sono nate in contesti urbani in cui l’assenza di certi suoni non è una privazione, ma la normalità.
“Se vogliamo sviluppare una coscienza ambientale autentica, dobbiamo ribellarci a questa alienazione e ricostruire un rapporto empatico con il nostro habitat. Dobbiamo reimparare ad ascoltare”, scrive Giardi, che poi aggiunge: “Qualsiasi politica ecologica efficace deve fondarsi su una connessione emotiva, su un legame profondo e indissolubile tra individuo e ambiente. E la musica, nella sua essenza più pura, è il veicolo ideale per questa riconnessione: una forma di linguaggio universale capace di trasmettere storie, emozioni e responsabilità”.
Uno dei passaggi più interessanti del libro in questo senso riguarda il ruolo delle città. È proprio da questi centri abitati “alienati” e inquinati acusticamente che si può attivare un motore di rigenerazione ecologica ed emozionale. Giardi propone un’idea affascinante: progettare le città non solo in base a criteri energetici o estetici, ma anche pensando a come suonano. Riscoprire il valore dei suoni identitari – come le campane, i mercati, i luoghi di aggregazione sonora – significa anche rafforzare la coesione sociale e il senso di appartenenza.
Dal soundscape al memoryscape: cosa sono e perché ci riguardano tutti
Al centro del libro di Giardi c’è il concetto della memoria sonora dei suoni e il soundscape: il paesaggio sonoro che ci circonda. Introdotto dal musicologo canadese R. Murray Schafer negli anni Settanta, il soundscape non è solo un insieme di suoni, ma una forma di conoscenza e memoria ambientale.
Esattamente come proteggiamo un paesaggio visivo o un patrimonio architettonico, dovremmo imparare a tutelare i suoni che rendono unico un luogo. Come? Preservandoli dall’estinzione, dal mutismo, dandogli modo di continuare a esistere e proliferare.
Non è un caso che Giardi proponga anche un’estensione del concetto coniando il termine “memoryscape”. Cioè una mappa affettiva dei suoni che ci hanno formato, la memoria sonora collettiva e personale di un luogo, una città, una comunità.
Dalla musica alla coscienza ecologica e all’attivismo
Questo libro non si focalizza solo sul valore del suono naturale, ma anche su quello figlio della creatività umana. Il saggio di Giardi è un omaggio alla musica come linguaggio universale, capace di generare emozioni e promuovere cambiamento. Dai cori tribali ai concerti ambient, dalle sinfonie classiche alla musica elettronica contemporanea, l’autore ripercorre la lunga storia del legame tra natura, ambientalismo e composizione musicale, dimostrando che la musica ha sempre avuto un ruolo fondamentale nel modo in cui percepiamo l’ambiente.
Beethoven, Mahler, Debussy, fino a Brian Eno e alla musica ambient, sono evocati non solo come artisti, ma come testimoni del rapporto uomo-natura. “Le Quattro Stagioni” di Vivaldi diventano un calendario emotivo, mentre la “Sinfonia Pastorale” di Beethoven viene letta come un manifesto proto-ecologista.
La musica, inoltre, è anche azione politica. Ha accompagnato le rivoluzioni, le lotte per i diritti civili, le mobilitazioni ambientaliste. E oggi può essere una forza propulsiva anche per affrontare le sfide della crisi climatica.
Infine, questo libro racconta di pratiche come il field recording (registrazione di suoni naturali sul campo), la sonificazione dei fenomeni naturali (tradurre in suoni dati scientifici altrimenti invisibili, come le vibrazioni sismiche di un vulcano), il turismo acustico (un modo di viaggiare che non si limiti alla vista, ma coinvolga l’ascolto come atto di immersione profonda) e persino l’agricoltura biosonora (un campo emergente che combina il suono e l’agricoltura per migliorare la salute delle piante, aumentare i raccolti e persino migliorare la qualità degli alimenti). Tutte esperienze che mostrano come il suono, sia esso naturale o artificiale, possa essere una nuova via per creare consapevolezza e promuovere la cura e la salvaguardia dell’ambiente.
“Musica ed ecologia non sono che due facce della stessa ferita: entrambe raccontano ciò che siamo stati e ci ammoniscono su ciò che potremmo ancora essere”, scrive Giardi. “Riconoscere i suoni del mondo non è solo un atto di ecologia, ma un atto di umanità. È il primo passo verso un cambiamento che non sia soltanto regolamentare, ma radicalmente interiore. Perché solo ascoltando possiamo tornare a sentire, e solo sentendo possiamo davvero trasformare il nostro futuro”.
In copertina: dettaglio della cover del libro