Nel 2018, solo il 40% della popolazione africana aveva accesso a sistemi di allerta tempestiva (Early Warning System, EWS), con il risultato di un preavviso scarso riguardo ai rischi legati ai fenomeni naturali, e quindi perdite più gravi. Tuttavia, negli ultimi anni, l'Africa sta compiendo significativi passi avanti nella risposta alle emergenze ambientali, sempre più rapide e coordinate.
Un esempio emblematico di questo impegno è l’Africa Multi-Hazard Early Warning System, l’ambizioso programma dell’African Union Commission ispirato all'esperienza della Protezione Civile italiana. Finanziato dal Ministero degli Affari Esteri italiano e dall’Agenzia per la Cooperazione Internazionale (AICS), e implementato da UNDRR e Fondazione CIMA, il programma ha l'obiettivo di costruire una rete di allerta e risposta rapida per monitorare e gestire tempestivamente i rischi climatici.
La rete AMHEWAS come strumento di adattamento al climate change
Uno dei risultati di AMHEWAS è la realizzazione di “sale situazioni” strategiche in diverse nazioni africane, con centri operativi 24 ore su 24: in Etiopia, Kenya, Niger, Nigeria, Camerun e Mozambico sono in funzione le sale regionali e continentali, mentre nel 2024 sono state inaugurate le prime sale nazionali in Sudan e in Tanzania, a cui fra il 2025 e il 2026 si aggiungeranno quelle in Etiopia, Burkina Faso, Niger e Mozambico. Questi centri sono collegati attraverso la piattaforma myDEWETRA, sviluppata da Fondazione CIMA, che consente la raccolta e la diffusione in tempo reale delle informazioni sui rischi naturali, come alluvioni, siccità e incendi boschivi. Una rete che non punta però solo a mitigare il rischio e prevenire disastri, ma a promuovere un cambiamento culturale, rafforzando la resilienza delle comunità di fronte al cambiamento climatico di origine antropica.
“Fin dai primi colloqui con le autorità africane nel 2018, è stato chiaro che la parte più semplice da implementare riguarda la tecnologia e la raccolta dei dati, poiché molte risorse sono già disponibili – spiega a Materia Rinnovabile Luca Ferraris, presidente di Fondazione CIMA –. La sfida più grande, invece, è legata alla formazione delle persone e al capacity building, ovvero al supporto necessario per sviluppare e consolidare un sistema di allerta che possa funzionare su scala continentale con continuità, in particolare sotto il profilo dei finanziamenti”.
Una delle prime sale, quella continentale, è stata inaugurata proprio ad Addis Abeba, nella sede della stessa Commissione dell'African Union, dove vengono ricevuti i dati dalle altre sale regionali distribuite nel continente, in Africa Orientale, Occidentale, Centrale e Meridionale, ciascuna con un ente di riferimento. Le sale raccoglieranno e condivideranno informazioni in tempo reale, per garantire una risposta coordinata alle emergenze e un supporto tempestivo, anche tra diversi Paesi.
Sistemi di Allerta Precoce (EWS), dall’infrastruttura al dialogo
La creazione delle sale avviene in collaborazione con la Commissione africana e gli Stati membri, ma si realizza anche con un approccio graduale, tenendo conto delle diversità tra i vari Paesi in termini di spazi, tempi e risorse. “In Italia, la creazione di un sistema di allerta nazionale ha richiesto quasi vent'anni di lavoro e l’impegno di numerosi attori: dalle istituzioni locali e regionali fino ai cittadini – continua Ferraris – Il sistema africano, essendo estremamente complesso e costituito da numerosi Paesi, regioni e comunità, affronta sfide simili, ma amplificate dalle diversità culturali e infrastrutturali. Oltre alla gestione dei dati e delle tecnologie, un altro aspetto cruciale è l’adattamento della popolazione, che richiede una crescita e una sensibilizzazione continue. Non si tratta solo di applicare modelli matematici e tecnici, ma anche di capire e attuare comportamenti che possano ridurre i rischi e migliorare la resilienza delle comunità”.
Per questo serve un confronto a livello continentale, regionale e nazionale e con le comunità locali. “Questo dialogo deve essere bidirezionale: non basta comunicare solo le informazioni, ma è fondamentale ascoltare anche le esigenze e le difficoltà delle persone. Se la comunicazione fosse unidirezionale, si rischierebbe di ridurre la possibilità di coinvolgere veramente la popolazione, trattando le persone come soggetti passivi da spostare in caso di emergenza, piuttosto che come attori chiave nel processo di protezione. Non si tratta semplicemente di dire alla popolazione ‘dovete evacuare’, ma di ascoltare le loro preoccupazioni, per poter agire in modo che i movimenti e le decisioni siano compresi e accettati. Questo approccio mira a rispettare le libertà individuali, ma al tempo stesso a garantire la sicurezza della comunità, creando un patto di collaborazione tra istituzioni e cittadini”.
