Climate.gov, uno dei portali d’informazione sulla scienza del clima più consultati del web, all’inizio di quest’estate è stato chiuso dall’amministrazione Trump, che ha anche smantellato il team di professionisti che se ne occupavano. Provando a connettersi, si viene infatti automaticamente reindirizzati su una pagina dedicata al clima all’interno del sito web della National Oceanic and Atmospheric Administration (NOAA).

Ora, però, un team di volontari, composto da scienziati, content writer e web devolper, ha deciso che questo prezioso patrimonio di informazioni non deve andare perduto ed è già al lavoro per resuscitarne i contenuti, attraverso una nuova organizzazione e con una missione ampliata.

Come sarà il nuovo sito Climate.org

Il gruppo darà vita a un nuovo sito web (attualmente in costruzione) all’indirizzo Climate.us, che non solo offrirà analisi e interpretazioni pubbliche sulla scienza del clima, ma potrebbe anche fornire direttamente servizi specifici, come l'assistenza alle amministrazioni locali nella mappatura del crescente rischio di inondazioni dovuto al climate change.

L'iniziativa è guidata dall'ex caporedattrice di Climate.gov, Rebecca Lindsey, licenziata qualche mese fa dall’amministrazione Trump, che nel frattempo ha reclutato diversi ex colleghi disposti a offrire il proprio tempo per trasformare Climate.us in una fiorente organizzazione no-profit.

“Molti dipendenti federali sono addolorati per la sensazione di aver perso non solo un impiego, ma una vocazione e una missione”, ha spiegato Lindsey al Guardian a proposito dei professionisti che, come lei, hanno perso il lavoro. Anche altri volontari si sono fatti intervistare dal quotidiano britannico, chiedendo però di rimanere anonimi per paura di ritorsioni.

Dopo aver trovato un primo finanziamento a breve termine e il necessario supporto legale per dare il via all’iniziativa, il prossimo obiettivo è quello di organizzare una campagna fondi che possa portare a un sostegno permanente. “C’è bisogno di contenuti che aiutino i cittadini a raggiungere una conoscenza di base del clima e del climate change, indipendentemente dal contesto politico. Portando avanti l'eredità di Climate.gov, e cercando di ripubblicarne i contenuti più importanti, speriamo di poter diventare un punto di riferimento”, ha detto Lindsey. “Si tratta tra l’altro di informazioni che i contribuenti hanno già pagato: questa amministrazione sta cercando di nasconderle e portarcele via. È un abuso da parte del governo. È uno spreco di risorse. La gente dovrebbe indignarsi.”

La campagna di Trump contro il clima

L’oscuramento del sito Climate.gov è solo una delle tante azioni intraprese da Trump nella sua crociata anti-ambientalista, che ha preso il via subito dopo il suo insediamento alla Casa Bianca con diversi annunci choc: dall’addio all’Accordo di Parigi all’annullamento di una quota importante di fondi federali per la transizione ecologica, dalla soppressione dell’agenzia di cooperazione e sviluppo USAID alla cancellazione di ogni referenza al cambiamento climatico sui siti di ministeri e agenzie statunitensi. Alla guida della stessa NOAA, che secondo Project 2025 (il manuale strategico elaborato dalla Heritage Foundation, think tank conservatore noto per essere uno dei principali punti di riferimento ideologici delle politiche di Trump) “dovrebbe essere smantellata”, Trump ha messo Neil Jacobs, noto per aver alterato le previsioni sul percorso dell’uragano Dorian su pressione dello stesso presidente e sempre pronto a dare priorità alla politica sulla scienza.

L’impatto sul resto del mondo

La soppressione dei dati climatici da parte del governo statunitense ha implicazioni non solo nazionali, ma globali. La comunità scientifica internazionale dipende infatti dagli Stati Uniti per i dati critici che aiutano a rispondere ai disastri climatici, in particolare dalla diffusione di informazioni gratuite e accessibili al pubblico da parte di agenzie come NOAA, EPA (Environmental Protection Agency) e NASA (National Aeronautics and Space Administration), che monitorano vaste aree, compresi interi oceani.

Come sottolinea un’analisi della LSE (The London School of Economics and Political Science), l’interruzione di questo servizio rischia anche di aggravare le attuali disuguaglianze scientifiche e geopolitiche: se i paesi più ricchi possono avere la capacità di sviluppare in proprio fonti di dati affidabili, molti paesi del Sud del mondo non dispongono invece delle infrastrutture tecniche e delle risorse finanziarie necessarie per fare altrettanto.

Inoltre, quando una realtà potente come gli Stati Uniti si ritira dalla leadership climatica, rischia di inviare un messaggio pericoloso alle altre nazioni, ovvero che l'inazione in materia di clima possa essere accettabile, incoraggiando di fatto i governi a ridimensionare i propri sforzi e minando così i progressi collettivi.

Il dibattito sulla tutela dei dati scientifici

Di fronte agli atti dell’amministrazione Trump per sopprimere i dati climatici, numerose organizzazioni e gruppi di scienziati si sono mosse e stanno collaborando per proteggere queste preziose informazioni. Ad esempio, l'Environmental Data and Governance Initiative archivia i dati che riguardano le comunità più a rischio a causa delle politiche proposte dall’attuale inquilino della Casa Bianca. Altri gruppi, come i partner di Public Environmental Data, stanno contribuendo alla causa preservando strumenti essenziali come il Climate and Economic Justice Screening Tool, che la Casa Bianca ha eliminato. Lo stesso sta avvenendo all’estero, dove, per esempio, l’Agenzia spaziale europea, la Max Planck Society for the Advancement of Science in Germania e il Centro nazionale per la ricerca scientifica in Francia hanno archiviato i dati provenienti dalle statunitensi NOAA ed EPA.

La crescente resistenza da parte di scienziati, società civile e istituzioni accademiche dimostra che la scienza va considerata una risorsa pubblica condivisa e transnazionale, che non può essere facilmente cancellata. Allo stesso tempo, però, evidenzia il tema della responsabilità pubblica: senza un impegno istituzionale chiaro e duraturo, la conservazione e l’accessibilità dei dati rischiano di diventare frammentarie, dipendenti da risorse limitate e iniziative episodiche. Una sfida, quindi, duplice: da un lato bisogna garantire che i governi non possano manipolare o sopprimere informazioni scomode, dall’altro è necessario costruire un’infrastruttura di governance dei dati che sia stabile, trasparente e inclusiva.

 

In copertina: People's Climate Solidarity March Minnesota, 2017, Fibonacci Blues via Flickr