Le notizie che riguardano attività di collaborazione contribuiscono sempre a creare fiducia, e il mondo della sostenibilità in questo non si distingue. Per tale motivo è da salutare con grande felicità e aspettative l’annunciata collaborazione tra GHG Protocol e ISO per la costruzione di un framework metodologico condiviso per il calcolo delle emissioni di CO₂.

Per cominciare, è utile ricordare che con ISO si fa riferimento all’International Organization for Standardization, mentre il Green House Gas (GHG) Protocol è un’iniziativa nata da una partnership tra World Resource Institute e World Business Council for Sustainable Development che ha definito una metodologia di calcolo delle emissioni di CO₂ molto utilizzata nelle attività di rendicontazione. In ambito ISO, invece, le norme che fanno riferimento al carbon accounting sono quelle della famiglia ISO 14064x.

Lo scopo della collaborazione delle due organizzazioni è quello di armonizzare le metodologie di rendicontazione al fine di mettere a disposizione un riferimento unico per il calcolo delle emissioni di CO₂.

È certamente un tema tecnico, ma è anche evidente la sua crucialità: per poter ridurre le emissioni di anidride carbonica bisogna prima calcolarle, e prima ancora di calcolarle vanno definiti degli inventari solidi e il perimetro di rendicontazione. Senza questi passaggi preliminari, nessuna strategia di decarbonizzazione può essere efficace.

A oggi, aver avuto due standard di carbon accounting diversi ha rappresentato una criticità, poiché i due diversi approcci categorizzano le emissioni di CO₂ in maniera diversa. Ciò rende difficile un pieno confronto tra i dati. Inoltre, i due diversi standard non lavorano sullo stesso perimetro: non varia, quindi, solamente il modo con cui viene costruito l’inventario, ma cambiano anche l’estensione del carbon accounting.

Si dirà: ma le tonnellate di CO₂, al di là di come vengono ripartite, non sono sempre le stesse? La risposta è: sì, ma il modo in cui vengono mappate fa una grande differenza.

Il GHG Protocol individua tre categorie di emissioni: Scope 1, Scope 2 e Scope 3. In breve: le emissioni Scope 1 sono le emissioni dirette, ovvero quelle generate da mezzi di proprietà dell’azienda (caldaie, parco auto, ecc.); le Scope 2 sono le emissioni indirette che riguardano l’acquisto di elettricità o riscaldamento se prodotto da un fornitore; le emissioni Scope 3 sono le emissioni di tutta la catena del valore (dall’estrazione della materia prima fino allo smaltimento del prodotto venduto). Sulle Scope 3, il GHG Protocol individua in particolare 15 categorie con le quali seziona la catena del valore di un’azienda, offrendo quindi un approccio granulare rispetto alla mappatura della catena del valore.

La ISO 14064, invece, individua 6 categorie principali di emissioni: dirette, indirette da energia importata, trasporto di persone e materie prime (con mezzi non di proprietà dell’azienda), produzione delle materie prime utilizzate (con approccio cradle-to-gate), utilizzo dei prodotti messi sul mercato, altre emissioni.

Come si vede, i perimetri e gli inventari sono molto diversi. Per esempio: il GHG Protocol chiede di considerare anche le emissioni collegate alla gestione dei rifiuti prodotti dall’azienda (categoria 5, Scope 3), la ISO 14064 no. Qual è l’approccio migliore? È inevitabilmente discutibile, ma ovviamente aver incluso una categoria di emissione ne consente la gestione e la riduzione, il non considerarla, invece, no. E questo è solo uno degli esempi in cui le differenze incidono sul calcolo del totale delle emissioni.

Senza dimenticare, poi, che incasellare una fonte di emissione in una categoria piuttosto che un’altra incide sulle modalità di gestione e di abbattimento dell’emissione stessa: se, per esempio, con approccio GHG Protocol viene “spostata” una fonte di emissione da Scope 1 a Scope 3 (si pensi alle auto aziendali in leasing), significa che gli sforzi di mitigazione concettualmente non ricadono sull’azienda, ma sul fornitore. In presenza di due standard diversi, questa difficoltà ovviamente viene accentuata. Ben venga, dunque, un framework condiviso che risolva i disallineamenti, uniformi gli approcci e sia di sostegno ai piani di mitigazione delle emissioni di CO₂.

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In copertina: immagine Envato