L’8 e il 9 giugno 2025 italiane e italiani sono chiamati alle urne per esprimere il proprio voto. L’occasione è il referendum su lavoro e cittadinanza articolato in cinque quesiti che sta facendo molto discutere anche per l'invito, da parte di alte istituzioni, a non esercitare il proprio diritto di voto. Ma la partecipazione al voto è essenziale. Affinché un referendum abrogativo sia valido, infatti, è necessario che raggiunga il quorum, ovvero che voti almeno il 50% più uno degli aventi diritto. Ne abbiamo parlato con Maurizio Landini, segretario generale della CGIL, tra i promotori del referendum.
Landini, lei ha già detto che se vincesse il sì la vita di milioni di persone ‒ specie i più giovani ‒ cambierebbe per il meglio. Ci spiega in che modo?
Vogliamo cambiare delle leggi sbagliate che hanno reso il lavoro precario, ricattabile, insicuro. Con la vittoria del sì, tre milioni e cinquecentomila dipendenti delle aziende al di sopra dei 15 dipendenti, oltre ai giovani che verranno assunti, otterrebbero il diritto al reintegro nel posto di lavoro in caso di licenziamento illegittimo. Tre milioni e settecentomila dipendenti delle piccole aziende otterrebbero un incremento del risarcimento economico sempre in caso di licenziamento illegittimo. Due milioni e trecentomila persone con contratti a termine potranno uscire dalla condizione di precarietà. Migliaia di lavoratrici e lavoratori che operano nelle società in appalto potranno avere maggiori condizioni di sicurezza nei propri posti di lavoro. Due milioni e cinquecentomila uomini e donne che lavorano, vivono e pagano le tasse da anni nel nostro paese otterrebbero finalmente la cittadinanza.
Il Jobs Act, per cambiare il quale la CGIL ha raccolto moltissime firme, fu introdotto dal governo Renzi diversi anni fa. All’epoca sull’argomento ci fu grande dibattito e molta tensione politica e sociale. Ma da allora il tema del lavoro sembra essere diventato meno importante nel dibattito pubblico. Per quale ragione, secondo lei?
È drammatico dirlo ma la rassegnazione, soprattutto tra i giovani che hanno conosciuto solo questa faccia del mercato del lavoro, è prevalsa. Questa campagna referendaria invece ha il grande merito di aver risvegliato una forte partecipazione e un forte attivismo anche del mondo giovanile sui temi del lavoro. E questo è un segnale forte, che consegniamo a tutto il mondo politico affinché non si continuino a commettere errori di cui ancora paghiamo le conseguenze. Il grande obiettivo che ci poniamo è quello di rimettere al centro il valore del lavoro, costringendo tutta la politica a fare finalmente i conti con chi per vivere ha bisogno di lavorare.
Le giovani generazioni in molti casi non sanno assolutamente che cosa voglia dire lavorare con garanzie e stabilità. Di chi sono le responsabilità per questo stato di cose? Ci sono delle colpe anche del sindacato, che parla poco e male ai più giovani?
Le responsabilità sono tante, e anche noi indubbiamente ne abbiamo. Penso soprattutto a una cultura politica che ha fatto prevalere gli interessi delle imprese sugli interessi di lavoratrici e lavoratori. Siamo stati travolti da una retorica della modernità che mirava esclusivamente a indebolire il mondo del lavoro. Di fronte a tutto ciò noi non abbiamo fatto abbastanza, soprattutto nel confronto con lavoratrici e lavoratori di settori che fanno più fatica a trovare nel sindacato un interlocutore naturale. Il nostro sforzo invece deve essere teso a essere più inclusivi, a dare del nostro meglio proprio in quelle realtà. Ma posso dire che il lavoro che stiamo facendo con questa campagna referendaria ci sta già cambiando, e non possiamo che esserne fieri.
Ovviamente non sarà facile superare lo scoglio del quorum. Già alle elezioni politiche vota circa il 50% degli aventi diritto. In più governo e centrodestra invitano all’astensione. Che ne pensa?
Trovo estremamente grave che in un paese con un alto tasso di astensione ci siano esponenti politici che facciano campagna per il mancato raggiungimento del quorum. Invitare a non votare è un attacco alla democrazia. Sono convinto che le cittadine e i cittadini abbiano capito che si tratta di una manovra di palazzo per lasciare tutto com’è e non cambiare nulla. Proprio per questo mi aspetto un’ampia partecipazione al voto.
In queste settimane è stato molto in viaggio per la campagna referendaria. Che impressione ne ha tratto? Che risultato si aspetta, che conseguenze politiche ci saranno?
Sono state settimane intense, ma straordinarie. Ho visto negli occhi di tantissime persone la voglia di cambiare, di uscire dal cortocircuito della rassegnazione. E la cosa più bella è proprio la partecipazione dei giovani di cui parlavo prima. Per queste ragioni sono ottimista sul raggiungimento del quorum e sulla vittoria dei sì all’abrogazione di quelle leggi. Sarà un segnale per tutto il paese e in particolare per tutto il mondo politico che non potrà più continuare a svalorizzare il lavoro. Ritorneremo ai principi della nostra Costituzione che in tanti continuano a disconoscere.