L'evoluzione dell'ambiente scolastico è al centro di una trasformazione che intreccia innovazione, sostenibilità e prospettive economiche future. “È aumentata l'attenzione rivolta all'organizzazione dello spazio e all'accoglimento della tecnologia in rapporto anche alla parte strutturale che coinvolge l'arredo”, spiega Alessandro Zecchin, presidente di Assodidattica, presente nei giorni scorsi al Festival dell’innovazione scolastica svoltosi a Valdobbiadene, in provincia di Treviso. “Questa mutazione va oltre la semplice fornitura, abbracciando un approccio olistico all'ambiente di apprendimento.”
Zecchin sottolinea che la sostenibilità è già intrinseca in molti settori produttivi, come quello dell'arredo, “oggi uno dei settori più vincolati dall'utilizzo di materie prime sostenibili”. Questa attenzione alla durabilità si traduce in un chiaro beneficio economico e ambientale a lungo termine, poiché i prodotti “diventano sostenibili. In questo modo, si inquina e si spende meno”. Nonostante tali progressi, tuttavia, per il presidente di Assodidattica persistono criticità legate a normative “che relegano e restringono un po' troppo la capacità di sviluppo progettuale, limitando l'innovazione nel design dell'arredo scolastico”.
Competenze trasversali: la scommessa della scuola per una nuova coscienza sostenibile
A completare questa visione degli spazi, Damiano Previtali, presidente del Consiglio superiore dell’istruzione, pone l'accento sul ruolo cruciale delle competenze non cognitive (o trasversali) nello sviluppo di una cultura della sostenibilità. Le definisce "fondamentali" per una società che “sappia coniugare crescita economica e tutela ambientale”. Sebbene esistano numerosi progetti qualificati sulla sostenibilità nelle scuole, manca ancora per il dirigente del Ministero dell’istruzione e del merito (Ufficio valutazione del sistema istruzione e formazione) “un disegno di riferimento unitario”.
L'ambizione, sostenuta dalla Legge n.22 del 19 febbraio 2025, è di integrare queste competenze dentro un disegno di apprendimento organico e trasversale, superando la frammentazione attuale e affrontando le sfide prioritarie per sviluppare una "nuova coscienza. La scommessa di questa legge è che le competenze trasversali possano qualificare e mantenere nel tempo gli apprendimenti di base”.
In tale contesto, anche le nuove tecnologie assumono un ruolo chiave, non come mero addestramento ma come strumento per un uso consapevole che richiede nuove competenze e dimensioni mentali. “La scuola deve aggregarsi a quello che rappresenta un modo per stare nel mondo e apprendere a vivere il mondo”, conclude Previtali.
Il paradosso italiano: soft skills indispensabili, un ritardo che pesa sul futuro del lavoro
L'automazione e l'innovazione tecnologica stanno trasformando profondamente il mondo del lavoro, rendendo le soft skills una risorsa imprescindibile. Ridurle a semplici "abilità per andare d'accordo con gli altri" è un errore di prospettiva, che non rende giustizia al loro impatto reale, soprattutto in ambito aziendale. Competenze come l'intelligenza emotiva, il pensiero critico, la capacità di collaborazione e la gestione dello stress sono oggi essenziali per orientarsi in contesti incerti, prendere decisioni lucide e lavorare in squadra in modo efficace.
Secondo il Future of Jobs Report 2025 del World Economic Forum, entro il 2030 circa il 39% delle competenze richieste nel mercato del lavoro sarà cambiato, con creatività, leadership, capacità analitiche e apprendimento continuo tra quelle prioritarie. È necessario un approccio più ampio che metta al centro anche le dimensioni relazionali e comportamentali, poiché le soft skills non solo favoriscono l’occupabilità, ma rafforzano la coesione interna, aumentano la motivazione e contribuiscono al benessere complessivo delle organizzazioni.
Questi aspetti, a differenza della tecnologia, non possono essere automatizzati. L'Italia, tuttavia, mostra un ritardo significativo: secondo il rapporto OCSE Survey of Adult Skills 2023, gli adulti italiani tra i 16 e i 65 anni registrano punteggi inferiori alla media OCSE in literacy (245), numeracy (244) e problem solving (231). Circa il 35% della popolazione adulta si colloca nei livelli più bassi per lettura e capacità numeriche, e quasi la metà (46%) presenta competenze di problem solving molto basse.
Inoltre, solo due lavoratori su dieci in Italia partecipano ogni anno a percorsi di formazione professionale, un dato nettamente inferiore rispetto alla media dei paesi OCSE. Questa carenza si traduce in minori possibilità di impiego stabile, guadagni inferiori e livelli più bassi di benessere. Nonostante i progressi tra il 2007 e il 2016 nella partecipazione alla formazione adulta, l'Italia rimane sotto gli standard OCSE.
Investire nelle soft skills è quindi un investimento strategico con un impatto economico significativo: organizzazioni con team dotati di competenze trasversali sviluppate registrano livelli più alti di produttività, una riduzione dei conflitti interni, maggiore engagement e migliori tassi di retention.
Il World Economic Forum, con il programma Reskilling Revolution, mira a riqualificare un miliardo di persone entro il 2030, concentrandosi proprio sullo sviluppo di competenze digitali e comportamentali. Le soft skills non sono più un plus facoltativo, ma la base della competitività, della resilienza individuale e della capacità di innovazione delle imprese.
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