Se in territori come la Sardegna rallentano i progetti di eolico di terra, in mare a bloccare lo sviluppo di svariati GW è il MASE, che da mesi non fa partire le gare, lasciando un intero settore industriale italiano in panne.

Aero, l’associazione di categoria nata dall’iniziativa di 13 soci fondatori e che oggi riunisce 63 imprese ed enti pubblici come l’Autorità di sistema portuale di Augusta e di Taranto e il Politecnico di Bari, ha chiesto ripetutamente al ministro Picchetto Fratin di dare seguito al decreto FER2 risalente oramai al 2024. Materia Rinnovabile ha incontrato Fulvio Mamone Capria, presidente di AERO, per fare il punto della situazione

 

Presidente, quale è lo stato dell’arte dell’eolico offshore italiano?

Oggi ci sono 130 progetti presentati nell’ambito del FER2. Di fatto i progetti pronti per essere messi in cantiere, con una VIA avanzata, sono 26, con un potenziale totale di 18,5 gigawatt. Di questi 26 progetti, 4 hanno avuto già il parere favorevole da parte del MISE e del MIC, per 2,3 gigawatt. Un quinto progetto è stato approvato dal MASE ed è in attesa del MIC per altri 500 megawatt.

Il decreto FER2 è stato pubblicato nell'agosto del 2024, con una tariffa incentivante di 185€, considerata adeguata sia per impianti fissi che flottanti, che richiedono un’ingegnerizzazione complessa. Cos’è successo poi?

A fine 2024 il MASE ha fermato l’asta sostenendo che non ci fossero abbastanza soggetti per competere, nonostante 1,3 GW erano già stati autorizzati. Nel 2025, quando i progetti autorizzati hanno raggiunto i 2,3 GW, viene fuori il problema della tariffa unica per impianti fissi (ad esempio davanti a Rimini e Ravenna) e galleggianti. La scusa è che la tariffa incentivante vada ad aumentare gli oneri di sistema in bolletta [che attualmente pesano per circa l’11% delle bollette, nda]. Va considerato però che gli impianti offshore necessiteranno di almeno cinque anni per essere costruiti, e si vedranno gli oneri di sistema sulle bollette nel 2031, quando il sostegno ai vecchi impianti fotovoltaici sarà esaurito. Di fatto il costo sarà di circa 1€ al mese per una famiglia italiana.

Frenare la filiera però costituisce un grave rallentamento nello sviluppo industriale del paese e una perdita di competitività.

Ogni euro investito nella filiera industriale dell’eolico offshore ne restituisce tre. 3,8 gigawatt di impianti genereranno 15 miliardi di euro di cantieri, di lavori, di trasporti, di assemblaggio. Questo può far nascere una filiera fatta di porti, di officine, che impiega acciaio e calcestruzzo. Abbiamo stimato una filiera di 11.400 lavoratori. Se arrivassimo a installare 20 GW, come da pipeline di progetti, l’eolico offshore apporterebbe un valore altissimo soprattutto nel Sud Italia, dove si creerebbe la maggior parte dei lavori e saremmo davvero in grado di abbassare il prezzo del kWh in bolletta.

Negli USA l’eolico offshore stava creando un immenso indotto sia nei settori portuali e navali sia nella cantieristica, prima che venisse depotenziato da Trump. Potrebbe essere così anche per l’Italia nel Mediterraneo?

Sicuramente potrebbe contribuire ad assorbire la crisi del settore dell’acciaio e dell’automotive, riposizionando lavoratori e impianti. Con un adeguato piano l’Italia, forte di grandi competenze cantieristiche nel settore navale, potrebbe guidare nel Mediterraneo una filiera innovativa dell'eolico galleggiante. La competizione sarebbe con la Francia, che ha già avviato un porto strategico, Port le Nouvel, dove oggi si costruiscono galleggianti in acciaio e in cemento armato e si è realizzato il primo impianto pilota di fronte a Marsiglia, con tre pale da otto megawatt l'una. Ma lo spazio di competizione c’è e cresce l’interesse in stati come Grecia, Turchia, Tunisia Malta e Israele.

Creare una filiera dei galleggianti potrebbe servire anche per il solare flottante e per altre iniziative di blue economy?

Sono la parte più costosa del progetto, che possono avere fino a 70 metri di lato e potrebbe essere un segmento della green economy integralmente italiano.

Per gli aerogeneratori, invece?

Siemens e Vestas producono pale da 12-15 megawatt, che non sono le più idonee per il Mediterraneo, mentre c’è interesse da parte dei cinesi che hanno pale anche da 20 MW. Il mercato qua si giocherà tra produttori europei e cinesi (che potrebbero aprire una fabbrica anche in Italia) a patto che ci sia certezza nella direzione industriale.

Tuttavia l’eolico di terra è stato criticato da una minoranza per l’impatto paesaggistico.

Qua siamo lontani dalla costa, in media a 25 chilometri, dove anche le pale più grosse si possono vedere al massimo nei giorni senza foschia. Quello che invece si conosce meno è l’impatto ambientale positivo. Gli aerogeneratori hanno un impatto nella fase di sviluppo, ma quando diventano operativi costituiscono dei santuari per i pesci, dato che stabiliscono habitat naturali per almeno 25 anni per crostacei, molluschi e mammiferi marini. Come AERO stiamo anche chiudendo accordi con i pescatori, sia per coinvolgerli nelle fasi di manutenzione, sia per mostrare loro come creando nursery attorno agli impianti andrà a ripopolarsi la pesca. Per gli uccelli oggi invece ci sono dei sensori radar che individuano gli stormi in un raggio di 2 chilometri e si adattano di conseguenza. 

Quali sono i rischi se il MASE non indirà le gare entro la fine del primo semestre del 2026?

Le aziende in gara hanno già investito 300 milioni di euro. Senza una visione per gli investitori, ci sarà l’ennesima fuga dall’Italia e scatteranno le richieste di risarcimento danni e restituzione degli oneri versati. Si fermerà una filiera industriale in crescita, limitando la disponibilità energetica per i nuovi datacenter in arrivo e rimarrebbero le super-bollette. L’eolico offshore è una tecnologia cantierizzabile oggi e produttiva in pochi anni. Non perdiamo questa occasione.

 

In copertina: Fulvio Mamone Capria