Protezione della biodiversità, rigenerazione degli ecosistemi, mitigazione climatica. Il ruolo delle comunità indigene tradizionali – che rappresentano il 5% della popolazione mondiale ma custodiscono l’85% della biodiversità globale – è oggi riconosciuto come imprescindibile in qualsiasi percorso di sostenibilità che voglia essere davvero efficace e non una mera operazione di facciata. Eppure sono queste stesse comunità a subire sempre più spesso i danni maggiori portati dalla crisi climatica. Come sta accadendo in questi giorni nello Stato indiano dell’Assam, dove violente piogge monsoniche e inondazioni hanno già causato un centinaio di vittime e centinaia di migliaia di sfollati.

Proprio dall’Assam riparte allora il progetto Smily Academy, il primo acceleratore di impatto nato per promuovere il “fattore indigeno” nella transizione sostenibile delle imprese di tutto il mondo. La Smily Academy ha appena lanciato una nuova call per partecipare alla missione esplorativa tra Jorhat e Kaziranga, in Assam, che ospiterà dal 13 al 16 dicembre dirigenti d’impresa e ricercatori per un confronto sui temi e sui valori di responsabilità aziendale e gestione ambientale, abbracciando il fattore indigeno quale prospettiva per la sostenibilità.

La Smily Academy

Lanciata durante la COP28 di Dubai, la Smily Academy è stata fondata da Jadav Moloi Payeng, noto come il Forest Man indiano, appellativo che si è guadagnato per aver piantato albero dopo albero, nel corso di 45 anni, una foresta grande come 700 campi di calcio. Tra i fondatori dell’iniziativa, oltre al coordinatore della rete nazionale indiana di Al Gore, Rituraj Phukan, c’è anche Claudia Laricchia, accademica e ricercatrice, nonché prima non indigena a capo del Global Indigenous People’s Climate Justice Forum, che rappresenta 400 milioni di persone di 90 Paesi e ha sede proprio nell’Assam.

L’Academy, che ha oggi sede legale in Italia, “mira a portare un cambiamento trasformativo basato sulla reciprocità e lo scambio tra due mondi diversi”, spiegano i fondatori. “Da una parte la gioventù internazionale, le tecnologie all'avanguardia, le imprese, e dall’altra la saggezza indigena, la natura, le foreste e la biodiversità. È uno scambio decoloniale imprescindibile per affrontare alcune delle sfide più urgenti del mondo.” Si tratta in pratica di una piattaforma per far incontrare le eccellenze dei Paesi emergenti e quelle dei Paesi sviluppati al fine di creare insieme dei nuovi modelli di sviluppo rigenerativi.

Una missione esplorativa per indagare il “fattore indigeno”

Se la prima iniziativa della Smily Academy, nel marzo 2024, era rivolta ai giovani e alle startup e ha prodotto in una settimana 21 progetti di eco-imprese, la call di dicembre si rivolge invece a imprese già avviate e ricercatori sui temi del clima, della biodiversità e della sostenibilità.

Si tratta di una vera e propria missione esplorativa, che si svolgerà dal 13 al 16 dicembre tra Jorhat e Kaziranga, parco nazionale tra i più importanti dell’Asia e scrigno di biodiversità (dai rinoceronti indiani alle tigri del Bengala). L’obiettivo è trascorrere alcuni giorni con le comunità indigene dell’Assam e apprendere direttamente da loro pratiche e valori da applicare poi in vari modi al proprio percorso verso una “sostenibilità radicale”.

Il “fattore indigeno”, come spiegano dall’organizzazione, è un insieme di elementi che comprende coscienza ecologica, approcci ecosistemici, ma anche vere e proprie tecniche e conoscenze ancestrali che riguardano ad esempio le piante medicinali o la fauna selvatica. Una formazione intensiva di 3 giorni consentirà dunque a imprenditori e ricercatori di immergersi profondamente in un modello diverso di gestione delle risorse naturali, traendo spunti per le loro attività, ma anche avviando uno scambio con le comunità indigene. Perché l’obiettivo finale, come spiega Laricchia, “è creare una piattaforma di dialogo e supporto, reciproco e alla pari, per una causa comune più grande, tenendo conto di tutte le dimensioni della sostenibilità”.