La Sicilia continua a sprecare una risorsa vitale: oltre metà dell'acqua potabile si disperde nella rete, mentre le dighe inutilizzabili o sottoutilizzate ne forniscono 173 milioni di metri cubi in meno rispetto alla capacità potenziale. L'isola rischia un collasso idrico imminente.

A dirlo è la Bozza referto sulla gestione dello stato di emergenza in relazione alla situazione di grave deficit idrico e alla criticità delle infrastrutture nel territorio della regione siciliana, pubblicata ad agosto e approvata dalla Sezione di controllo per la regione siciliana della Corte dei conti, che definisce le reti idriche siciliane un colabrodo. Il tasso medio di perdite idriche in Sicilia è infatti del 52,36% ma in alcune aree raggiunge punte a Siracusa (68%) e Catania (75%).

“I sistemi di distribuzione sono spesso antiquati e inefficienti”, spiega a Materia Rinnovabile Donatella Termini, docente di ingegneria idraulica all’Università di Palermo, di recente insignita dell’IAHR Fellow Award. “Le condotte sono vecchie, i sistemi di controllo inesistenti o non digitalizzati. Serve una riqualificazione completa, non solo interventi tampone. La digitalizzazione della rete, con telecontrollo e sistemi di regolazione in tempo reale, consentirebbe una gestione ottimizzata, riducendo drasticamente le perdite”.

Ma c’è di più. Il 52,2% dell’acqua immessa nelle reti va disperso, e gran parte delle infrastrutture idriche non è collaudata o è soggetta a restrizioni per motivi di sicurezza. “Questa è purtroppo la nostra triste realtà”, osserva Termini. “Siamo di fronte agli effetti di una gestione scoordinata e di scelte non lungimiranti. Gli investimenti sono stati spesso discontinui e non finalizzati alla manutenzione, che è fondamentale per mantenere efficiente un sistema idrico nel tempo. Senza manutenzione, anche le migliori opere diventano inservibili.”

Acqua sprecata per dighe parzialmente inutilizzabili

Le dighe siciliane, un patrimonio strategico fondamentale per l'isola, si trovano oggi in una condizione di grave sotto-utilizzo, con molte che operano sotto rigide limitazioni che riducono drasticamente la disponibilità idrica. Una situazione critica che impedisce alla Sicilia di sfruttare appieno il proprio potenziale idrico, nonostante la presenza di infrastrutture imponenti.

Secondo il recente rapporto della Conte dei conti, il panorama delle grandi dighe in Sicilia rivela una gestione frammentata e condizionata: delle 45 grandi dighe esistenti, solo 21 sono in esercizio normale, ben 8 operano in esercizio limitato, 11 sono ancora in fase sperimentale, 3 sono attualmente fuori esercizio, e 2 sono in costruzione, di cui una incompiuta da decenni. A queste si aggiungono tre dighe completamente incompiute: quella di Blufi (destinazione potabile), Laura (irrigua) e Piano del Campo (irrigua).

Dei 38 invasi artificiali attivi, quasi la metà, ovvero 20, sono assoggettati a limitazioni di riempimento. Queste restrizioni derivano in egual misura da due problemi principali: dieci invasi soffrono per l'assenza di collaudo, mentre gli altri dieci sono soggetti a limitazioni per ragioni di sicurezza imposte dall'Ufficio tecnico per le dighe di Palermo. Le conseguenze di queste limitazioni sono tangibili e preoccupanti per l'approvvigionamento idrico regionale.

Il volume disponibile degli invasi ammonta infatti a soli 757,23 milioni di metri cubi, che rappresenta appena il 67,1% del volume complessivo potenziale di 1.129 milioni di metri cubi. Ancora più nel dettaglio, la capacità utile originaria degli invasi gestiti dal Dipartimento acqua e rifiuti (DAR) è di 532 milioni di metri cubi.

Tuttavia, la capacità effettivamente erogabile si ferma a 359 milioni di metri cubi (il 67% del totale), evidenziando un deficit di capacità utile di ben 173 milioni di metri cubi (il 33% del totale) che non può essere utilizzato. Questo volume non fruibile è causato da due fattori principali: circa 40 milioni di metri cubi sono occupati da sedimenti, mentre la restante quota di 133 milioni di metri cubi non può essere accumulata a causa delle limitazioni d'invaso.

“Le dighe siciliane rappresentano un patrimonio strategico fondamentale”, ci spiega la professoressa Termini. “Ma molte di esse operano in condizioni limitate. La mancanza di collaudi e la necessità di mantenere livelli bassi per motivi di sicurezza riducono drasticamente la disponibilità idrica. Interventi di manutenzione programmata e collaudo sono essenziali per rendere queste strutture pienamente operative.”

Per affrontare solo la questione dei sedimenti e mettere in sicurezza gli scarichi profondi, i costi stimati ammontano a circa 120 milioni di euro, con un costo unitario medio di circa 80 euro al metro cubo. Un investimento necessario per sbloccare una risorsa idrica vitale. È chiaro che, nonostante la ricchezza di infrastrutture idriche, la Sicilia si trova di fronte a una sfida urgente. Senza interventi mirati e tempestivi di manutenzione, collaudo e rimozione dei sedimenti, gran parte del potenziale idrico dell'isola rimarrà inaccessibile, mettendo a rischio la sicurezza e la disponibilità d'acqua per i cittadini e l'agricoltura.

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PNRR: 31 progetti presentati, nessuno ammesso al finanziamento

Un altro dato allarmante contenuto nel documento riguarda i 31 progetti presentati dai Consorzi di bonifica per accedere ai fondi del PNRR, per un totale di 422,7 milioni di euro: nessuno è stato finanziato. I motivi? Errori procedurali e mancato rispetto dei criteri di ammissibilità, come la data di progettazione o l’importo minimo richiesto.

“È opportuno redigere programmi di investimento che mettano in atto un coordinato piano di gestione delle risorse idriche tenendo conto dell’efficienza del sistema e della sua affidabilità, anche in termini di sicurezza e qualità dell’acqua”, nota Termini. “In assenza di tale programmazione si compromette la possibilità concreta di mettere in sicurezza e modernizzare le infrastrutture. È un danno che pagheremo in termini di resilienza e competitività.”

Una governance caotica: pesa l’assenza di un gestore unico

La governance del ciclo idrico in Sicilia è gravemente compromessa da una frammentazione sistemica che minaccia la stabilità dell'approvvigionamento idrico nell'isola. Un documento recentemente emerso denuncia una situazione critica, evidenziando come il Dipartimento acqua e rifiuti della regione si trovi in una posizione anomala e unica a livello nazionale, agendo contemporaneamente come concedente e gestore diretto di ben 26 dighe.

La riforma del Servizio idrico in Sicilia aveva delineato la creazione di 9 ambiti territoriali ottimali (ATO), con confini che ricalcano quelli delle ex province regionali. Tuttavia, l'attuazione di questa riforma ha incontrato significative criticità, in particolare nella gestione del servizio idrico integrato (SII) in diverse aree. Comuni ricadenti negli ambiti di Trapani e Messina sono tra quelli che hanno riscontrato le maggiori difficoltà. Uno degli attori principali del sistema, la società Siciliacque, ha lamentato persistenti criticità economico-finanziarie.

La causa principale di queste difficoltà è attribuita al mancato incasso dei volumi idrici erogati. Un fenomeno, secondo Siciliacque, che è in parte una diretta conseguenza della mancata individuazione di un gestore unico in alcuni territori, come appunto Trapani e Messina, che ha portato all'assenza di un contratto di fornitura ben definito. La situazione dipinge un quadro di inefficienza e incertezza, dove la mancanza di una gestione coesa e di contratti chiari sta ostacolando non solo la sostenibilità economica dei servizi idrici, ma anche la capacità di garantire un futuro certo per l'acqua in Sicilia.

“È necessario superare questa frammentazione gestionale”, sottolinea Termini. “La gestione integrata è l’unica strada possibile: occorre un sistema unitario che metta insieme produzione, distribuzione e manutenzione, con un’unica regia e una pianificazione condivisa a lungo termine.”

Concessioni antiquate e dissalatori costosi: un sistema finanziario fuori controllo

Un ulteriore problema è che molte delle concessioni idriche in essere si basano su titoli risalenti a oltre cinquant’anni fa. Le proroghe automatiche sono state dichiarate, a più riprese, incostituzionali dalla Corte costituzionale. Il DDL regionale n. 834/2024 punta ora ad allinearsi con le norme europee, introducendo gare pubbliche e canoni aggiornati, con un potenziale incremento del 500% nei ricavi delle sole concessioni idroelettriche.

Parallelamente, la regione sta investendo oltre 280 milioni di euro per costruire nuovi dissalatori a Gela, Trapani, Porto Empedocle e in provincia di Palermo. Tuttavia, esperienze passate − come quella del dissalatore di Gela, costato 105 milioni di euro in debiti pregressi – suggeriscono prudenza. Il costo medio di esercizio stimato per i nuovi impianti di dissalazione nell'area di Palermo è di 2 euro per metro cubo. Il DDL regionale n. 976 del 2025 prevede una spesa massima annuale per la gestione dei dissalatori in costruzione che raggiunge i 32 milioni di euro l'anno entro il 2027 (con 9,9 milioni per il 2025 e 25,3 milioni per il 2026).

“I dissalatori sono una risorsa utile, soprattutto in periodi di prolungata siccità, ma da soli non bastano”, ammonisce Termini. “Serve una gestione integrata, che combini dighe, depurazione e dissalazione. Solo così si può garantire flessibilità e ottimizzazione in base alle condizioni climatiche e alla disponibilità idrica. La Spagna lo ha già dimostrato con successo.”

La gestione integrata, via d’uscita per affrontare la crisi idrica

La Sicilia si trova ad affrontare una crisi idrica senza precedenti, con la Corte dei conti che avverte del rischio di un collasso idrico imminente a causa delle siccità prolungate e della gestione frammentata. Per scongiurare tale scenario, la professoressa Termini propone un cambio di rotta radicale, suggerendo l'adozione di una strategia sistemica e integrata che superi gli interventi emergenziali.

Questa strategia si baserebbe su manutenzione, digitalizzazione e, in modo cruciale, sull'integrazione di diverse fonti d'acqua: dissalatori, impianti di depurazione e dighe. L'obiettivo è ottimizzare l'utilizzo delle risorse idriche per le diverse esigenze (agricole, civili, industriali) e nei vari periodi climatici, offrendo un approccio sostenibile. Sebbene le acque provenienti dagli impianti di depurazione possano essere usate per l'irrigazione, incontrano ancora ostacoli burocratici e infrastrutturali. I dissalatori, pur con costi di installazione elevati, sono considerati prioritari, ispirandosi all'esempio della Spagna.

Una programmazione ottimale degli investimenti è fondamentale per sfruttare la complementarità di questi sistemi. La gestione integrata di tali risorse è vista come la soluzione più efficace per affrontare la scarsità d'acqua nel contesto attuale di cambiamento climatico e crescente domanda.

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In copertina: foto di Sujay Paul, Unsplash