Le parole chiave del prossimo rinascimento energetico sono due: sostenibilità e generatività sociale. Se la prima abbiamo ormai imparato a conoscerla in tutte le sue sfaccettature e declinazioni, la seconda è ancora relativamente nuova. Si tratta di un cambio di mentalità che presuppone un ruolo proattivo dell’individuo e della comunità, rimettendo nelle loro mani la possibilità di impattare concretamente e positivamente su tutta la società, attraverso nuovi modi di produrre, connettere, distribuire. E se la generatività la si applica al settore dell’energia, ecco che ne nascono le comunità energetiche rinnovabili o CER.

Oggi al centro di un vivace dibattito sia culturale che normativo, le comunità energetiche sono da molti indicate come uno degli strumenti più efficaci per raggiungere gli obiettivi della transizione energetica e della decarbonizzazione, affrontando al contempo il problema sempre più urgente della povertà energetica.

Ne abbiamo parlato con Giuseppe Milano, ingegnere e giornalista ambientale, autore del volume Comunità energetiche. Esperimenti di generatività sociale e ambientale (Pacini, 2024).

Giuseppe Milano

 

Partiamo innanzitutto dalle definizioni: che cos’è una comunità energetica?

Le comunità energetiche sono dei soggetti giuridici, così come li individua la Commissione europea, costituiti da soggetti pubblici o privati che operano o abitano su un territorio, quindi pubbliche amministrazioni, Comuni, enti locali, parrocchie, imprese, realtà del terzo settore, università, centri di ricerca, condomini. Insomma, tutte le realtà che di fatto condividono la possibilità di produrre insieme energia pulita per soddisfare soprattutto il proprio autoconsumo. Autoprodurre energia per il proprio fabbisogno – e senza scopo di lucro – è infatti l'obiettivo principale che si possono dare le comunità energetiche, conciliando i tre cardini della sostenibilità sociale, ambientale ed economica.

Questa è dunque la definizione della Commissione europea, che viene formalmente associata al principio istituito della condivisione dell'energia o, come oggi la si inizia a chiamare, della democratizzazione dell'energia, un principio che affiora dalla direttiva Red II sulle energie rinnovabili, recentemente emendata dalla Red III (non ancora recepita in Italia). L’obiettivo generale, emerso dalla COP28 di Dubai, è di triplicare la produzione globale di energia rinnovabile e raddoppiare l’efficienza energetica. Il problema è che fino a oggi il lavoro che hanno fatto i grandi player del mercato dell'energia, a prescindere dalle questioni di merito, non è stato sufficiente per perseguire gli obiettivi di decarbonizzazione. Per cui partendo da questo assunto, si comincia ora a capire che è necessario allargare la platea di attori del mercato, e che questa platea deve essere fortemente innestata sui territori. Soltanto il protagonismo dei territori può infatti concorrere a un processo serio di innovazione sociale, oltre che di innovazione ambientale.

Oltre all’obiettivo ambientale, c’è dunque un forte aspetto sociale legato alle CER, che riguarda innanzitutto la questione della povertà energetica.

Esatto. Di fatto oggi con le comunità energetiche cerchiamo di rovesciare le regole del gioco. Attivando i territori, si vuole passare da pochi grandi player che gestiscono grossi impianti per un sistema centralizzato, a una costellazione policentrica diffusa fatta di tanti piccoli impianti. Questo significa associare al modello top-down un modello bottom-up, non più in una logica di contrapposizione ma di cooperazione, creando condizioni di prosperità inclusiva o generatività. Ecco quindi che se uno dei temi oggi socialmente ed economicamente più importanti è quello della povertà energetica – legata a inflazione, rincaro delle materie prime, eccetera – lo strumento della comunità energetica diventa prezioso per contrastare il problema. Certo le comunità energetiche da sole non bastano. Le CER sono un tassello del mosaico, ma poi naturalmente servono politiche di welfare complessive che aiutino il territorio a gestire meglio queste criticità.

Se l’Europa promuove le CER, a che punto è invece la legislazione italiana? Recentemente abbiamo fatto dei passi avanti, ma cosa manca ancora?

La nuova disciplina italiana sulle CER è entrata in vigore il 24 gennaio 2024 con decreto ministeriale e di fatto associa la diffusione delle comunità energetiche alla cabina primaria [in Italia ci sono circa 2.000 cabine primarie, cioè impianti elettrici che trasformano l'energia elettrica in ingresso ad alta tensione in energia a media tensione, ndr]. Questo fa sì che, in base alle territorialità, con una cabina primaria si possano coprire sia più porzioni dei piccoli Comuni, le cosiddette aree interne, che porzioni più grandi di città medie. Il che significa sostanzialmente raggiungere non meno di 2.000/4.000 persone, quindi un'utenza molto importante che può determinare notevoli benefici ambientali e sociali nelle nostre città. Quello che ancora manca alla normativa italiana è un sistema di monitoraggio per valutare la bontà delle esperienze che possono nascere, riconoscendo innanzitutto la differenza tra autoconsumo diffuso e comunità energetiche, che spesso vengono confusi. Un monitoraggio puntuale potrebbe fare in modo che, con la nuova direttiva europea IEM sul mercato interno dell'energia che entrerà in vigore nel 2025, le comunità energetiche vengano interpretate come micro-player territoriali del mercato, attivando così leve finanziarie più importanti di quelle oggi messe in campo esclusivamente dagli incentivi. Un mercato interno dell'energia consentirebbe alle comunità energetiche, per esempio, di gestire o di distribuire i cosiddetti servizi ancillari che oggi sono in capo alle grandi utilities e ai maggiori player.

Quali servizi ad esempio?

L’esempio classico è la colonnina di ricarica per i veicoli elettrici, che potrebbe essere messa a disposizione dalla comunità energetica per i suoi soci e non più dal grande player. Questo favorirebbe una leva finanziaria ben maggiore di quella oggi messa in campo dagli incentivi e quindi la possibilità di redistribuire la ricchezza, spingendo di fatto lo sviluppo del territorio. A differenza dell'autoconsumo diffuso, che di fatto è un modello già esistente (ad esempio il condominio che copre la spesa dell'ascensore con i pannelli fotovoltaici), con la comunità energetica, partendo dal mio condominio, posso rivolgermi a diverse ed eterogenee realtà contigue per costruire insieme un modello alternativo di governance e di valorizzazione territoriale.

Chiudiamo con qualche parola sul tuo libro: tre motivi per leggerlo.

Innanzitutto perché è il primo libro in assoluto in Italia sulle CER alla luce del nuovo quadro normativo europeo e nazionale di riferimento. Poi perché, dopo una fotografia sul quadro geopolitico attuale, racconto diverse buone pratiche mutuandole sia dall'esperienza internazionale, sia descrivendo le prime esperienze che si stanno avviando nel nostro Paese.
Infine perché, con alcuni focus specifici, si affrontano i temi della povertà energetica e quello, di cui si parla tanto ultimamente, dell'agrivoltaico. E soprattutto, anche attraverso la postfazione di Stefano Martello, si sottolinea il valore di una nuova primavera relazionale che si può liberare nelle comunità. Perché, senza senso di comunità, dimentichiamoci pure le comunità energetiche!

 

Immagine di copertina: Envato