Nei Balcani sono attualmente previsti 3.188 nuovi progetti idroelettrici, di cui un centinaio in fase di costruzione e 1.836 già in funzione. È quanto emerge dal rapporto Balkan Hydropower Update 2024, realizzato dalle ONG Euronatur e Riverwatch.
Giunto al suo decimo anno di monitoraggio, il report traccia per la sesta volta l’evoluzione di un fenomeno mai sopito, anche se in leggero rallentamento, grazie a proteste, attivismo ambientale e la stessa campagna Save The Blue Hearth of Europe, che vede le due ONG tra i principali promotori.
"Vediamo questi risultati con sentimenti contrastanti", afferma Ulrich Eichelmann, CEO di Riverwatch. “Da un lato, abbiamo perso così tanti fiumi negli ultimi dieci anni, il che è triste, e ogni nuova diga è una di troppo. Dall’altro, i dati mostrano anche che si stanno costruendo meno centrali idroelettriche e si stanno salvando più fiumi. E questo dimostra che siamo sulla strada giusta. Ma senza dubbio dobbiamo continuare a impegnarci per far sì che il Cuore Blu dell'Europa continui a battere.”
In generale, stando all’ultimo aggiornamento, 452 progetti idroelettrici sono stati sospesi perché ritenuti non più realizzabili. Tra questi, spiccano 26 progetti nel Parco nazionale del fiume Vjosa in Albania, 15 lungo il fiume Neretva in Bosnia-Erzegovina, bloccati per decisioni politiche, e 405 in Grecia, ufficialmente respinti. Inoltre, ulteriori sospensioni sono attese in Bosnia-Erzegovina, dove una recente modifica alla legge sull’elettricità potrebbe fermare almeno altri 116 progetti.
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Gli hotspot dell’idroelettrico
Le minacce più gravi si concentrano in Bosnia-Erzegovina, Albania e Serbia, considerati dalle due ONG veri e propri epicentri della devastazione fluviale. In Bosnia, la Neretva e la Drina Superiore sono oggi tra i fiumi più a rischio di tutto il continente. Più di 50 impianti minacciano l’intero bacino della Neretva, dai grandi progetti come la diga di Ulog, appena completata, al gigantesco progetto Upper Horizons, il più vasto in Europa. La Drina Superiore, invece, rischia di perdere gran parte del suo habitat naturale, mettendo in serio pericolo lo Huchen, il salmone del Danubio, una specie già globalmente minacciata.
In Albania, con 27 cantieri attivi e 346 progetti pianificati, la situazione è altrettanto critica. Tra i casi peggiori, il fiume Shkumbini, dove ogni affluente è stato compromesso, e il parco nazionale Shebenik-Jabllanica, sotto costante pressione nonostante il suo status protetto. Sul Devolli, invece, la realizzazione delle dighe di Banja e Moglica ha trasformato il tratto superiore del fiume in una serie di bacini artificiali, compromettendone l’ecosistema.
Aree protette sacrificate per piccole produzioni di energia
Mentre negli ultimi anni gli sforzi di attivisti, ONG e comunità locali hanno contribuito a rallentare lo sviluppo di nuovi impianti, la minaccia rimane concreta, specialmente per “il fatto che oltre il 50% delle centrali idroelettriche pianificate e in costruzione si trovi in aree protette”, spiega Annette Spangenberg, responsabile della conservazione di EuroNatur, che definisce la situazione “estremamente preoccupante. Questo non solo vanifica lo scopo stesso delle aree protette, ma crea anche un pessimo precedente".
La stragrande maggioranza di questi progetti − in particolare nelle reti di protezione dei paesi non UE (Emerald), anche se vi sono casi nelle aree Natura 2000, come in Grecia − riguarda impianti di piccole dimensioni, con una potenza inferiore ai 10 megawatt che, sebbene producano una quantità limitata di energia, causano danni irreversibili ai fiumi e alle comunità locali.
Un andamento che stride con le ambizioni politiche dell'UE di migliorare lo stato dei fiumi in linea con la Direttiva quadro sulle acque e con la Nature Restoration Law. “Ciò include l'obiettivo di ricollegare 25.000 km di fiumi e pianure alluvionali rimuovendo le dighe e i sistemi di estrazione dell'acqua, un obiettivo chiave della Strategia dell'UE per la Biodiversità per il 2030”, ricorda il report.
In copertina: diga Mratinje sul fiume Piva, in Montenegro © Giorgio Kaldor, 2017