Questo articolo è disponibile anche in inglese / This article is also available in English

“Se un’azienda si vuole posizionare in un mercato internazionale non può non considerare la variabile S, quella di impatto sociale, in particolare legata a parità e diversità o, meglio, la varietà della forza lavoro.”

Come in un parco botanico, lavorare su politiche sociali per l’azienda significa un migliore mix di idee, sensibilità, competenze diverse che possono essere fondamentali nei vari ambiti in cui si opera. Non solo: in questo modo chiunque si sente incluso e diventa maggiormente legato all’azienda, rafforza il senso di appartenenza, chiave per preservare talenti e rafforzare i risultati operativi. Abbracciare l'intersezionalità è un processo olistico che ha un impatto sulla percezione del marchio, sul reclutamento di talenti, sul modo in cui ci si avvicina ai clienti, si stringono partnership e si costruisce la catena di fornitura.

Di conseguenza, creare un team diversificato fornisce ulteriori informazioni sulle esigenze e sui problemi dei consumatori, il che porta a campagne migliori, più complete e informate. In questi team, si denota più resilienza e capacità di individuare e ridurre i rischi aziendali in modo diversificato.

Per capire il motivo per cui le politiche sociali devono rimanere un caposaldo per una buona azienda, Materia Rinnovabile ha parlato con Elena Rangoni Gargano, consulente per la sostenibilità di Terra Institute ed esperta del tema DEI (diversità, equità, inclusione). Il momento è topico per discuterne. Le politiche DEI, negli ultimi mesi, sono state duramente colpite dall’amministrazione statunitense e tante aziende hanno ubbidito, cancellando uffici DEI e progetti dedicati alla diversità e inclusione.

“Secondo una ricerca di Harvard però la crociata contro le DEI ha creato un boomerang positivo”, ci spiega Rangoni Gargano. “Tante aziende – come Netflix, Spotify, American Express, Visa – hanno cominciato ad ampliare ancor di più il loro pacchetto DEI, in risposta alla svolta conservatrice.  Queste sono aziende che hanno clienti in tutto il mondo, con valori diversi da quelli che vengono urlati sui social da una minoranza conservatrice e rumorosa. Statisticamente aumentano sempre più le aziende con politiche di HR che richiedono varietà nella forza lavoro al proprio interno.”

I dati citati dalla World Bank parlano chiaro: le aziende internazionali leader nel proprio settore che abbracciano valori DEI ottengono risultati migliori, sono più competitive, più sostenibili e più innovative. Al loro interno, i team dirigenziali diversificati registrano un aumento del 19% dei ricavi, e la motivazione dei dipendenti aumenta del 58%, così come aumenta il coinvolgimento dei clienti e l'immagine del marchio.

L'Europa può giocare un ruolo importante per la tutela delle politiche sociali nelle aziende e distaccarsi dalla visione statunitense, dato che c’è una tradizione molto più consolidata di un certo tipo di fare industria e un quadro regolatorio nato anche per resistere a tentazioni restauratrici. Ma nei prossimi mesi forse vedremo l’applicarsi della direttiva europea sulla “Pay Transparency”, da recepire entro il 7 giugno 2026, che richiederà alle aziende trasparenza e reportistica sul gender pay gap.

Chiamato in Italia divario retributivo di genere, ovvero la disparità di retribuzione tra uomini e donne, rimane un problema globale significativo, che riflette le profonde disuguaglianze nei mercati del lavoro di tutto il mondo. In Italia, un report INPS del 2025 evidenzia che le donne guadagnano in media il 20% in meno al giorno rispetto agli uomini. Inoltre, la penalità della maternità incide notevolmente. Si stima infatti che una donna guadagni circa il 36% in meno rispetto agli uomini a seguito della nascita del primo figlio. Alcuni stati europei colmano il gap a livello culturale, permettendo una parità di gestione familiare tra entrambi i sessi e supporto economico per decentralizzare la cura.

“Oltre al posizionamento e alle risorse umane, in Europa c’è anche la compliance”, continua Rangoni Gargano. “Per tutti gli appalti pubblici è ad esempio obbligatoria una politica di parità di genere. Per le aziende italiane c'è uno sgravio dell’1% sugli oneri previdenziali dell'azienda se si applicano politiche di equità, che vanno certificate con la UNI/PdR 125:2022, la certificazione della parità di genere.” La gender parity è uno dei temi più urgenti da attenzionare oggi.

Secondo la normativa, un’azienda deve avere almeno il 60% dei parametri definiti dalla PdR 125 entro dicembre per ottenere lo sgravio entro l’anno in corso. Ottenere la certificazione non è difficile ma richiede il supporto di un esperto per sviluppare alcuni documenti e monitorare gli indicatori richiesti dalla norma. Le opportunità però sono tante. A livello regionale capita spesso che per le aziende che hanno obiettivi di parità di genere esistano bandi ad hoc per incentivare queste pratiche.

“È un sostegno per essere in linea con i requisiti per bandi pubblici o gare d’appalto. È importante fornire questo tipo di certificazioni anche nei contratti con i privati, specie per chi lavora con grandi aziende multinazionali. Parlavo di recente con un’azienda che sta realizzando con Terra Institute un percorso di sostenibilità sociale che inizialmente era incerta se iniziare. Poi ha ricevuto un questionario da un cliente molto importante che gli chiedeva concretamente che cosa stesse facendo sulla parità di genere e non aveva nulla da mostrare. Essere pronti e avere il consulente giusto a fianco è fondamentale.”

La gender parity e il workplace diversity oramai devono essere dati per scontati all’interno di un’impresa. In questo caso, diversity, equity e inclusion possono essere supportate da una ISO internazionale come la ISO 30415. Per le aziende internazionali, che puntano a una clientela estesa e globale, è essenziale tutelare la varietà aziendale. Per alcune aziende è facile, per altre, specie in quelle con lavori fisicamente molto duri, lo è meno.

“È importante far capire alle aziende che la parità non consiste solo nel lavorare sulle quote di genere ma anche sul clima aziendale, sulla ridistribuzione del tempo della cura e sull’educazione a un nuovo linguaggio nelle comunicazioni”, spiega Rangoni Gargano. “Nelle aziende prevalentemente di manodopera maschile serve lavorare sull’educazione e sulla sicurezza degli spazi.” Sulle molestie si può lavorare in tanti modi: si parte dalla gestione dei luoghi critici (spogliatoi, magazzini, area caffè), lavorando su illuminazione, videocamere, ma soprattutto sugli impatti degli abusi e allineando sensibilità culturali differenti.”

L’insegnamento aziendale al rispetto e all’inclusione diventa un’importante leva sociale: ciò che viene insegnato in azienda viene spesso portato a casa, creando comportamenti virtuosi. Si dimentica spesso, ma le aziende sono dei veri catalizzatori per il cambiamento: ad esempio quelle che promuovono l’assunzione di donne nell’ambito STEM contribuiscono a rafforzare la scelta della carriera anche per le più giovani.

Per avviare un percorso di parità di genere aziendale bisogna conoscere i sei indicatori della PdR: cultura e strategia; governance; processi di gestione delle risorse umane (HR); opportunità di crescita e inclusione delle donne in azienda; equità remunerativa per genere; tutela della genitorialità e conciliazione vita-lavoro. Ma alcuni di questi indicatori sono più difficili di altri da implementare quando applicati sul luogo di lavoro

“Lo sviluppo della carriera è una tematica non semplice per tutti, perché se noi parliamo di un’azienda molto grande è facile pensare che si inizia da stagista e poi si continua a crescere. Ma nelle aziende piccole serve lavorare sulla crescita professionale e umana della risorsa, su percorsi formativi equi, valorizzazione delle competenze trasversali, e rappresentanza equilibrata nei ruoli strategici con gratificazione salariale.”

La ISO 30415 sulla Diversity & Inclusion segna un cambio di passo rispetto alla UNI/PdR 125, superando il perimetro della sola parità di genere e abbracciando l’intera ricchezza della biodiversità sociale presente in azienda. È uno standard che invita a coltivare un’organizzazione più equa, trasparente e inclusiva, capace di valorizzare il dialogo e la partecipazione delle persone. La diversità, infatti, non si esaurisce nella differenza uomo-donna, ma si manifesta in età, abilità, identità di genere, cultura, religione, background socioeconomico, competenze, stili di pensiero, fino alla localizzazione geografica o alle modalità di lavoro.

Saper riconoscere questa pluralità significa tutelarla, raccontarla e trasformarla in valore competitivo, reputazionale e di benessere collettivo. Al contrario, non riuscire a descrivere la propria biodiversità sociale può tradursi in esclusione involontaria: un talento potrebbe non candidarsi semplicemente perché non si sente rappresentato nella job description. La forza della ISO sta proprio qui: trasformare la diversità in una risorsa strategica per un futuro aziendale più giusto, attrattivo e resiliente.

Chi sceglie di non perseguire la parità spesso adduce motivazioni insufficienti. Per alcune aziende equivale “ad avere una donna nel CdA. Per altre c’è timore nel rendere trasparenti le proprie pratiche decisionali, i propri dati salariali. Altre ancora hanno una preoccupazione dei costi nell’implementare politiche sociali”, commenta l’esperta di Terra Institute. “In Italia dobbiamo lavorare ancora molto sui bias di genere. Anche la Costituzione non ha basi solidissime sulle pari opportunità. Se le aziende dessero più importanza a iniziative DEI potrebbero arrivare a ridurre il turnover anche solo di pochi punti, ma dall’altro canto l’impatto economico di sostituire un dipendente può costare 6-9 mesi di RAL. Tocca alle aziende fare la differenza. Ma i risultati possono essere dirompenti, aumentando sia il PIL che gli indicatori sociali nazionali. Se il tasso di attività femminile italiano convergesse alla media UE, la forza lavoro crescerebbe di +10% (+2,4 milioni di persone) e il PIL aumenterebbe all’incirca nella stessa misura nel lungo periodo (stima Banca d’Italia). Investire oggi nella variabile S, quella di impatto sociale, significa costruire un’azienda più solida, resiliente competitiva e rispettata. Con la certificazione UNI/PdR 125 o la ISO 30415 non solo si migliora il clima aziendale ma si aprono nuove opportunità economiche e reputazionali.”

 

Per saperne di più vi invitiamo a seguire il webinar gratuito di Terra Institute Diversità e inclusione: un vantaggio competitivo per le aziende italiane che si terrà il 2 ottobre 2025

 

In copertina: Elena Rangoni Gargano