Permettono di immagazzinare l’acqua nel suo serbatoio più prezioso, il sottosuolo, con impatti ambientali e costi inferiori rispetto ai bacini di superficie, eppure, per decenni, le tecniche di ricarica delle falde in condizioni controllate (Managed Aquifer Recharge, MAR) sono rimaste invisibili quasi quanto l’acqua che custodiscono.

Oggi però qualcosa sta cambiando. Lo scorso settembre il gruppo Sanpellegrino ha annunciato un grande progetto di ricarica nell'alta pianura vicentina. Solo un anno fa, Coca-Cola HBC Italia ha lanciato un'iniziativa analoga nel Veronese. Se a guidare l'interesse dei grandi gruppi del beverage per questa tecnologia è la necessità di compensare l'impronta idrica inevitabilmente correlata con il loro business, le innovazioni e sperimentazioni su questa tecnica si susseguono, guidate dalla ricerca e finanziate prevalentemente da fondi pubblici e progetti europei. Ma trasferirle su larga scala, almeno in Italia, è ancora difficile.

Il progetto Sanpellegrino nel Brenta: acqua restituita al territorio

Nell’alta pianura vicentina, dove un tempo le risorgive affioravano abbondanti e oggi si sono impoverite dopo decenni di prelievi eccessivi e impermeabilizzazione del suolo, Sanpellegrino ha finanziato un nuovo sistema di ricarica della falda, sviluppato con Etifor, società di consulenza ambientale e spin-off dell’Università di Padova, nell'ambito del Consorzio di bonifica del Brenta.

Il progetto, frutto di un lavoro iniziato nel 2023 e lanciato ufficialmente nel settembre 2025, è interamente sostenuto dal gruppo (oltre 1 milione di euro) e prevede di stoccare circa 758.000 metri cubi d’acqua ogni anno. L’impianto comprende due piccoli bacini artificiali: il primo consisterà in un’area umida con vegetazione filtrante; il secondo, dotato di fondo ghiaioso, permetterà all’acqua di infiltrarsi naturalmente nella falda.

Il sistema sarà in funzione da ottobre a maggio − i mesi di eccedenza idrica − per rendere disponibile l’acqua nei periodi estivi di maggiore necessità. Aspetto peculiare del progetto, ci spiega Lucio Brotto, socio fondatore di Etifor, è la possibilità di mantenere produttivi i terreni che circondano e alimentano il bacino, i quali verranno gestiti con agricoltura rigenerativa, trasformando colture idrovore come il mais in prati stabili con specie adattate al contesto, adeguate per il pascolo.

"Il terreno mantiene una sua vocazione agricola, e il modello è altamente replicabile altrove", spiega Brotto a Materia Rinnovabile. Il progetto prevede ricadute ambientali e sociali, tra cui la messa a dimora di 7.900 piante tra erbacee e alberi (1.400 alberi intorno al bacino), l’uso di prati melliferi e la creazione di un’area naturale fruibile dalla cittadinanza, con percorsi educativi e punti di osservazione per la fauna, mentre i cittadini e le scuole locali potranno partecipare alle piantumazioni. Sanpellegrino si è impegnata inoltre a garantire la manutenzione dell’impianto per i prossimi vent’anni.

Coca-Cola nel Veronese

Un anno prima, sempre in Veneto ma in provincia di Verona, Coca-Cola HBC Italia ha siglato con il Consorzio di bonifica veronese un accordo decennale con l’obiettivo di ricaricare la falda acquifera superficiale e rivitalizzare l’antico sistema delle risorgive.

Il progetto prevede la creazione di aree forestali di infiltrazione: terreni agricoli e alberati attraversati da canali su suoli altamente permeabili, che consentiranno di convogliare circa 800.000 metri cubi d’acqua all’anno, provenienti dalla falda superficiale dell’Adige. L’iniziativa nasce per compensare i prelievi dello stabilimento di Nogara, ma ha un valore più ampio: contribuire alla rigenerazione idrica di un territorio oggi in forte sofferenza.

Sia Sanpellegrino che Coca-Cola HBC precisano che l’acqua restituita alle comunità non coincide con quella imbottigliata: la prima non attinge nella zona del suo progetto, mentre lo stabilimento di Nogara utilizza falde molto più profonde.

"Quello che fanno queste aziende è volontario", spiega a Materia Rinnovabile Giustino Mezzalira, esperto di riqualificazione fluviale, conservazione delle risorgive e ricarica delle falde, per anni a capo della Direzione ricerca di Veneto agricoltura. "Stanno colmando il loro debito idrico, un impegno che nasce da scelte aziendali e da una crescente attenzione alle certificazioni ambientali.” E tra i metodi di compensazione dell'impronta idrica, prosegue, e tra tutti gli sforzi per raggiungere un ciclo idrico integrato, la ricarica delle falde "è la più efficace e competitiva: con un piccolo costo le aziende possono saldare il proprio debito idrico. Tutti parliamo di circolarità ma quello che si fa è spesso riportare in natura le acque estratte dopo averle utilizzate. Così non si chiude veramente il cerchio, si estrae una risorsa pregiatissima dal sottosuolo e la si riconsegna in superficie in condizioni molto peggiori, cosa che ricaricando gli acquiferi non avviene."

Il panorama in Italia: eccellenze ma ancora rare

I progetti del beverage non nascono nel vuoto. In Italia, i primi esperimenti di ricarica artificiale delle falde risalgono agli anni Sessanta, ma solo pochi sono stati realizzati su vasta scala. Uno dei più riusciti si trova proprio accanto all’area del nuovo progetto Sanpellegrino e ne è a tutti gli effetti il progenitore.

Grazie al Consorzio di Bonifica del Brenta e ai programmi europei LIFE, dal 2007 sono state realizzate aree di infiltrazione forestale (AFI) estese per 16 ettari, attraversate da canali permeabili, che dal 2012 formano una piccola foresta (il Bosco Limite) che immagazzina circa 1 milione di metri cubi d’acqua l’anno. Un modello premiato dalla Commissione europea tra le migliori pratiche in Europa, che per Mezzalira, tra gli ideatori, si è rivelato "mostruosamente efficace", dal momento che, a differenza dei bacini di infiltrazione che tendono a riempirsi di limo diventando meno permeabili, i canali necessitano di una manutenzione più semplice.

Altrettanto "eccellente" è il sistema di ricarica nella zona del fiume Serchio, in Toscana, riconosciuto dalle Nazioni Unite come uno dei 28 esempi di rilevanza globale per l’uso di queste tecniche. Qui il metodo utilizzato è quello della ricarica indotta di subalveo, con l'acqua che filtra dal corso d'acqua attraverso gli acquiferi e viene poi usata con scopi idropotabili per circa 15 milioni di metri cubi l'anno. Grazie alla filtrazione attraverso la falda, ci spiega Rudy Rossetto, docente alla Scuola universitaria superiore Sant’Anna di Pisa e tra i massimi esperti italiani del settore, si ottiene anche una importante riduzione della contaminazione microbiologica ed organica presente nelle acque superficiali.

Pur essendo praticata da anni, in Italia la ricarica delle falde è stata regolamentata nel 2016, e gli impianti ufficialmente autorizzati si contano sulle dita di una mano: a Suvereto (Livorno) e nel bacino del Marecchia, in Emilia-Romagna. Per Rossetto "questo ritardo riflette una carenza culturale. Le tecniche di ricarica sono poco insegnate, perciò pochi professionisti le propongono. In Europa prevale un approccio eccessivamente prudente, spesso dovuto alla scarsa conoscenza dei rischi reali di contaminazione".

Rossetto sottolinea anche un paradosso economico: “Gli impianti di ricarica sono molto più economici e facili da realizzare rispetto a dighe e invasi, ma proprio per questo offrono meno visibilità politica. Un bacino da 10 milioni di metri cubi può costare 50-60 milioni di euro, mentre un sistema di ricarica ne costa dieci volte meno”.

Prospettive future

Nonostante le lentezze burocratiche, in Italia si stanno sperimentando modelli innovativi. Il progetto Life Svolta Blu, ancora nell’Alto Vicentino, sta testando un mercato delle quote idriche basato sulla ricarica delle falde, ispirato ai crediti di carbonio.

Dal punto di vista tecnico, la prossima frontiera potrebbe essere l’uso di acque affinate − quelle trattate con processi terziari dopo la depurazione urbana − autorizzate dal Decreto ambiente del 2024. "Ma al momento nessuno sta ancora lavorando concretamente in questa direzione", osserva Rossetto. “L’Italia produce molta innovazione teorica, ma la trasferibilità è ancora molto lenta."

In questo contesto, l’interesse dei privati, e del settore beverage in particolare, collegato inestricabilmente al prelievo di parte della preziosa risorsa, non potrà risolvere da solo il problema della scarsità idrica, ma può contribuire a mantenere alta l’attenzione pubblica e a promuovere una cultura dell’acqua, che guarda anche sotto la superficie.

 

In copertina: immagine Envato