Da oltre vent’anni Inalca, controllata del Gruppo Cremonini e tra i principali player in Italia e in Europa nella produzione e distribuzione di carni bovine, salumi e prodotti alimentari, sta costruendo una propria infrastruttura energetica per accompagnare la transizione del sistema industriale.

Un percorso iniziato con la ricerca dell’efficienza, attraverso la cogenerazione e il recupero di calore, e oggi orientato verso un obiettivo più ampio, quello di sostenere l’agricoltura rigenerativa e promuovere l’uso del biometano come motore di una nuova meccanizzazione agricola. L’idea alla base è di un sistema energetico integrato, in cui le aziende agricole del gruppo non solo si connettono alla capogruppo industriale, ma diventano parte di una rete territoriale capace di produrre, condividere e utilizzare energia rinnovabile.

Inalca, le origini dell’infrastruttura energetica

La traiettoria storica dell’infrastruttura energetica di Inalca ha inizio con la ricerca dell’efficienza. È stata una delle prime aziende del territorio emiliano a dotarsi di un sistema di cogenerazione industriale, cioè la produzione combinata, in un unico processo, di energia elettrica e calore, entrambi destinati all’autoconsumo.

Oggi dispone di dieci unità cogenerative, per un totale di oltre 16 megawatt installati. “Tra queste sono installati impianti alimentati a gas naturale e a fonti rinnovabili, in particolare biogas proveniente dagli impianti di digestione anaerobica e grassi animali colati. In questo modo il gas naturale, che costituisce la fonte fossile del sistema, viene impiegato in condizioni di alta efficienza”, racconta a Materia Rinnovabile Giovanni Sorlini, responsabile dell'area qualità, sicurezza e sviluppo sostenibile di Inalca. “Più recentemente è stata introdotta anche la trigenerazione, che rappresenta un ulteriore miglioramento dell’efficienza complessiva del sistema, in quanto consente di produrre, oltre a energia elettrica e calore, anche il freddo, ottimizzando ulteriormente i fabbisogni energetici dello stabilimento.”

Un ulteriore filone di lavoro si è concentrato sulle fonti rinnovabili, in particolare sulla produzione di biogas tramite digestione anaerobica. Il gruppo oggi dispone di sette impianti di digestione anaerobica, due di tipo industriale e cinque agricoli. “Tutti si trovano nella Pianura Padana. Quelli industriali sono a Ospedaletto Lodigiano e Pegognaga, mentre quelli agricoli si trovano presso le aziende La Marchesina in provincia di Milano, La Torre in provincia di Verona, Corticella in provincia di Modena, oltre ad altri siti della stessa area”, aggiunge Sorlini. “Al momento producono energia elettrica, ma sui più grandi si sta riflettendo su come affrontare la transizione al biometano.”

Il caso Biorg

Ai siti menzionati va aggiunto un ulteriore impianto sviluppato da Inalca in joint venture con l’utility Herambiente, situato in provincia di Modena. “Questo progetto è un esempio efficace di sinergia industriale tra aziende del territorio e di collaborazione con gli enti locali”, ci spiega Marco Di Silvestro, responsabile impianti di Biorg. “L’impianto nasce infatti dalla riconversione di un biodigestore esistente di proprietà del comune di Spilamberto, gestito da Herambiente. Senza utilizzo di nuovo suolo, grazie al know how maturato nei settori dell’economia circolare e della rigenerazione delle risorse e in seguito all’esperienza positiva del vicino biodigestore di Sant’Agata Bolognese, il Gruppo Hera ha avviato questo progetto che ha trovato risposta nella preziosa collaborazione con un’altra grande realtà del territorio, Inalca del Gruppo Cremonini.”

L’impianto può produrre fino a 3,7 milioni di metri cubi di biometano e 18.000 tonnellate di compost all’anno. Il gas naturale rinnovabile nasce grazie alla digestione anaerobica di rifiuti organici provenienti dalla raccolta differenziata di Modena e provincia, dagli scarti dell’industria agroalimentare locale e dai processi produttivi di Inalca. Una volta raffinato, il biometano entra nella rete gas, diventando combustibile rinnovabile per il trasporto pubblico e privato.

Le nuove prospettive, dall’autoconsumo alla CO₂

Grazie alle condizioni di mercato favorevoli, Inalca negli anni ha investito anche nel fotovoltaico, puntando in particolare sull’autoconsumo. Attualmente sono operativi 23 impianti fotovoltaici installati sui tetti di vari stabilimenti per una potenza complessiva superiore ai 19 megawatt. “La genesi di questa rete energetica è stata pensata sia per l’autoconsumo sia per sfruttare gli incentivi sulla produzione elettrica introdotti circa quindici anni fa”, continua Sorlini. “Oggi, però, in un contesto di calo dei contributi pubblici, la produzione è prevalentemente dedicata all’autoconsumo. Anche sul fronte del biogas, il nuovo quadro di incentivazione per la produzione di energia elettrica rappresentato dalla normativa FER2 non risulta particolarmente attrattivo. L’obiettivo del gruppo è quindi quello di concentrarsi sulla transizione al biometano, avendo come obiettivo primario sempre l’autoconsumo dell’energia prodotta.”

Ma cosa significa? “In ambito industriale, produrre biometano permette di ridurre l’impronta di carbonio degli stabilimenti senza stravolgere la struttura energetica esistente, ancora basata sulla cogenerazione, alimentandola con una quota crescente di gas rinnovabile. La strategia è particolarmente rilevante per chi rientra nel sistema ETS (Emission Trading Scheme) e lo sarà ancor di più con il nuovo ETS2, che estenderà gli obblighi di acquisto di quote di CO₂ a più imprese. In questo scenario, l’autoproduzione e l’autoconsumo di biometano diventano uno strumento chiave per aumentare l’autonomia energetica e contenere i costi”, spiega Sorlini, aggiungendo che in ambito agricolo, la prospettiva è forse meno tecnica ma più interessante. “La produzione di gas rinnovabile può guidare la transizione delle aziende agricole, ancora dipendenti dai combustibili fossili, alimentando macchine e mezzi agricoli con combustibili rinnovabili. La produzione di biometano comporta la produzione di CO₂ che viene generata come sottoprodotto di questo processo. Può essere recuperata e riutilizzata, ad esempio come gas refrigerante o per il confezionamento, sia all’interno del gruppo sia a livello locale, supportando altri stabilimenti che ne hanno bisogno.”

Parola chiave: integrazione

Sia per l’alimentazione dei mezzi meccanici a biometano, sia in parte per l’autoconsumo elettrico, la prospettiva resta comunque quella di un sistema sempre più integrato. “Gran parte dell’energia elettrica prodotta viene immessa in rete, aprendo la strada a modelli di smart grid e comunità energetiche. Se il biometano resterà destinato all’autoconsumo agricolo, il surplus elettrico potrà essere condiviso, trasformando l’azienda agricola in una vera infrastruttura energetica territoriale. Un tema ancora poco esplorato, ma su cui il quadro normativo si sta gradualmente definendo”, continua Sorlini.

C’è poi il tema dei fertilizzanti, che derivano dai sottoprodotti della digestione anaerobica. “Nelle nostre aziende agricole il digestato è sempre stato utilizzato in autoconsumo, riducendo la necessità di concimi chimici azotati. Guardando al futuro, con il revamping degli impianti di biogas e la loro conversione al biometano, il processo diventa più articolato, potremmo dire multidirezionale, in quanto viene rivolto alla produzione di energia, CO₂ e fertilizzanti avanzati; un nuovo approccio che vede la trasformazione di un impianto biogas, da impianto energetico a vera e propria ‘biofabbrica’. Il digestato non viene solo riutilizzato, ma valorizzato, ad esempio tramite la produzione di biochar con processi di pirolisi: un materiale che migliora la fertilità del suolo e sequestra carbonio, aprendo nuove possibilità per ridurre l’impronta di carbonio in agricoltura.”

A ciò va aggiunto che il sistema industriale agroalimentare di cui Inalca fa parte produce scarti non edibili, che possono essere utilizzati nelle reti di digestione agricola. “Questa sinergia non è solo intraziendale, ma interaziendale: un’integrazione tra i sottoprodotti del settore industriale, in particolare della macellazione, e quelli agricoli locali”, conclude Sorlini. “Il risultato è un progetto articolato, ma coerente, che mira a ridurre l’impronta di carbonio sia diminuendo l’uso di fertilizzanti chimici sia impiegando prodotti con capacità di sequestro del carbonio.”

 

Questo contenuto è realizzato grazie al supporto degli sponsor

 

In copertina: l’impianto Spilamberto, foto Inalca