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Se si studiano le proiezioni dei costruttori di aeroplani Airbus e Boeing, il traffico aereo passeggeri nei cieli europei crescerà in modo impetuoso, arrivando a raddoppiare entro il 2050 rispetto ai livelli del 2019, con un aumento di consumo di carburante del 59%. Una crescita non certo in linea con gli obiettivi di decarbonizzazione, se si continuerà a fare uso di cherosene per alimentare i velivoli. Così, se da un lato bisognerà ridurre i voli superflui (business meeting, viaggi mordi-e-fuggi) dall’altro sarà fondamentale sostituire il più rapidamente possibile i combustibili fossili con i SAF, i Sustainable Aviation Fuels, carburanti a ridotta impronta di CO₂.
A questo scopo l’Europa richiede alle compagnie aeree che operano nel continente di utilizzare almeno il 2% di SAF già dal 2025, con l'obiettivo di raggiungere il 70% entro il 2050. Si tratta di un obiettivo ambizioso, viste le attuali forniture di SAF, decisamente insufficienti. Non solo: anche all’estero cresce la domanda per questi carburanti alternativi, sempre più richiesti in USA, India, Giappone, Singapore.
Come si producono i SAF
I SAF provengono da vari processi di produzione, come l'idro-trattamento di oli esausti e grassi, la gassificazione di rifiuti e la conversione di etanolo. Il primo tipo è quello attualmente più diffuso come produzione in Europa.
“L’HEFA, una tecnologia di idrogenazione dei rifiuti biogenici che genera una prodotto kerosene-like su base biochimica, è al momento la principale tecnologia cost-effective, destinata a dominare i mercati SAF almeno fino al 2030”, spiega Marco Bonvini, Licensing & Business Development Director di NextChem Tech SpA (Maire group), uno dei principali sviluppatori di tecnologie per la produzione di SAF al mondo. “Si usano principalmente oli alimentari esausti raccolti da ristoranti e impianti di food-processing, grassi animali (da scarto di macellazione o da lavorazione del pescato, ndr), e brown grease, i grassi recuperati dai lavaggi attraverso dispositivi idonei.”
In alcuni impianti si usa anche il POME (palm oil mill effluent), una sostanza oleosa residuale generata durante la lavorazione dell'olio di palma per uso alimentare che viene recuperata, purificata e inserita nel processo di lavorazione.
Nei prossimi anni però cresceranno parecchio anche i SAF derivati da gassificazione (prodotti da syngas che alimentano un reattore di FT, acronimo del processo di produzione Fischer Tropsch) e da conversione da etanolo o metanolo (AtJ, Alchool to Jet), che al momento hanno però un costo medio di produzione di circa 1,6 e 2 volte rispetto a quello ottenuto con processo HEFA.
Anche gli E-jet, carburanti sintetici ricavati usando acqua per produrre idrogeno con energie rinnovabili e CO₂ catturata da impianti industriali (attualmente con un costo fino a 4 volte quello dell’HEFA), in futuro vedranno una crescita importante, con una rapida maturazione tecnologica e quindi una significativa riduzione dei costi di produzione.
Un mercato complesso
Quello dei SAF rimane tuttavia un mercato molto complesso. “Si tratta di tecnologie con costi di produzione ancora alti, e in un momento in cui il mercato è guidato dalla domanda”, spiega il dirigente di NextChem. “Oggi gli obblighi e gli impegni delle aziende richiedono quantità di SAF superiori alle produzioni disponibili, e ciò può creare un effetto speculativo non indifferente. Un’ulteriore complicazione poi viene dagli ETS Emissions Trading System, i certificati legati alle emissioni di CO₂ in atmosfera. Attraverso questo meccanismo la CO₂ biogenica, quindi neutrale rispetto all’ambiente, diventerà un reale prodotto di scambio per compensare quella fossile, favorendo così gli impianti a feedstock biogenici come gli HEFA o AtJ, che saranno in grado di beneficiare della vendita della loro CO₂ biognenica riducendo così i propri costi di produzione di SAF. Allo stesso tempo l’ETS impatterà i costi degli E-jet, che dovranno comprare, almeno parzialmente, CO₂ biogenica impiegata come feedstock.”
Per i produttori di SAF la strategia principale per ridurre i costi sarà dunque quella di ottimizzare la produttività dagli impianti e garantirsi l’approvvigionamento dei feedstock qualunque essi siano, oli e grassi, rifiuti, alcol, energia rinnovabile o CO₂.
“La strategia fondamentale è quella di avere tanti impianti, limitati nelle dimensioni ma ben distribuiti, per poter sfruttare al massimo i feedstock locali, diversificati per disponibilità del prodotto da cui si parte e per legislazione”, continua Bonvini. “Così negli Stati Uniti si potranno usare i prodotti di prima generazione (dal mais si può ricavare l’AtJ), mentre in Europa ci concentreremo sul waste.” Dal punto di vista del mercato servirà promuovere tariffe di volo verdi, come sta già facendo Lufthansa, per coprire i costi dei SAF offrendo una strategia di decarbonizzazione per le aziende, ma anche per cittadini più attenti.
Secondo la IATA, International Air Transport Association, ora è necessario accelerare sui sussidi e sulla realizzazione di nuovi impianti (ne servirebbero fino a 6.500), con investimenti per almeno 125 miliardi di euro l’anno, se si vuole decarbonizzare davvero il settore aereo.
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In copertina: immagine Envato