Ripensare la mobilità proprio nell’epoca in cui la pandemia l’ha drasticamente limitata. Questo è uno degli obbiettivi del decreto Rilancio del luglio 2020 che rende obbligatoria la figura del mobility manager nelle imprese e nelle istituzioni con oltre 100 dipendenti, localizzati in comuni, capoluoghi di provincia e regione e città metropolitane con popolazione superiore a 50 mila abitanti. “È un’opportunità per ripensare i tempi della città, i tempi del movimento, delle scuole, delle persone”, ha detto il ministro dei Trasporti e delle Mobilità sostenibili Enrico Giovannini dopo la firma sull’ultima versione del decreto che definisce nuove modalità attuative. “Non dobbiamo solo inseguire i cambiamenti, ma possiamo gestire questo elemento che incide moltissimo sulla qualità della vita".

Chi è e come nasce il mobility manager

Il mobility manager è il responsabile della mobilità aziendale che redige il Piano degli Spostamenti Casa Lavoro (PSCL) del proprio personale dipendente. Ridurre l’uso del mezzo di trasporto privato individuale e migliorare l’organizzazione degli orari per limitare la congestione del traffico sono gli obbiettivi del piano che deve essere trasmesso entro il 31 dicembre di ogni anno. Le misure previste, oltre ad influire positivamente sulla qualità dell’aria, dovrebbero consentire all’organizzazione e a chi lavora per essa, di ottimizzare i costi per gli spostamenti. La figura del mobility manager nasce in Italia con il Decreto Ministeriale del 27 marzo 1998 dedicato alle norme in materia di “Mobilità sostenibile nelle aree urbane”. Il testo arrivò a valle degli Accordi di Kyoto del 1997 per la riduzione delle emissioni inquinanti. Fino al 2019 la legge prevedeva l’obbligo di identificare un mobility manager per gli enti pubblici con più di 300 dipendenti e nelle aziende con almeno 800 unità di personale, ubicati in alcuni Comuni identificati dal Decreto legge del 1994 e in altri identificati dalle Regioni come a “rischio di inquinamento atmosferico”.

Dalla scuola all’azienda passando per l’università: le sfide del trasporto in città

Il nuovo decreto dedica gli articoli 5 e 6 alle figure del mobility manager aziendale e del mobility manager d’area, precisando le specifiche funzioni, mentre viene solo marginalmente citato il mobility manager scolastico, richiamato solo con riferimento al “compito” di fornire dati relativi all’origine/destinazione e agli orari di ingresso/uscita degli studenti”, commenta Eleonora Perotto, mobility manager al Politecnico di Milano dal 2013. Il mobility manager scolastico, figura istituita dalla legge 221 del 2015, viene scelto “su base volontaria”, per tutti gli istituti scolastici di ogni ordine e grado, e si occupa primariamente di organizzare e coordinare gli spostamenti casa-scuola-casa del personale e degli alunni. “Il mobility manager di un’università si colloca un po’ a metà tra la figura del mobility manager aziendale e quello scolastico e deve confrontarsi con numeri significativi: nel caso del Politecnico di Milano parliamo di circa 50 mila studenti e più di 5 mila lavoratori (docenti, ricercatori, personale tecnico amministrativo, assegnisti, ecc.). Il mobility manager di un’università ha inoltre il fondamentale compito di mantenere i contatti con tutte le strutture comunali e le aziende di trasporto, nonché con gli altri atenei presenti nel medesimo comune ai fini di un proficuo coordinamento, anche verificando soluzioni per il miglioramento dei servizi e l’integrazione degli stessi, nonché per tentare di garantire l’intermodalità e l’interscambio. Anche per quanto appena evidenziato, sono fondamentali i già richiamati rapporti con il mobility manager di Area”, figura prevista fin dal dicembre del 2000, che si occupa di gestire la struttura di supporto e il coordinamento dei mobility manager aziendali e scolastici.
Altro elemento innovativo e di grande importanza, che potrebbe tuttavia sottendere criticità, ci dice Eleonora Perotto, si trova nell’art. 3 del decreto firmato lo scorso 11 maggio, dedicato al Piano Spostamenti Casa Lavoro (PSCL). “Non solo il
mobility manager dovrà evidenziare nel PSCL, a fronte delle misure proposte nel piano, i vantaggi in termini di tempi di spostamento, costi e comfort (concetto non così banale, stante la stretta correlazione con il “percepito” individuale) di trasporto per i dipendenti (studenti universitari del nostro caso), ma anche l’impatto in termini economici e di produttività sull’organizzazione (l’Ateneo nel nostro caso). Inoltre, compito ancora più gravoso e impegnativo, dovranno essere riportati i vantaggi anche per la collettività in termini ambientali, sociali ed economici: una richiesta di enorme portata che richiede tempo, risorse e competenze”. Nelle disposizioni finali si legge poi che ai mobility manager d’area e ai mobility manager aziendali, che svolgono la propria attività presso le pubbliche amministrazioni, non sono corrisposti gettoni, compensi o rimborsi di spese. “Le competenze oggi richieste per queste figure, che soprattutto se pensiamo a enti territoriali e grandi realtà pubbliche, come le università, possono molto influenzare il territorio (dalla proposta di realizzazione di piste ciclabili, agli accordi con i gestori del Trasporto Pubblico, sino alla rimodulazione di aree parcheggio), poco si conciliano con il concetto del “tutto a costo zero”, commenta Eleonora Perotto.

Il mobility manager è anche un comunicatore

Per capire meglio la complessità nello stilare il PSCL, si evidenzia come il mobility manager debba eseguire preventivamente una serie di analisi: dall’offerta di trasporto e servizi (trasporto pubblico, sharing mobility, disponibilità di parcheggi, ecc.), alle caratteristiche proprie del contesto territoriale, nonché socio-economico di riferimento (ad es. presenza infrastrutture ciclabili), sino alla valutazione della domanda di trasporto dei propri dipendenti e/o studenti (definizione dello share modale: quanto si recano con il veicolo privato, quanti con il trasporto pubblico, quanti con la bici, ecc..). A valle di questa mappatura, vengono identificate le strategie per incentivare la mobilità sostenibile (interventi infrastrutturali, iniziative di sensibilizzazione, accordi con gli stakeholder della mobilità) e impostato un sistema di monitoraggio attraverso l’analisi di grandi quantità di dati, ottenuto nella maggior parte dei casi con la somministrazione di appositi questionari inerenti alle abitudini di mobilità. “Il mobility manager - spiega Eleonora Perotto - deve sapere anche comunicare: una volta comprese le esigenze e le abitudini dei nostri studenti e lavoratori, non basta infatti intraprendere azioni concrete per mettere l’utenza nelle condizioni di compiere la scelta più sostenibile nello specifico caso, ma è fondamentale veicolare messaggi volti a promuovere forme di mobilità alternativa più sostenibili, che prevedano anche la possibilità di sperimentare le nuove abitudini, i nuovi comportamenti. Comunicare non basta più: è necessario ingaggiare! In questo modo è possibile stimolare quella che Donna Haraway, nota filosofa statunitense, ha recentemente definito “Responso-abilità”, cioè capacità di reagire proattivamente, assumendosi le pertinenti responsabilità in un contesto di modernità, oggi più che mai liquida, come direbbe il sociologo e filosofo Zygmunt Bauman”.

La mobilità sostenibile nella percezione dei cittadini

Il Politecnico di Milano è una delle realtà più virtuose per quanto riguarda la mobilità sostenibile. “In base all’ultimo questionario somministrato agli utenti del Politecnico, nel 2019, circa il 55% dei nostri studenti utilizza il mezzo pubblico – aggiunge Eleonora Perotto – e il 25% la combinazione mezzo pubblico più veicolo privato (tipicamente chi abita fuori Milano e si reca nella stazione del proprio Comune di residenza e poi prende il treno). Inoltre, il 10% viene a piedi, il 4 % in bicicletta e meno del 7% usa il mezzo privato”. Sempre in base all’indagine del 2019, il Politecnico ha anche cercato di comprendere le esigenze e le motivazioni alla base delle scelte dei propri utenti. Dal documento Esperienze di mobility management al Politecnico di Milano si evince che tra le maggiori criticità sentite tra i frequentatori dei campus universitari del Politecnico ci sono il traffico, la carenza di posti auto, l’inquinamento dell’aria, il furto bici e la scarsa sicurezza dei percorsi ciclistici. “Per rispondere alla riscontrata “paura di furti della propria bicicletta”, si è ritenuto di investire nella costruzione di una velostazione con accesso controllato, dotata anche di una bike-repair station, per interventi di manutenzione rapida, un’ulteriore esigenza emersa dal questionario”.
Eleonora Perotto sottolinea il ruolo dei
questionari che, se ben articolati, possono essere importanti per il monitoraggio delle emissioni CO2 dell’organizzazione. “Grazie ad un questionario adeguatamente costruito, che riporta specifiche domande (ad es. tipo di veicolo, cilindrata, tipo di carburante), siamo in grado di quantificare le emissioni collegate al settore dei trasporti (prevalentemente accesso ai campus e missioni), che sono pari a circa il 50% del totale per il Politecnico”.
La pandemia ha radicalmente stravolto la mobilità dei lavoratori di tutto il mondo, che per diversi mesi hanno sperimentato forzatamente soluzioni di
smart working e cambi di orari di ingresso. Le aziende ora, a seconda delle esigenze, potranno modificare gli orari lavorativi differenziando e rendendo più flessibili i turni, e cambiare sostanzialmente la cultura aziendale nei confronti della mobilità. “Lo smart working ha avuto e ritengo potrebbe avere un impatto molto positivo in termini di riduzione del traffico - conclude Eleonora Perotto - ma solo in abbinamento ad azioni contestuali sul territorio volti a promuovere la micromobilità (prosecuzione e realizzazione di percorsi ciclo pedonali) e il ritorno al trasporto pubblico grazie a nuove tipologie di abbonamento “a consumo”, che lo rendano competitivo in un contesto di spostamenti dimezzati”.