Negli ultimi anni il mercato volontario dei crediti di carbonio e le attività di carbon offsetting sono esplose. Sempre più imprese stanno comprando crediti con l’intento di compensare le proprie emissioni e comprovare il proprio impegno verso la neutralità carbonica. Secondo quanto si legge su Statista, nel 2022 il mercato globale dei crediti di carbonio è stato valutato a 331,8 miliardi di dollari e si prevede che crescerà del 31% fino al 2028, raggiungendo un valore di 1,6 trilioni.

Una delle  attività di compensazione finanziata dai carbon credit sono i progetti forestali. Guidate dai criteri ESG e dalle politiche sulla responsabilità sociale d'impresa, sempre più aziende decidono infatti di investire in progetti mirati. Rete Clima ha condotto una survey per capire la percezione delle aziende riguardo il valore e l’importanza della biodiversità all’interno del patrimonio forestale.

Il progetto Rete Clima

Per quanto siano emerse molte controversie legate alla reale attendibilità dei progetti di piantagione e protezione delle foreste (soprattutto nel Sud Globale) e alla loro capacità di ridurre le emissioni, non si può fare di tutta l’erba un fascio. Ci sono infatti realtà che si impegnano responsabilmente nella strada verso il Net Zero, sostenendo processi di decarbonizzazione e di governance sostenibile. Rete Clima è una di queste.

Rete Clima è un ente non profit che da oltre dieci anni supporta le aziende nello sviluppo di progetti di forestazione a scala nazionale, di comunicazione e di rendicontazione ambientale e sociale. L’organizzazione ha voluto scattare un’istantanea sulla percezione delle aziende nel comprendere l’importanza del capitale naturale, delle foreste e della biodiversità nella lotta al cambiamento climatico. La survey è stata condotta su un campione di 50 aziende italiane nel periodo compreso tra aprile e luglio 2023. È emerso che la quasi totalità delle aziende ritiene che la creazione di nuove foreste sia un’efficace strategia per la conservazione della biodiversità e per la mitigazione dei cambiamenti climatici.

Criticità e buone pratiche nei progetti di riforestazione

Partendo dal fatto che le foreste hanno una grande valenza multifunzionale e generano molti benefici, il problema che sta emergendo è però la stereotipizzazione del legame foreste-CO. Come spiega a Materia Rinnovabile Paolo Viganò, fondatore e presidente di Rete Clima: “L’equazione ‘piantare foreste è uguale a compensare le emissioni’ può avere conseguenze un po’ pericolose che si manifestano per esempio nei boschi monospecifici di paulonia, oppure di bambù, entrambe specie invasive e non autoctone, che vengono usate in numerosi progetti di riforestazione proprio perché hanno un tasso di crescita molto veloce. Le foreste sono però molto di più.

Un impatto positivo di una foresta è sempre accomunato dalla diversità biologica che può generare e dalla funzione che può svolgere. In un contesto urbano sceglierò delle specie e delle varietà che meglio mi permettono di migliorare la qualità dell’aria attraverso il sequestro del particolato, mentre in un ambito montano sceglierò quelle che mi assicurano un maggior consolidamento della parte superiore del suolo così da prevenire il dissesto. In funzione dello scopo, della finalità e del luogo ha senso progettare sistemi forestali differenti.”

La sola messa a dimora poi non è sufficiente alla riuscita di un buon progetto di forestazione: si è infatti assistito negli ultimi anni alla piantagione di alberi e alla loro morte dovuta alla mancata gestione. “A oggi sostanzialmente la gestione di un progetto di forestazione vuol dire fare quattro cose ‒ continua Viganò – il monitoraggio, la sostituzione delle piante morte, il taglio dell'erba e l'irrigazione. Quest'ultima azione oggi è fondamentale e strategica, a differenza per esempio di quanto capitava nel 2012, quando abbiamo iniziato l’attività di forestazione. Solo dieci anni fa gli impianti forestali non necessitavano di essere bagnati, mentre oggi, se non vengono irrigati, tendenzialmente muoiono.”

Paolo Viganò. foto: Rete Clima

La riforestazione in Italia

Se, come emerge dalla survey, per il 90% delle aziende le foreste sono fondamentali per tutelare la biodiversità e contrastare la crisi climatica, meno coesa è la percezione rispetto allo stato attuale del patrimonio forestale italiano. Circa la metà degli intervistati ritiene infatti che le foreste in Italia siano diminuite nel corso degli ultimi anni. Nella realtà, invece, c’è stata una crescita della copertura forestale sul territorio nazionale.

In alcune aree d’Italia, prevalentemente nelle cosiddette aree interne, la vegetazione arbustiva e arborea ha ricolonizzato gradualmente i campi e i pascoli abbandonati, dando vita a quelli che vengono definiti “boschi di neoformazione”. Qui ricadono casi differenti: da formazioni prevalentemente arbustive, come la macchia mediterranea, a formazioni arboree in ambiente alpino e prealpino, ma anche manti vegetali bassi di arbusti o specie pioniere che diventano facile innesco per gli incendi.

Sulla base dell’Inventario dell’uso delle terre d’Italia (IUTI), finalizzato alla realizzazione del Registro nazionale dei serbatoi di carbonio, la superficie forestale nazionale supera gli 11,8 milioni di ettari, quasi il 39% del territorio nazionale, con un incremento netto negli ultimi trent’anni pari a circa 30.000 ettari all’anno. “Dati sui censimenti mostrano un aumento delle foreste dovuto all'abbandono di alcune aree di montagna e collina”, continua Paolo Viganò. “Se infatti il territorio non viene gestito, la natura si riappropria dei suoi spazi.”

La necessità di una corretta gestione: la pulizia del bosco

Questi boschi di neoformazione necessitano però di una corretta gestione. “Le foreste attuali sono frutto di una modifica storica da parte dell’uomo, pretendere di non farsene carico è sbagliato. Parte delle foreste non gestite si trova vicino a strutture e infrastrutture umane e potrebbero quindi comportare dei rischi e delle conseguenze, come incendi o crolli. Se oggi si vuole promuovere un avanzamento delle foreste, sarebbe quindi meglio che questa avanzata fosse gestita e controllata.”

Secondo il Rapporto foreste 2023 di Legambiente, in Italia, il 18% delle foreste è soggetto a pianificazione, e soltanto il 9% è certificato. “Una corretta gestione forestale vuol dire per esempio andare a tagliare gli alberi morti che sono rimasti in piedi e che vanno a competere con le altre piante per le varie risorse. Vuol dire fare un’operazione di pulizia del bosco, di rimozione del carico d’incendio, di espianto di alberi che non avranno mai futuro. Queste operazioni possono diventare importanti per garantire delle foreste più sane.”

Le aziende che oggi vorrebbero investire in progetti di forestazione di nuovi alberi dovrebbero quindi promuovere e destinare risorse anche per la gestione delle foreste esistenti. Molti settori economici dipendono infatti dai servizi ecosistemici erogati dalle foreste e il loro degrado può comportare rischi finanziari e ridurre le opportunità di investimento.

 

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Immagine: Matthew Smith, Unsplash

 

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