I produttori di fast fashion sono avvisati. La Francia potrebbe diventare il primo Paese al mondo a limitare gli “eccessi” ‒ parola pronunciata dal Ministro della transizione ecologica Christophe Béchu – della moda ultra veloce, introducendo un sovrapprezzo basato sull’impatto ambientale dei prodotti tessili e regole più stringenti per i venditori online. L’Assemblea nazionale francese ha infatti approvato una proposta di legge giovedì 14 marzo che, oltre a limitare l’impatto ambientale di un modello caratterizzato da brevissimi cicli produttivi, ha l’obiettivo di risollevare l’industria tessile francese, duramente colpita dal turboconsumismo targato fast fashion.  

Secondo la parlamentare Anne-Cécile Violland del partito di centrodestra Horizons, che aveva proposto la legge a fine febbraio, i brand di fast fashion rinnovano continuamente le proprie collezioni, creando una strategia di marketing che induce i consumatori a comprare e scartare abiti più velocemente. “Questo modello tende a schiacciare tutta la concorrenza, compresi gli attori tradizionali del settore”, ha dichiarato Violland.

Cosa prevede la proposta di legge francese contro il fast fashion

Se la legge dovesse passare anche al Senato, a partire dal prossimo anno entreranno in vigore tre norme. La prima prevede che in tutte le piattaforme e-commerce che vendono vestiti e accessori di fast fashion ‒ cioè di produzione tessile a basso costo e delocalizzata ‒ vengano inseriti dei messaggi che incoraggino al riuso e alla riparazione e che diano informazioni sull’impatto ambientale dei prodotti.  

Il secondo articolo introduce un sovrapprezzo fino a un massimo 10 euro che non potrà superare il 50% del prezzo del capo d’abbigliamento. Si basa sul principio di EPR, ovvero la responsabilità estesa del produttore, e verrebbe calcolato in base all’impatto ambientale e alle emissioni di CO₂ generate dalla realizzazione dell’indumento, indipendentemente dal fatto che appartenga o no al fast fashion. Come ci spiega una portavoce di Refashion, consorzio che rappresenta oltre 5.000 imprese tessili francesi, la misura introduce anche uno schema di premialità che farebbe pagare meno i prodotti più sostenibili e di alta qualità.

Infine la terza norma prevede dal 1° gennaio 2025 di vietare le pubblicità online che incoraggiano l’acquisto di abiti e accessori fast fashion. Nel mirino ci sono anche i video a pagamento di influencer che ne promuovono la vendita scartando pacchi colmi di vestiti.

Rafashion ha accolto con favore la legge, ma ritiene che una questione così complessa richieda una chiara definizione di fast fashion e un approfondimento sulla portata delle misure proposte. “Non siamo a conoscenza di alcun criterio solido, misurabile e tangibile per identificare gli attori potenzialmente coinvolti dalla legge”, risponde via mail una portavoce di Refashion a una richiesta di commento di Materia Rinnovabile. “Siamo in attesa di chiarimenti da parte delle autorità.”

Il caso Shein

Secondo Refashion, in Francia nell’ultimo decennio il numero di abiti venduti annualmente è aumentato di un miliardo. Oggi raggiunge i 3,3 miliardi, ovvero più di 48 per abitante in media. Principale colpevole di questa sovrapproduzione, secondo il partito di centro destra Horizons et apparentés, è Shein, brand cinese che piace alla Gen Z e ha chiuso il 2023 con 23 miliardi di dollari di entrate. “Abiti a meno di 15 euro, giacche a 9,99 euro, magliette a 1,50 euro”, si legge nel preambolo della proposta di legge presentata da Horizons. “La marca Shein produce in media più di 7.200 nuovi modelli di abbigliamento al giorno e mette a disposizione dei consumatori più di 470.000 prodotti diversi.”

Secondo un recente rapporto della rete ambientalista Les Amis de la Terre France, Shein produce circa 1 milione di capi di abbigliamento al giorno, ovvero dalle 15.000 alle 20.000 tonnellate di emissioni di CO₂. Nel 2022 Greenpeace aveva invece denunciato la presenza di sostanze chimiche pericolose negli indumenti targati Shein.

Brand come Shein, Temu e Boohoo, stanno attirando quel tipo di consumatori che raramente vogliono o possono spendere più di 10 euro per riempire i propri guardaroba con prodotti alla moda. Secondo un rapporto dell’applicazione per lo shopping Joko, alla fine del 2023 Shein è stata la seconda piattaforma per acquisti di moda online in Francia. Il primo posto, tuttavia, è stato conquistato da Vinted, una piattaforma di abbigliamento second hand in rapida crescita.

“La mentalità del fast fashion sta volgendo al termine”, ha commentato a France 24 Cécile Désaunay, direttrice degli studi di Futuribles, società di consulenza che analizza trasformazioni sociali e trend di consumo. Secondo Désaunay, serve ripensare il valore dei prodotti che compriamo. Ora al Senato francese toccherà definire con più chiarezza il concetto di fast fashion. I produttori aspettano risposte.

 

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Immagine: Becca Mchaffie, Unsplash

 

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