Si è spento a una settimana dai suoi 90 anni l’ex presidente uruguaiano Pepe Mujica, simbolo di una politica sobria, votata alla sostenibilità sociale e ambientale. Lo aveva pronosticato qualche settimana prima, quando aveva annunciato di voler smettere di accanirsi contro il male che gli stava corrodendo il fisico, un devastante cancro all’esofago. È morto sereno: “Ho dato un senso alla mia vita, morirò felice”, aveva scritto sui social in uno dei suoi post.
Ex guerrigliero dei Tupamaros, è stato torturato e imprigionato per 14 anni durante la dittatura militare uruguayana degli anni Settanta e Ottanta. José Alberto Mujica Cordano – questo il suo nome completo – è stato uno dei presidenti latinoamericani più amati.
Socialista, rivoluzionario, era noto al mondo per la sua visione della società dei consumi capitalista e per lo stile di vita austero, tale da vedergli assegnato il titolo di “presidente più povero del mondo”. In realtà Mujica è stato il più ricco e amato dei politici degli ultimi decenni.
Amava citare Seneca e la saggezza Aymara: “Povero non è colui che tiene poco, ma colui che necessita tanto e desidera ancora di più e più”. Lo dimostrava con la praxis: donava il 90 % del suo stipendio da presidente, abitava in una modesta fattoria a mezz’ora da Montevideo, guidava un vecchio Maggiolone Volkswagen azzurro del 1987.
Con la sua vita ha portato avanti una delle critiche più incisive e allo stesso semplici al modello di consumo capitalista, che invece di liberare le masse spesso diventa un giogo e un peso. Un insegnamento scaturito dal suo amore per la vita e per la libertà, dopo anni di prigione durissima, in isolamento, dove l’unica via per sfuggire alla pazzia era “addestrare rane e nutrire i topi”.
Amava definirsi un viaggiatore leggero, ovvero un cittadino che invece di accumulare cercava solo lo strettamente necessario in grado di garantire salute e felicità, il fine ultimo dell’uomo che vive una vita breve e passeggera. “La gente non compra con il denaro, compra con il tempo che spende per ottenere quei soldi. Non si può sperperare questo tempo che viene rubato alla vita”, amava ripetere in tante interviste.
Durante la sua carriera politica è stato sia un rivoluzionario che un pragmatista, sempre pronto a comprendere la necessità del compromesso tra politica, bisogni sociali e visione ecologista. Come nella controversia sulla cartiera del fiume Uruguay tra Argentina e Uruguay. Grazie al suo abile lavoro di mediatore, nel 2010, le due nazioni hanno posto fine a una lunghissima disputa, firmando un accordo che prevedeva un complesso piano di monitoraggio ambientale del fiume e l'istituzione di una commissione binazionale.
Socialista fino al midollo, durante la sua presidenza (2010-15) si è adoperato per una serie di riforme orientate verso l’inclusione e il benessere sociale, in “uno dei continenti con più ricchezza e la peggior distribuzione di essa al mondo”.
Con il “Piano Insieme”, dichiarò l’emergenza socio-abitativa dei settori più vulnerabili della società, riguardante circa 15.000 famiglie. Lavorò a un modello dove accanto alla creazione di residenze si promuoveva la partecipazione sociale e lavorativa, per un miglioramento generale della qualità della vita. Nei quartieri sorsero maggiori opportunità di lavoro e nuovi spazi per studiare, con un impatto particolarmente significativo per le donne. Nel 2013 legalizzò la produzione, il commercio e il consumo della cannabis, sottraendola al mercato della criminalità organizzata.
La sua eredità, insieme a quella di Papa Francesco, genera la principale riflessione oggi per chiunque si occupi di ambiente: quale modello sociale ed economico va scelto se si vuole davvero realizzare uno sviluppo sostenibile inclusivo? Possiamo davvero attuare un capitalismo verde, oppure serve un nuovo modello produttivo e di socialità? Come possiamo rendere la transizione socialmente desiderabile e davvero soddisfare la promessa dimentica che la decarbonizzazione e la tutela della biodiversità porteranno ricchezza diffusa, salute e prosperità?
Una sfida che perdura e che non importa se non porteremo a termine. Lo ha detto bene Pepe Mujica. "Mi sono dedicato a cambiare il mondo e non ho cambiato un bel niente. Ma mi sono divertito", aveva raccontato a El País a novembre, stremato dalle sedute di radioterapia a cui si stava sottoponendo per curare il cancro. "E ho dato un senso alla mia vita. Morirò felice. L'ho passata sognando, combattendo, lottando. Mi hanno picchiato e tutto il resto, ma non importa, non ho debiti da pagare." Soprattutto con la Madre Terra.
In copertina: Pepe Mujica, Biblioteca Vasconcelos, Città del Messico, Protoplasma K via Flickr