*Álvaro Conde e Alex Colloricchio sono contributor di questo articolo

 

Una transizione globale verso un sistema alimentare sostenibile è attesa da tempo da tutta la comunità scientifica. Sebbene l’agricoltura sia stata a lungo assente dai negoziati sul clima delle Nazioni Unite, la COP28 promette di mettere il settore agroalimentare al centro dei colloqui di Dubai. Secondo Edward Davey del World Resources Institute, l’incontro tra i leader mondiali per discutere del legame tra cibo e clima e per stabilire, di conseguenza, degli obiettivi sarà un momento storico.

Attualmente, un terzo di tutte le emissioni di gas serra può essere attribuito al solo sistema agroalimentare globale, che è il singolo settore più impattante in termini di superamento dei limiti planetari (6 su 9 sono già stati superati). La produzione alimentare continua a crescere vertiginosamente: entro il 2050, potremmo avere 10 miliardi di bocche da sfamare, un compito che si rivela sempre più difficile poiché i cambiamenti climatici in tutto il mondo provocano siccità e inondazioni e le pratiche agricole intensive privano i terreni di nutrienti vitali.

Il menù prevede una rivisitazione radicale dell’intero sistema alimentare e, fortunatamente, esistono soluzioni praticabili, anche se non ancora su larga scala. Molte di queste soluzioni si fondano sull’economia circolare, un insieme di strategie con una grande potenziale trasformativo. Il Circularity Gap Report 2023, sesta edizione del rapporto realizzato ogni anno dalla Circle Economy Foundation, evidenzia come un sistema alimentare circolare da solo potrebbe invertire il superamento di due confini planetari, riportandone altri a livelli più sicuri.

Attraverso tre azioni coordinate a livello globale – riduzione degli sprechi alimentari, priorità a diete sane e sostenibili a base vegetale, produzione di cibo con sistemi rigenerativi – il ciclo del fosforo può passare dall’attuale 33% al di sopra il limite al 7% al di sotto di esso, mentre il cambio d’uso del suolo può scendere dal 47% sopra il limite a uno sbalorditivo 66% al di sotto.

La ricerca della Circle Economy Foundation rileva che tre soluzioni circolari possono invertire la tendenza rispetto al superamento dei confini planetari. Le riduzioni sono espresse in punti percentuali. Si noti che l’inquinamento chimico, il rilascio di nuove entità e i limiti di riduzione dell’ozono stratosferico non sono stati misurati. (Immagine della Circle Economy Foundation)

Mettere fine allo spreco alimentare

Lo spreco alimentare e l’insicurezza alimentare sono strani compagni di viaggio: suona amaramente ironico che, mentre un terzo di tutto il cibo prodotto a livello globale viene perso o sprecato, un terzo della popolazione mondiale debba invece soffrire la fame. Secondo le stime, tutto il cibo perso e sprecato nel mondo potrebbe nutrire 1,26 miliardi di persone ogni anno.
Sprechi e perdite si verificano lungo tutta la catena di approvvigionamento, dal campo alla tavola, e rappresentano fino a un decimo delle emissioni globali di gas serra, quasi un quarto dell’acqua dolce totale utilizzata per la produzione alimentare e quasi un quarto dei terreni coltivati e dei fertilizzanti usati. Produrre cibo che poi finisce nella spazzatura, non consumato, sta spingendo diversi confini planetari verso – o oltre – i propri limiti.

Secondo la Circle Economy Foundation, dimezzare lo spreco alimentare potrebbe invertire il superamento del limite di cambiamento d’uso del territorio, portandolo dal 47% sopra il limite al 60% sotto. Anche la pressione sugli altri limiti potrebbe diminuire, con il fosforo che scenderebbe a livelli quasi sicuri, appena il 2% sopra il limite.

Anche se l’impatto potenziale potrebbe essere significativo, il come raggiungere questi obiettivi è meno chiaro. I mezzi per ridurre drasticamente gli sprechi alimentari varieranno ampiamente a seconda del contesto e della posizione geografica: nelle nazioni a basso reddito, dove le perdite alimentari sono più diffuse, sarà cruciale, ad esempio, un accesso maggiore e conveniente alle celle frigorifere. La società ColdHubs, in Nigeria, offre soluzioni di cooling as-a-service alimentate a energia solare per piccoli agricoltori, con tariffa flessibile e pagamento in base al consumo: un’iniziativa che ha salvato più di 20.000 tonnellate di cibo dal deterioramento nel solo 2019.

All’altro capo del mondo e all’altra estremità della catena di approvvigionamento, il comune dell’Aia sta reindirizzando i rifiuti alimentari da una delle più grandi catene di supermercati dei Paesi Bassi ai ristoranti che possono farne uso, salvandoli dalla discarica. Anche le soluzioni digitali stanno avendo un impatto a livello locale, con app come Too Good To Go che aiutano i consumatori a salvare il cibo avanzato di rivenditori e ristoranti, evitando che finisca a fine giornata nei bidoni della spazzatura.

 

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Garantire una dieta sana e sostenibile per tutti

Le diete basate sulla carne e su prodotti processati mettono a dura prova la sostenibilità. Il consumo di carne, storicamente limitato ai Paesi ad alto reddito, è ora in forte aumento nelle economie emergenti: la preferenza per le proteine animali è salita alle stelle insieme ai redditi, raddoppiando a livello globale tra il 1990 e il 2021.

Oggi l’agricoltura è responsabile di quasi il 90% della deforestazione, causata soprattutto da terreni trasformati in pascoli per il bestiame o dedicati a colture, come soia e mais, destinate alla produzione di mangimi. Quasi un terzo della perdita di biodiversità e il 14,5% delle emissioni globali possono essere collegati all’allevamento. Una pratica che è anche fondamentalmente inefficiente: l’allevamento di animali a scopo alimentare divora l’80% dei terreni agricoli del pianeta, in cambio di appena il 15% delle calorie consumate. Ora i Paesi di tutto il mondo chiedono a gran voce un cambiamento, soprattutto considerando che stanno prendendo piede preoccupazioni per la salute legate al consumo eccessivo di alimenti altamente trasformati, comprese le carni lavorate. Fortunatamente, le diete sostenibili hanno dimostrato di essere anche salutari: l’una non deve necessariamente andare a scapito dell’altra.

Mettere al primo posto nella dieta cibi sani, nutrienti e a base vegetale potrebbe avere un grande impatto, secondo il modello della Circle Economy Foundation: il cambio d’uso del suolo potrebbe diminuire, passando dal 47% al di sopra del limite al 60% al di sotto. Questo scenario considera la limitazione delle calorie giornaliere a meno di 3.000, sostituendo cibi e bevande zuccherate con frutta, verdura e noci e adottando diete a base vegetale. I terreni liberati grazie alla riduzione del bestiame verrebbero dunque rigenerati: convertiti in foreste, ad esempio, per ricreare ecosistemi fiorenti e ricchi di biodiversità.

La realtà della transizione delle diete di miliardi di persone non è così chiara e semplice: le reazioni saranno inevitabili e i progressi probabilmente lenti. Sensibilizzare i consumatori (si pensi alle campagne di informazione o all’etichettatura ecologica) o incentivare i comportamenti attraverso la tassazione può aiutare a ridurre il consumo di carne. Linee guida di questo tipo stanno cominciando ad emergere in tutto il mondo: la Cina, ad esempio, che consuma più di un quarto della carne mondiale, ha pubblicato un piano per dimezzare il consumo di carne dei suoi cittadini, mentre l’ultima strategia alimentare inglese raccomanda che il consumo di carne venga ridotto del 30% entro un decennio. Gli appalti pubblici saranno anche uno strumento cruciale attraverso il quale dare priorità alle opzioni salutari e di origine vegetale, ad esempio nelle mense scolastiche, negli ospedali e nelle carceri.

 

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Agricoltura rigenerativa e produzione alimentare sostenibile

La produzione alimentare fortemente industrializzata ha cambiato il tessuto geografico del mondo: nonostante la rapida espansione delle città nell’ultimo mezzo secolo, le aree urbane occupano solo l’1% della superficie terrestre. Le città sono ampiamente superate dai terreni agricoli, che occupano circa la metà della superficie abitabile del pianeta, causando la deforestazione. Il nostro sistema alimentare altamente globalizzato significa anche che stiamo trasportando cibo in tutto il mondo e consumando energia per serre riscaldate dove coltivare ortaggi fuori stagione.

L’agricoltura intensiva ha anche innescato una forte tendenza al rialzo nell’uso di fertilizzanti sintetici: un aumento di oltre 13 volte nell’ultimo secolo. Sebbene queste pratiche abbiano incrementato la produttività e migliorato la sicurezza alimentare per molti, hanno avuto anche gravi conseguenze: la sola produzione di fertilizzanti azotati, ad esempio, è responsabile di ben 1,4 miliardi di tonnellate di anidride carbonica equivalente all’anno, mentre l’inquinamento derivante dai fertilizzanti ha generato oltre 400 “zone morte” oceaniche in tutto il mondo. Anche la salute del suolo ha sofferto, portando a una minore produttività e quindi a un uso sempre più massiccio di fertilizzanti: un circolo vizioso destinato a peggiorare senza l’adozione di principi di agricoltura rigenerativa su larga scala.

Spostare l’attenzione sulla produzione biologica, locale e stagionale potrebbe portare i livelli di fosforo al 32% al di sotto del limite, rileva il report. Questo tipo di scelte porterebbero a dimezzare il trasporto di alcuni prodotti alimentari grazie a un maggior consumo di opzioni locali e a evitare i fertilizzanti chimici a favore di alternative naturali. Molte iniziative sul campo stanno fornendo valide alternative ai fertilizzanti sintetici: le mosche soldato nere, ad esempio, possono essere utilizzate per convertire i rifiuti organici in fertilizzanti naturali nonché mangimi per animali ad alto contenuto proteico e a basso impatto, con l’ulteriore vantaggio di deviare i rifiuti dalle discariche. Gli appalti pubblici possono anche rappresentare uno strumento cruciale per incentivare il consumo alimentare locale e stagionale: il Piano alimentare sostenibile della città di Parigi, ad esempio, fissa obiettivi per prodotti biologici, locali e stagionali da servire in più di 1.000 scuole, case di riposo e mense aziendali, che complessivamente servono circa 30 milioni di pasti ogni anno.

 

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Un sistema alimentare circolare è fondamentale per combattere la crisi climatica

La produzione alimentare probabilmente assorbirà sempre una parte enorme delle risorse dell’economia globale, ma abbiamo bisogno di una “nuova normalità” affinché il settore sia compatibile con i limiti planetari e promuova, invece di combattere, la salute ecologica. La coesistenza di sconcertanti sprechi alimentari e insicurezza alimentare non è solo inefficiente, ma anche immorale, e abbiamo le soluzioni in mano per invertire la tendenza su entrambi i fronti.

Su larga scala, un sistema alimentare circolare può nutrire il suolo, rafforzare la biodiversità e favorire una maggiore resilienza, il tutto riducendo la pressione sui limiti del pianeta e combattendo il collasso climatico. Le strategie delineate in questo articolo potrebbero abbassare sostanzialmente i livelli di azoto, dal 59% sopra il limite al 28% sopra il limite: una riduzione dell’azoto atmosferico pari al fabbisogno di azoto della maggior parte delle colture non leguminose che coprono l’Africa. E cosa forse più interessante, da un punto di vista climatico, potrebbero portare il cambiamento climatico dal 191% al 181% al di sopra del limite. Questo calo apparentemente piccolo potrebbe in realtà ridurre i livelli di CO2 atmosferici della stessa quantità aggiunta all’atmosfera nei 14 anni tra il 2008 e il 2022.

Con il tema del cibo finalmente nel menu della COP28 – grazie all’insistenza di una coalizione globale di alcune delle più grandi aziende alimentari e organizzazioni ambientaliste del mondo – le prossime settimane saranno cruciali. Non c’è tempo da perdere: un sistema agroalimentare circolare non è più un’opzione, è una necessità.

 

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Immagine: Envato