Da Cernobbio - Il secondo giorno del Forum Ambrosetti è stato caratterizzato ancora da numerosi incontri legati a sicurezza internazionale multilateralista, difesa, debito, sviluppo industriale e riconfigurazione della transizione energetica. A prendere tutto il palco è stata la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, arrivata a Villa d’Este a Cernobbio alle 9, dove ha avuto un veloce bilaterale con Zelensky, prima del suo discorso davanti alla platea di imprenditori e imprenditrici.
Al centro del dialogo gli armamenti a lunga gittata ma anche la ripresa e la ricostruzione dell’Ucraina, in particolare delle infrastrutture energetiche tema di interesse delle tante aziende energetiche presenti: c’è il responsabile relazioni istituzionali di Eni, Lapo Pistelli, c’è l’AD di Enel Grids, Gianni Vittorio Armani, c’è l’amministratore delegato di Edison, Nicola Monti, c’è l’AD di Ansaldo Fabrizio Fabbri. E la conferma di aiuti per l’Ucraina arriva anche dal commissario UE Paolo Gentiloni: “Stiamo finalizzando il nostro lavoro sul prestito di 50 miliardi all’Ucraina basato sugli extra profitti degli asset russi immobilizzati”, ha detto durante un incontro con la stampa.
L’intervento di Giorgia Meloni al Forum Ambrosetti di Cernobbio
Ma è la presidente Giorgia Meloni ad avere tutte le telecamere e l’entusiasmo dei presenti. Poche volte si è vista in veste così neoliberista e da capo di stato. “Siamo il nono governo più longevo della storia repubblicana, saremo il sesto se arrivo a Natale”, ribadisce alla platea, mentre invoca un’Europa che esca dal cliché che vuole che l’America innova, la Cina replica, l’Europa regolamenta.
“Io penso che la soluzione sia regolare meno, mentre l’Europa si deve occupare di cose che gli stati membri non posso fare da soli [ovvero la difesa, come detto successivamente, nda]: non possiamo promuovere la competitività e aggiungere sempre nuove regole”, dice echeggiando un Ronald Regan di quarant’anni fa. Mentre attende la conferma delle deleghe del commissario Fitto, rincara l’ostilità contro il Green Deal, difendendo il proprio appoggio alla transizione ma lontano “dalle posizioni ideologiche della legislatura precedente”, rilanciando il tema della neutralità tecnologica e del nucleare.
La transizione energetica è importante ma, se ideologica, dice, si rischia di andare dritti verso la de-industrializzazione della nazione e dell'Europa. Ma per le riforme i soldi sono pochi, anche se sul PNRR sta facendo bene. Pochi riferimenti al protezionismo ma molto laissez faire, che ha convinto il gotha dell’economia (poca la finanza presente), che l’ha applaudita sinceramente.
Picchetto Fratin: sul nucleare avanti tutta
Punto stampa e nugolo di fotografi anche intorno al ministro dell’ambiente e della sicurezza energetica Pichetto Fratin che rafforza il messaggio del governo ripetuto a ogni occasione: il gas è sicurezza, il nucleare sta tornando. Mentre evita la domanda sull’efficienza degli edifici (ma dobbiamo riconoscere che i punti stampa italiani sono a volte ingestibili), non perde l’occasione di rispondere a tutte le domande sul nucleare.
“Entro fine anno il professor Giovanni Guzzetta [al vertice del gruppo legislativo che definirà la roadmap del possibile ritorno del nucleare in Italia, nda] consegnerà il quadro complessivo, con un’analisi di ciò che bisogna introdurre come norma primaria e come regolamenti e che dovrà trasformarsi in un disegno di legge. Ma a questo punto i tempi non li detto io, bensì il Parlamento”, spiega Fratin. “Io mi auguro che nel corso del 2025 si possa chiudere il processo di valutazione normativa.” Il nuovo quadro giuridico è necessario perché ora si parla non delle tecnologie discusse dai referendum, ovvero la seconda generazione, bensì della quarta generazione, come Small Modular Reactor, i “piccoli reattori nucleari da 100 a 450 megawatt che saranno disponibili nella prima metà del prossimo decennio. Nel Piano integrato energia e clima sono previsti al 2035.”
A fare da spalla alla proposta nucleare, che tenta parte dell’opposizione e numerosi giovani, anche ecologisti, è stata presentata la ricerca di TEHA sull’argomento [del cui focus group ha fatto parte anche il direttore di Materia Rinnovabile, ndr]: Il nuovo nucleare in Italia per i cittadini e le imprese. Secondo la ricerca commissionata da Edison e Ansaldo, lo sviluppo del nuovo nucleare in Italia, installando fino a 20 impianti Small Modular Reactor (SMR) / Advanced Modular Reactor (AMR), si potrebbe soddisfare circa il 10% della domanda elettrica al 2050 – con un impatto economico complessivo per il paese superiore a 50 miliardi di euro (circa il 2,5% del PIL italiano del 2023), attivando fino a 117.000 occupati diretti, indiretti e indotti dal 2030-35 al 2050.
“Il nuovo nucleare, basato su reattori con potenza tra 100 MW e 450 MW, può produrre energia decarbonizzata, programmabile e modulabile, che è complementare alle fonti rinnovabili intermittenti”, ha dichiarato Fratin. I plus della nuova generazione sono i tempi e i costi di costruzione ridotti (si costruisce off-site), la sicurezza rafforzata e una scala dimensionale che minimizza il consumo idrico e del suolo e la capacità di combinare produzione elettrica e calore, fondamentale per i settori hard-to-abate.
“Per l’Italia si riapre una nuova riflessione sul ruolo benefico che le nuove tecnologie nucleari disponibili o in via di sviluppo possono giocare nel mix energetico italiano, integrando le energie rinnovabili e assicurando la continuità e la sicurezza della fornitura elettrica", ha commentato Daniela Gentile, amministratrice delegata di Ansaldo Nucleare. "Con grande resilienza numerose aziende italiane, non solo il nostro gruppo, hanno mantenuto e sviluppato capacità nel settore nucleare e hanno ora l'opportunità di divenire protagoniste nello sviluppo del nuovo nucleare nel più ampio mercato europeo e internazionale e supportare la fondamentale azione di informazione trasparente a tutti i livelli, per creare un ampio consenso sul quale contare per sviluppare un affidabile programma nazionale”.
I dati portati all’attenzione sono importanti: 70 aziende italiane specializzate nel settore dell’energia nucleare e che confermano una forte resilienza di questo comparto a tre decenni dall’abbandono della produzione elettrica da nucleare in Italia. Il valore strettamente legato all’ambito nucleare generato dalle aziende di questa filiera si attesta nel 2022 a 457 milioni di euro, con circa 2.800 occupati sostenuti, e l’Italia si posiziona 15° a livello globale e 7° in UE-27 per export di reattori nucleari e componenti tra il 2018 e il 2022.
Inoltre, l’Italia dispone di un sistema di ricerca all'avanguardia con diversi centri di eccellenza, tra cui il Centro ENEA di Brasimone, e numerose facoltà di ingegneria nucleare presenti su tutta la penisola. Infine, il Belpaese è 5° al mondo per produzione scientifica sul nucleare e 2° per impatto delle pubblicazioni legate al nucleare. “Una competenza unica che servirà come ponte anche per la fusione nucleare”, commenta Gentile durante un’intervista all’autore che sarà pubblicata integralmente nei prossimi giorni.
Sace, PMI e Green per rafforzare l’export italiano
Se a Villa d’Este sono i big dell’industria italiana a sorseggiare caffè e aperitivi lungo la riva del lago di Como, per lo sviluppo del tessuto economico gli occhi sono puntati soprattutto sulle PMI italiane. Per fare il punto della situazione, SACE ha presentato la ricerca Obiettivo SPARKLING, per puntare l’attenzione sul ruolo di crescita, efficientamento ed export delle PMI. “Secondo le stime di SACE, le esportazioni delle PMI italiane cresceranno dell’1,5% circa nel 2024 e del 3,5% nel 2025, raggiungendo i 260 miliardi di euro grazie in particolare al traino delle medie imprese, vero e proprio motore delle filiere”, spiega Alessandro Terzulli, Chief Economist di SACE.
A guidare la crescita delle vendite estere delle PMI quest’anno sarà l’Oriente: Medio Oriente e Asia Orientale le aree per cui sono infatti previsti significativi incrementi, rispettivamente +6,1% e +2,3%. Non sarà da meno l’America settentrionale (+3,8%), mentre la crescita sarà piatta verso l'Unione Europea, che rimane comunque la principale area di destinazione. Nel 2025 un maggior dinamismo verrà mostrato dall’Africa subsahariana (+10,1%). Digitalizzazione, transizione energetica, trasformazione culturale sono i driver: circa una PMI italiana su tre investe in innovazione e formazione e questo accresce del 15% l’export capability di un’impresa, una cifra rilevante.
“Abbiamo notato che l’export della filiera della sostenibilità ha un tasso di esportazione due volte superiore alle imprese tradizionali, che ne denota la dinamicità. Per questo abbiamo sviluppato una struttura finanziaria ad hoc, Push Green”, spiega a Materia Rinnovabile Alessandra Ricci, amministratrice delegata di SACE. “Con essa identifichiamo controparti che fanno investimenti di natura sostenibile e processi di transizione di big player mondiali e li mettiamo in contatto con la filiera italiana green. Abbiamo anche lanciato un prodotto come garanzia per i rischi climatici per le PMI, una per affrontare eventi impattanti di natura sistemica”.
Niente stop, invece, alle garanzie per l’export dell’industria oil & gas. “Dobbiamo avere una strategia di uscita dalle fossili allineata alle policy sottoscritte dall’Italia, anche in sede COP”, continua Ricci. “Serve valutare l’impatto complessivo, ambientale e sociale, cercando di pensare al phase-in, una transizione di natura sostenibile dove si concede il tempo di fare cambi di natura tecnologica, senza forzare la transizione.” Insomma, avanti con la transizione, ma senza spingere troppo. Basterà all’Italia?
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Immagini: Forum TEHA di Cernobbio