New York - “La Francia riconoscerà lo Stato palestinese”. Così il presidente Emmanuel Macron nel suo discorso alla Conferenza organizzata con l’Arabia Saudita all’interno dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, per sostenere la proposta della soluzione di due Stati. “Una misura storica”, l’ha definita Faysal ben Farhane, ministro degli esteri saudita, presente accanto al presidente francese. Lungo l’applauso riservato a Macron, mentre da Washington guardano con fastidio alla lunga parata di capi di stato, ministri e diplomatici accorsi alla Conferenza, nata per accelerare la creazione di un’entità nazionale sovrana per il popolo palestinese.

I Paesi che hanno riconosciuto la Palestina come Stato

Sono ben dieci i Paesi occidentali che lunedì hanno formalmente riconosciuto la Palestina come Stato: Andorra, Australia, Belgio, Canada, Gran Bretagna, Lussemburgo, Portogallo, Malta e San Marino, oltre alla Francia. Si sono tirati indietro solo Germania e Italia, anche se il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, in un punto stampa ha ribadito che “firmerà il documento che punta alla soluzione di due popoli e due stati: un documento che chiede fortemente ad Israele di favorire l’ingresso degli aiuti umanitari e tutto ciò che può essere utile al popolo palestinese”.
Tajani ha aggiunto che l'Italia andrà avanti nell'aiutare il popolo palestinese a realizzare il proprio sogno, “quello di essere protetto da uno Stato che noi vogliamo riconoscere e lavoriamo per costruire questo Stato più di ogni altro”. Un colpo al cerchio e uno alla botte per accontentare i tanti elettori di destra poco affini al sionismo, ma anche per non infastidire Trump, che, tramite il suo Segretario di Stato, Marco Rubio, aveva fatto di tutto per affossare la conferenza voluta dai francesi, risultata invece un grande successo diplomatico.

La condanna della Casa Bianca

La portavoce della Casa Bianca, Karoline Leavitt, ha condannato il riconoscimento, dicendo che “non fa nulla per liberare gli ostaggi, obiettivo principale in questo momento a Gaza”, e “non fa nulla per porre fine a questo conflitto e portare a termine questa guerra”. Uno smacco bello e buono per il presidente americano, che parlerà oggi all’apertura del segmento di alto livello. La forte presenza di cristiani millenaristi, da sempre filosionisti, tra i sostenitori di Trump lo costringe a sposare la linea radicale di Netanhyahu senza arretrare di un passo. E l’affare per la ricostruzione di Gaza è visto da tanti del suo inner circle come una grande opportunità di affari.

Anche Macron, insieme agli Stati del Golfo, guarda già oltre. Anche se con un’ottica diversa. Dopo “la prima fase”, quella del piano di pace, “la seconda fase è quella della stabilizzazione e della ricostruzione di Gaza”, ha dichiarato nella sala dell’Assemblea Generale. “Un'amministrazione di transizione che includa l'Autorità Palestinese, che avrà il compito di attuare lo smantellamento e il disarmo di Hamas, con il sostegno dei partner internazionali e i mezzi che saranno necessari per questa difficile missione. La Francia è pronta a contribuire a una missione internazionale di stabilizzazione e a sostenere, con i suoi partner europei, l'addestramento e l'equipaggiamento delle forze di sicurezza palestinesi”, ha detto. “Spetterà anche allo Stato di Palestina (...) offrire ai suoi cittadini un quadro rinnovato e sicuro per l'espressione democratica”.

Stato palestinese, Netanyahu: “Non accadrà mai”

Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha respinto i riconoscimenti e l'idea di uno Stato palestinese. “Non accadrà mai”. E intanto alcuni ministri del governo stanno spingendo Israele ad annettere parte della Cisgiordania. Una sfida accolta malissimo dai diplomatici arabi presenti a New York. Per i sauditi l’annessione della Cisgiordania avrebbe “importanti implicazioni”. Gli Emirati Arabi Uniti, che con Israele hanno relazioni, hanno definito l'annessione una “linea rossa”.

Il presidente palestinese Mahmoud Abbas, parlando alla conferenza delle Nazioni Unite in collegamento video (gli Usa gli hanno negato il visto, in una mossa senza precedenti), ha dichiarato che è giunto il momento che Hamas riconsegni le sue armi all'Autorità palestinese, sottolineando come non avrà alcun ruolo nel nuovo governo. "Abbiamo bisogno di portare aiuti a Gaza. Abbiamo bisogno del rilascio dei prigionieri", ha detto.

A un paio di isolati di distanza, oltre le transenne della polizia e le lunghe colonne di SUV Suburban ed Escalde neri delle delegazioni diplomatiche, un piccolo gruppo di manifestanti chiedeva a gran voce la fine del conflitto palestinese. Una richiesta che oggi sembra una possibilità concreta.


In copertina: UN Photo/Loey Felipe