Insufficienti: è l’aggettivo usato dalle Nazioni Unite per riassumere i progressi e le ambizioni dei 195 piani climatici nazionali attuali. Per tenere vivo l’obiettivo di limitare l’aumento di temperatura globale a 1,5° è necessario tagliare il 43% delle emissioni di gas a effetto serra entro il 2030. Un’impresa che, senza un ambizioso aggiornamento dei Nationally Determined Contributions (NDC), cioè i piani di riduzione delle emissioni di gas serra forniti dai partecipanti alle Conferenze del Clima (COP), risulta tecnicamente impossibile.

Questo emerge dall’ultima analisi delle Nazioni Unite, pubblicata il 14 novembre 2023, che comporrà il primo storico Global Stocktake, un bilancio quinquennale che fotografa i progressi fatti a partire dal 2020 e quali sono i settori in cui è necessario accelerare la decarbonizzazione, puntando di conseguenza a calibrare gli NDC secondo una traiettoria climatica (inferiore ai 2°) che, secondo il Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico, eviterà i peggiori impatti. 

“Sicuramente la programmazione sugli NDC si è rivelata ampiamente insufficiente”, spiega a Materia Rinnovabile Jacopo Bencini, Policy advisor del think tank Italian Climate Nework.  “Siamo su una traiettoria che ci porta molto lontani dall'obiettivo di un grado e mezzo che probabilmente supereremo già nel 2024, con 80 anni di anticipo rispetto al 2100.”

Per dare un’idea di come sia lento il percorso verso un picco emissivo previsto entro il 2030: se dovessero essere implementati gli attuali piani climatici nazionali, le emissioni aumenterebbero di circa l’8,8%, rispetto ai livelli del 2010. Si tratta di un leggero miglioramento rispetto al 10,6% dello scorso anno.

“Siamo in un momento cruciale nella valutazione dei progressi fatti rispetto agli obiettivi che ci eravamo dati a Parigi ‒ commenta a Materia Rinnovabile Eleonora Cogo del think tank Ecco Climate ‒ in cui sostanzialmente i Governi devono riflettere sugli impegni assunti finora e sulle azioni intraprese da quando hanno sottoscritto l’accordo. Il Global Stocktake dimostrerà se l'Accordo di Parigi sta funzionando o meno. Solo se riuscirà a spingere a una maggiore ambizione e ci porterà un passo più vicino a un mondo a zero emissioni, avrà raggiunto il suo scopo di motore per l'azione sul clima".

  

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L’importanza del Global Stocktake

“Il Global Stocktake può essere un trampolino di lancio nel trasformare l’imminente COP28 in un punto di svolta”, ha dichiarato Simon Stiel, segretario esecutivo delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici. L’analisi pubblicata il 14 novembre è solo un assaggio del documento finale che verrà definitivamente approvato proprio alla COP28 di dicembre. Ecco perché il primo Global Stocktake ha una valenza politica così importante: se non verrà annacquato fungerà da “decisione ombrello” di tutta la Conferenza sul Clima. 

“Invece dei soliti Glasgow Climate Pact o Sharm el-Sheikh Implementation Plan che non avevano bilancio cui fare riferimento, ci sarà un testo basato sul Global Stocktake che indirizzerà le COP successive e i futuri piani climatici nazionali”, dice Jacopo Bencini.

Eleonora Cogo si aspetta che i risultati contengano una chiara roadmap per aggiornare gli NDC con misure concrete come la triplicazione della produzione di energia rinnovabile, raddoppio degli obiettivi sull'efficienza energetica entro il 2030 e l'eliminazione dei sussidi ai combustibili fossili. Un phase out che però non piace a diversi Paesi, tra cui Arabia Saudita e Russia.

Oltre all’analisi sui progressi e i piani climatici in cui l’energia per usi industriali e civili ricopre un ruolo centrale, le Nazioni Unite hanno pubblicato un altro report (technical dialogue) che riassume 17 punti chiave emersi dalle discussioni con diversi attori coinvolti. L’incremento delle energie rinnovabili e il phase out di tutti i combustibili fossili sono considerati fondamentali. Ma nonostante si sottolinei l’urgenza di tradurre in fatti le promesse dell’Accordo di Parigi, si vede con preoccupazione la repentina velocità di una trasformazione che potrebbe lasciare indietro un pezzo di società. Si chiede poi più ambizione nell’adottare piani di mitigazione climatica: fermare la deforestazione e migliorare le pratiche agricole è cruciale per ridurre le emissioni ed efficientare i pozzi di assorbimento del carbonio.

Le tensioni geopolitiche pre-COP28

Nelle settimane precedenti all’inizio delle COP28 le analisi dei tecnici ONU pongono le basi per strutturare futuri accordi e target più ambiziosi, tuttavia non ci sono solo le valutazioni sugli NDC a preparare i tavoli dei negoziati. A sconquassare gli equilibri intervengono spesso le tensioni politiche.

Nonostante lo storico accordo di cooperazione climatica firmato pochi giorni fa da Stati Uniti e Cina, la diplomazia gioca un ruolo fondamentale alle Conferenze delle Parti e il fatto che conflitti e tensioni geopolitiche possano indebolire i rapporti tra Paesi non è una buona notizia.

Un esempio è il rinvio dell’incontro ministeriale tra Unione Africana e Unione Europea che avrebbe dovuto tenersi il 20 novembre a Bruxelles. Motivo? Da fonti ufficiali l’evento sarebbe saltato per un peggioramento del contesto internazionale, con chiaro riferimento al conflitto israelo-palestinese. “Queste frizioni ci sono e, in un contesto in cui i Paesi africani, come parte del gruppo G77 guidato dai cinesi, di fatto comandano l'agenda delle COP, non fanno ben sperare – commenta Bencini ‒ La tensione tra Sud e Nord globale si acuirà ulteriormente nella prossima COP28 e vedo Stati Uniti ed Unione Europea indeboliti rispetto a Sharm el-Sheikh.”

Caldo sarà anche il fronte mediorientali con i petrostati guidati dall’Arabia Saudita che preferiscono le tecnologie di cattura di C0₂ alla mitigazione tradizionale, e faranno di tutto per non far comparire il termine phase out nel testo finale.

 

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Immagine: Envato