Era stata pensata originariamente a 1 euro per ogni chilo di imballaggio in plastica monouso, poi ribassata a 45 centesimi. Certo è che per vedere applicata la plastic tax ci sarà ancora da aspettare. Per la prima Legge di bilancio del governo Meloni si confermano le voci trapelate in questi giorni di una volontà del centrodestra di rimandare per la quarta volta la tassa sul packaging in plastica usa e getta.

La norma era stata pensata per disincentivare fiscalmente la produzione e il consumo di plastica monouso con un valore di imposta fisso di 0,45 euro per ogni chilo di imballaggio. La plastic tax colpirebbe i MACSI, cioè quei manufatti che hanno o sono destinati ad avere funzione di contenimento, protezione, consegna di merci o di prodotti alimentari. Sono esclusi da questa categoria i prodotti compostabili, i dispositivi medici e imballaggi adibiti a contenere e proteggere medicinali.

Le reazioni al rinvio della plastic tax

La decisione era nell’aria. Proprio lo scorso gennaio l’ex viceministro allo Sviluppo Economico, Gilberto Pichetto Fratin, oggi ministro dell'Ambiente e della Sicurezza energetica, non aveva nascosto i propri dubbi sul provvedimento. “La vorrei addirittura cancellare – disse ad una trasmissione radiofonica dopo la proroga del 2020 - perché la considero un assurdo, va a colpire le nostre imprese. Noi siamo tra i più grandi produttori [di plastica] e prima di colpire i produttori bisognerebbe intervenire con azioni educative e di riutilizzo”. Puntuale arriva la reazione amara di Greenpeace Italia che critica l’ennesimo rinvio. “Il governo Meloni opera in perfetta continuità col governo Draghi – ci scrive Giuseppe Ungherese di Greenpeace Italia - Lo abbiamo già affermato in passato e lo ribadiamo: si tratta dell'ennesimo favore concesso all'industria della plastica monouso e delle lobby fossili da cui viene prodotta, a scapito di persone e Pianeta”.

Durante gli anni la norma ha aperto un acceso dibattito nell’opinione pubblica e nel mondo politico e industriale. L’industria delle plastiche è sempre stata contraria alla norma. “Oltre a non essere mai stata accompagnata da una valutazione di impatto che ne provi in modo scientifico l’utilità ambientale – aveva dichiarato pochi giorni fa alla stampa Marco Bergaglio, presidente di Unionplast, - la tassa è anacronistica anche sotto il profilo economico: dai 650 milioni di maggiori entrate inizialmente ipotizzate, si è arrivati a 32,9 milioni in seguito ai radicali cambiamenti subiti dal mercato negli ultimi anni”. Secondo Unionplast la messa in atto della plastic tax avrebbe un costo anche in termini di occupazione mettendo a rischio un settore di circa 5000 imprese con oltre 100.000 addetti e un fatturato complessivo di circa 19 miliardi di euro.

Come l’Europa vorrebbe tassare la plastica

Chiamata anche plastic levy, in Europa una tassa sulla plastica è in vigore dal gennaio 2021 e consiste in un contributo nazionale basato sulla quantità di rifiuti di imballaggi in plastica non riciclati. Ciascuno Paese membro sarebbe tenuto a pagare un'aliquota di 0,80 euro per chilogrammo del peso del rifiuto, ma si può scegliere liberamente come e dove imporre la tassa. Mentre alcuni Stati stanno pagando il prelievo fiscale, altri hanno introdotto, o stanno cercando di introdurre, nuove tasse, dazi, oneri, diritti o contributi sui prodotti. Secondo gli obiettivi della plastic strategy europea tutti gli imballaggi sul mercato dovranno essere riciclabili entro il 2030, si dovrà ridurre il consumo di plastica monouso e limitare la dispersione delle microplastiche. L’Italia aveva scelto di tassare gli imballaggi monouso, ma tra la resistenza delle imprese e la direzione presa dal governo Meloni, questa plastic tax per ora non s’ha da fare.

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