La Francia di Emmanuel Macron sta facendo fronte comune coi Paesi del gruppo Visegrad e con l’Italia di Giorgia Meloni per rimandare la scelta dei nuovi target climatici europei. La notizia non è del tutto nuova, ma un articolo pubblicato ieri da Politico Europe aggiunge dettagli sulle trattative in seno al Consiglio Europeo e apre il caso mediatico.
I governi che si oppongono ai target Ue 2040
Il tema è il rinnovo dei target di riduzione delle emissioni dell’Unione Europea. A novembre si aprirà in Brasile Cop30, l’ultimo round negoziale sul contrasto al riscaldamento globale delle Nazioni Unite. Per allora l’Unione, come tutti gli altri partecipanti all’incontro, dovrebbe aver presentato i suoi Nationally Determined Contributions (Ndc), gli impegni di decarbonizzazione che ogni Paese assume di fronte agli altri. Alla COP l’Ue si presenta in forma unitaria, e l’Ndc è uno per tutti e 27 i membri. La Commissione Europea ha fatto sua la proposta danese di darsi come obiettivo la riduzione del 90% delle emissioni - calcolate sui livelli del 1990, il massimo storico - entro il 2040.
Un’idea che ha trovato l’opposizione di governi storicamente ostili alla transizione come Ungheria e Polonia, dell’Italia di Giorgia Meloni e, a sorpresa, anche della Francia. Un fronte inscalfibile che ha ottenuto, la scorsa settimana, il rinvio della votazione sul tema. Anche la Germania si è accodata alla decisione ma Parigi, stando a quanto ricostruisce Politico, ha guidato il gruppo: “[Macron] era il più rumoroso della stanza”, dicono alla testata con sede a Bruxelles alcuni diplomatici presenti al tavolo delle trattative. Una decisione, quella di rimandare l’adozione del target, che a cascata ha fatto slittare anche il dibattito su un obiettivo ancora più urgente, ovvero la riduzione delle emissioni al 2035. “Macron si è unito al club dei cattivi climatici” è la sintesi di Politico.
A rischio l'eredità della Francia a 10 anni dall'Accordo di Parigi
“Noi leggiamo questo riposizionamento prima di tutto nel contesto nazionale francese. I media parlano in queste ore di un numero di manifestanti nelle strade di Parigi compreso tra i 500mila e il milione, il governo è caduto da meno di una settimana e il nuovo primo ministro, voluto da Macron, non ha il favore dei francesi” spiega a Materia Rinnovabile Marta Lovisolo, Senior policy advisor sulle politiche europee del think-tank ECCO. “In questa situazione, l’inquilino dell’Eliseo sembra cercare nella politica internazionale ed europea il consenso perduto. Ma così facendo, noi crediamo, mostra la sua debolezza. E a dieci anni dall’Accordo di Parigi rischia di perdere l’eredità della Francia come avanguardia climatica”.
Di sicuro il rapporto tra la transizione ecologica e la macronie, l’area politica cresciuta attorno all’attuale Presidente, è molto cambiato negli anni. Nel 2017, quando Donald Trump fece uscire per la prima volta gli Stati Uniti d’America dall’Accordo di Parigi, Macron rispose con un duro discorso intitolato provocatoriamente “Make our planet great again”, scimmiottando lo slogan dell’omologo americano. Ancora nel 2021, durante un summit organizzato dall’allora Presidente Joe Biden, il francese insisteva sull’importanza di darsi obiettivi di riduzione delle emissioni ambiziosi e vicini: “il 2030 è il nuovo 2050” disse. Toni diversissimi da quelli di oggi. Già nel 2023 Emmanuel Macron ha chiesto all’Europa una “pausa regolatoria”, e ora si trova alla testa dei Paesi refrattari ai nuovi target. “Non è solo il clima: tutta la sua traiettoria politica ci parla di un graduale spostamento a destra, alla ricerca dei voti di Marine Le Pen e del Rassemblement National” dice ancora Lovisolo.
Quali sono le condizioni poste da Parigi
La Francia, a differenza dell’Italia, dell’Ungheria o della Polonia, non si dice esplicitamente contraria all’obiettivo proposto dalla Commissione per il 2040. Un portavoce dell’Eliseo, sentito sempre da Politico, ha spiegato che il problema non è il -90%, “ma come raggiungerlo”. Tra le condizioni poste da Parigi c’è la cosiddetta neutralità tecnologica: il principio per cui dovrebbe essere il mercato, e non gli Stati, a individuare quali tecnologie siano migliori ai fini della decarbonizzazione. “Questa posizione ha tutto a che fare con la flotta nucleare francese - spiega la ricercatrice di Ecco - e col nemmeno troppo velato desiderio di Macron di inserire anche l’energia atomica nel computo dei target di crescita delle rinnovabili”. In passato, rispetto in particolare al dibattito sulla Tassonomia europea, si è assistito ad un accordo tra Francia, dipendente dal nucleare, e Germania e Italia, dipendenti dal gas, per inserire entrambe queste tecnologie nell’elenco di quelle ecologicamente sostenibili. “Qui la dinamica è però leggermente diversa. La cosiddetta neutralità tecnologica punta ad abbracciare il nucleare da un lato e i biocombustibili dall’altro, questi ultimi al fine di salvare il motore a combustione interna” conclude Lovisolo.
Pochi anni fa, l’idea di un fronte climaticamente conservatore guidato dalla Francia e con al suo interno la Germania e l’Italia sarebbe stata ai limiti del fantapolitico. Ma lo scenario politico europeo si è evoluto rapidamente, e oggi la transizione fatica a farsi strada dalle parti di Parigi.
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