Contribuire alla lotta ai cambiamenti climatici, ma anche – e forse soprattutto – incentivare una gestione a lungo termine dei boschi italiani, finora in gran parte frammentati e abbandonati. Con ricadute positive sull'ambiente, sulla mitigazione dei rischi naturali e su tutta la filiera del legno, oggi fortemente dipendente dalle importazioni.

Sono molte le speranze innescate dalla nascita del Registro nazionale dei crediti forestali, attesa per anni e finalmente ufficializzata venerdì 17 ottobre in un decreto interministeriale firmato dai ministri Lollobrigida e Pichetto Fratin.

Per ottenere e quindi vendere i crediti, enti e privati dovranno presentare progetti di gestione forestale sostenibile verificati periodicamente. Ponendo fine (almeno nelle intenzioni) al “Far West” che ha imperato finora, tra crediti venduti più volte e metodi di calcolo non uniformi.

Un passo atteso a lungo

Un credito di carbonio forestale corrisponde a una tonnellata di CO₂ rimossa dall'atmosfera, "catturata" con la fotosintesi e intrappolata nel legno, nelle foglie, nel suolo. Comprando i crediti, aziende e istituzioni possono compensare parte delle loro emissioni sostenendo chi gestisce i boschi. Facile a dirsi, ma non a farsi: gli alberi invecchiano, muoiono, vengono tagliati o bruciano, rilasciando nel tempo parte dei gas serra accumulati.

In assenza di metodi e controlli standard, il sistema finora si è rivelato opaco, esposto a stime gonfiate e greenwashing. Negli ultimi anni, dopo uno studio del 2023 che dimostrava che la maggior parte dei progetti nei paesi in via di sviluppo fosse sovrastimata, la credibilità dello strumento era scesa ai minimi.

Il nuovo registro, coordinato dal CREA (il Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria, dipendente dal Ministero dell'gricoltura) cerca di superare questi limiti garantendo regole comuni e maggiore trasparenza, ridando ai crediti forestali un posto di primo piano nella decarbonizzazione.

“Monitoriamo il mercato dal 2011 e ci siamo accorti presto che qualcosa non andava”, spiega Saverio Maluccio, ricercatore del CREA. “Spesso i crediti venduti erano anche il doppio di quello che le superfici potevano generare, oppure la stessa unità veniva venduta più volte.” In assenza di certificazione, non era possibile usare i crediti italiani nei bilanci di sostenibilità delle aziende ma solo per ragioni di immagine, con il risultato che “anche se nel 2021-2022 il mercato aveva superato il milione di tonnellate di CO₂, per il 90% provenivano dall’estero”.

Già nel 2014 il CREA aveva proposto linee guida univoche, conformi ai requisiti europei del carbon farming e dell'IPCC, ma "non siamo riusciti a concretizzarle per mancanza di volontà politica". Ora con l'avvicinarsi del 2028 – anno in cui tutti gli schemi nazionali dovranno essere approvati a livello europeo – l’Italia si allinea a Francia, Spagna e Regno Unito e getta le basi per l’integrazione nel futuro registro europeo del carbon farming.

Come funziona il Registro nazionale dei crediti di carbonio forestali

Secondo il nuovo registro, i crediti dovranno derivare da progetti ventennali di gestione forestale approvati dalle regioni. Il criterio alla base è quello dell'addizionalità: gli interventi devono andare oltre gli obblighi normativi, assorbendo più CO₂ rispetto alla situazione di partenza.

Si potrà sia pianificare la gestione sostenibile di un bosco già esistente, sia realizzarne di nuovi (come in aree urbane o agricole in disuso) con specie autoctone e adatte al contesto. Tra le attività ammissibili figurano anche l'arboricoltura da legno, i sistemi agroforestali e i prodotti legnosi strutturali pensati per durare almeno trentacinque anni: "Le tonnellate di CO₂ stoccate, ad esempio, nelle travi vengono considerate crediti”, spiega Maluccio. “L'addizionalità è nella stessa decisione di costruire in legno anziché in cemento."

Il CREA valuterà i progetti e supervisionerà i controlli, realizzati da enti terzi ogni 5-10 anni. È previsto un meccanismo “buffer”: una quota di crediti viene accantonata per coprire eventuali rischi come incendi o malattie o ripensamenti del proprietario. Inoltre, i crediti potranno essere venduti solo ogni cinque anni, dopo nuovi controlli. Non potranno essere utilizzati nei mercati regolamentati già esistenti, come EU ETS o CORSIA, ma soltanto nel mercato volontario nazionale.

Un nodo delicato restano i costi: “Oggi i crediti italiani costano circa 30 euro, contro i 10 di quelli esteri, ma in alcuni progetti si arriva a 70”, spiega Maluccio. Prezzi più alti, però, garantiscono qualità e tracciabilità, e le aziende sono interessate anche per ragioni di immagine a investire sul territorio. Ma, soprattutto, il valore elevato può essere un valido incentivo per i proprietari a investire in una gestione sostenibile.

Per Giorgio Vacchiano, ricercatore in gestione e pianificazione forestale all’Università Statale di Milano, lo strumento "è sicuramente utile per la decarbonizzazione, ma soprattutto lo è per le foreste. I crediti come sono concepiti dal registro non si limitano a premiare la deforestazione come nei vecchi schemi, ma premiano un cambio di gestione nelle foreste". Per avervi accesso, infatti, sarà necessario avere un piano di gestione, cosa che oggi possiede "solo il 15-20% dei boschi, una mancanza che li espone ai danni climatici e ai prelievi mal calcolati".

Il ricercatore non nasconde le difficoltà: se da una parte i meccanismi di controllo dovrebbero attenuare il rischio di greenwashing, dall’altra i costi della certificazione restano alti, soprattutto per i piccoli proprietari che detengono buona parte delle foreste del paese.

Le opportunità per le imprese

Per Alessandra Stefani, presidente del Cluster nazionale Italia foresta legno, un mercato strutturato dei crediti forestali potrebbe giovare alla filiera a partire dai suoi estremi: le aziende forestali, ma anche il prodotto finito. Se arredo e design, in buona parte in legno, sono punti di forza del Made in Italy, oltre l’80% delle materie prime proviene dall’estero. Un fattore di vulnerabilità economica oltre che di sostenibilità, spiega Stefani, che espone il settore alle oscillazioni di mercato e ai dazi.

Tra le ragioni alla base del problema la scarsissima pianificazione dei boschi italiani, dovuta soprattutto all'altissima frammentazione delle proprietà forestali. "Circa il 60% è proprietà privata e il 40% pubblica, ma anch'essa estremamente frammentata tra regioni e comuni”, spiega Stefani. “I piccoli proprietari, ammesso che li gestiscano, di solito ricavano solo legna da ardere o poco più. Per questo anche se l'Italia è ricca di boschi, la produzione è insufficiente. Persino per il pioppo, per cui siamo tra i leader mondiali, avremmo bisogno di una superficie produttiva doppia."

I boschi inoltre assolvono a funzioni pubbliche come prevenzione dei dissesti e tutela del paesaggio, per i quali il proprietario non riceve compensi. Nel complesso, argomenta Stefani, non è sorprendente che spesso i boschi non siano gestiti. In questo contesto complicato, i crediti forestali potrebbero essere una carta vincente per innescare processi virtuosi che coniughino lo stoccaggio del carbonio con una produzione di legno sostenibile.

"La gestione ha un costo, e vendendo i crediti si può andare in pari o guadagnarci”, aggiunge Stefani. “Ed è questo che noi speriamo. Aiutando una gestione forestale più vicina alla natura si può innescare anche, finalmente, un mercato del legno nazionale funzionante." Succederà, però, solo se i piccoli proprietari saranno capaci di aggregarsi in associazioni fondiarie e consorzi, come previsto dalla Strategia forestale nazionale, che permetteranno di condividere gli sforzi. "Anche accreditarsi ha un costo, si può fare solo se la superficie forestale è significativa", precisa la presidente.

L'alto valore dei crediti forestali è per Stefani un punto di forza anche se, sottolinea, restano le incognite. "Un investimento su vent’anni ha un certo margine di rischio”, conclude. “Ma l'interesse per i crediti è altissimo, e con un sistema consolidato e garantito dallo stato lo sarà ancora di più."

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In copertina: foto di Lukasz Szmigiel, Unsplash