Certo che la premier Giorgia Meloni avrebbe potuto fare almeno una mezza parola, una battuta, una dichiarazione a margine. Per dire che, sì, la Turchia è per l’Italia un interlocutore economico fondamentale, che gioca un ruolo politico decisivo in quello scacchiere, che potrebbe contribuire a far qualcosa per la pace in Ucraina e in Medio Oriente, ma non si può definire “normale” che il principale rappresentante dell’opposizione e probabile vincitore delle prossime elezioni presidenziali turche, il sindaco di Istanbul Ekrem İmamoğlu, sia in prigione dallo scorso 19 marzo con accuse risibili e chiaramente false, contro cui da allora manifestano in piazza sfidando violenza repressiva e arresti milioni di turchi. Invece Giorgia Meloni ha deciso di non dire nulla, assolutamente nulla.

Nella elegante Villa Pamphilj, dove ieri lunedì 29 aprile la nostra presidente del Consiglio ha ricevuto la delegazione turca guidata dal presidente Recep Tayyip Erdoğan, si è parlato di soldi, di immigrazione, di geopolitica, e si sono messe le firme in calce a nove accordi economici. I due leader si sono scambiati complimenti reciproci. “Giorgia Meloni è un’amica stimata dall’approccio coraggioso e determinato”, ha detto lui. Erdogan “è un partner importante”, ha detto lei.

Eppure nel 2021 l’allora premier Mario Draghi definì Erdogan “un dittatore con cui ci dobbiamo confrontare”, facendo infuriare la diplomazia turca. Eppure questo viaggio è il primo che il presidente turco compie all’estero dopo l’arresto di Imamoglu, di cui ha prima invalidato la candidatura definendo non valida la sua laurea, per poi sbatterlo in prigione, come “capo di un’organizzazione a delinquere colpevole di favoreggiamento, turbativa d’asta, corruzione e abuso di ufficio, nonché vicinanza al PKK”.

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Be’, la trasferta è andata liscissima: evidentemente la realpolitik suggerisce comportamenti diversi, e Meloni ha deciso di non guastare l’atmosfera festosa. Addirittura non ha battuto ciglio quando nella dichiarazione finale Erdogan ha detto che “l’Italia è ben consapevole del contributo della Turchia alla stabilità e alla sicurezza dell’Europa e del Mediterraneo, ha sostenuto fin dall’inizio il nostro processo di adesione all’UE, e manterrà questo approccio”. Certo per evitare guai e impertinenze si è non casualmente evitato di programmare domande dei cronisti.

Il business innanzitutto. Il volume degli scambi commerciali tra Italia e Turchia è arrivato a 32 miliardi di dollari e, ieri, i due leader hanno annunciato che puntano a salire a 40. Come? Con nove memorandum di intesa siglati tra i rispettivi ministri dei due governi che si aggiungono all'accordo tra Leonardo e Baykar Technologies.

In ballo ci sono progetti infrastrutturali in Turchia, Tanzania, Uganda, una nuova linea dell'alta velocità, un nuovo cavo sottomarino nel Mediterraneo dell'italiana Sparkle in collaborazione con la turca Turkcell, un accordo fra Leonardo e Baykar per la progettazione, lo sviluppo e la produzione (in Italia) di droni dedicati da fornire prioritariamente ai partner della NATO e dell'Unione.

Baykar Technologies è l'azienda turca produttrice dei noti droni Bayraktar, protagonisti delle guerre in Nagorno Karabakh e in Ucraina (almeno nella prima fase), ed è guidata dal genero di Erdogan, Selçuk Bayraktar. Sempre Baykar ha recentemente acquisito Piaggio Aerospace.

L'intesa prevede la creazione di una joint venture con sede in Italia per lo sviluppo, la produzione e la manutenzione di sistemi aerei senza pilota (UAS). Meloni ha definito questo accordo "significativo", sottolineando le potenzialità di valorizzare i punti di forza reciproci e aprire nuove opportunità di mercato, specialmente in Europa. Altri riguardano una cooperazione nell'ambito di scienza, tecnologia, innovazione, industria e investimenti, le attività spaziali per scopi pacifici, il contrasto al traffico illecito di beni culturali, lo sport e i servizi sociali.

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Ma c’è anche il tema dell’immigrazione. L’Italia di Giorgia Meloni ha bisogno della Turchia per controllare le partenze migratorie dalla sponda est, ma anche sud, del Mediterraneo, lato Libia. Da anni Ankara svolge un ruolo di contenimento: prima con l’accordo miliardario firmato con l’Unione Europea nel 2016, poi con relazioni bilaterali. Il governo Meloni considera un successo la diminuzione degli sbarchi e attribuisce una parte del merito proprio alla collaborazione con paesi come la Turchia. Ma questa cooperazione ha un prezzo, chiaramente.

L’atteggiamento di Meloni, che ha scelto di non intervenire pubblicamente sulle vicende turche, è stato duramente criticato dal centrosinistra. L’eurodeputato del PD Dario Nardella ha definito “vergognoso" questo silenzio, mentre il senatore democratico Filippo Sensi, sempre del PD, ha espresso il proprio disappunto per l’assenza di domande da parte dei giornalisti ai due leader.

Sulla stessa linea anche il segretario di +Europa, Riccardo Magi, e la deputata dem Lia Quartapelle: “Dall’opposizione Meloni tuonava contro la svolta autoritaria e islamista di Erdogan. Oggi da premier non vuole domande dai giornalisti e ignora l’arresto del leader dell’opposizione Imamoglu. Non ha il coraggio di Draghi ma almeno mostri la dignità di rappresentare una democrazia”.

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In copertina: Erdogan e Meloni © Palazzo Chigi