"Questa riforma ci aiuterà a combattere la minaccia rappresentata dal cambiamento climatico. Tutte le nazioni hanno la responsabilità di affrontare questa sfida”. Queste furono le parole dell’allora presidente degli Stati Uniti Barack Obama al G20 del 2009, quando per la prima volta 19 Paesi più l’Unione europea presero l’impegno di eliminare gradualmente i sussidi inefficienti ai combustibili fossili. Una picconata a un meccanismo economico finalizzato a preservare un modello di produzione energetica che accelerava il riscaldamento globale a spese dei contribuenti.
Sono passati quasi 14 anni dal summit di Pittsburgh e il processo di phase out (eliminazione) si sta rivelando ancora troppo lento per centrare gli obiettivi climatici internazionali. Esistono diversi modi con cui la finanza pubblica supporta ancora l’industria fossile lungo tutta la catena del valore. Per di più, tra sovvenzioni dirette e implicite, manca ancora un consenso totale sulla definizione di sussidio.

Sussidi alle fonti fossili: il problema delle definizioni

Presa come riferimento da varie istituzioni internazionali come OECD, IRENA e UNEP, una definizione di sussidi alle fonti fossili la offre la World Trade Organization (organizzazione mondiale del commercio) che definisce il sussidio come qualsiasi forma di finanziamento o contributo da parte di un governo o agenzia governativa, che conferisce un vantaggio di mercato rispetto ai partecipanti.

Secondo la Ong Climate Action Network (CAN), questa classificazione e le sue varianti riflettono solo le sovvenzioni “dirette”, ovvero misure tangibili di sostegno fiscale fornite dagli Stati non includendo i sussidi impliciti, quei costi nascosti chiamati anche esternalità, che rappresentano i danni (spesso sottostimati) provocati dall’inquinamento atmosferico e dal riscaldamento globale. Mentre quelli diretti ammontano a mille miliardi di dollari annui, secondo una stima del Fondo Monetario Internazionale i sussidi impliciti toccano addirittura i 5000 miliardi.

“Per sussidi fossili si intendono tutte quelle operazioni che vanno a finanziare, ma anche favorire l'industria dei combustibili fossili in qualsiasi momento della sua catena di valore. Quindi dalla fase estrattiva fino a quello di consumo da parte dell'utente – spiega a Materia Rinnovabile Simone Ogno della Ong REcommon – Potrebbe trattarsi di uno spettro di finanziamenti ancora più ampio di quello che viene già mappato, perché un recinto all'interno del quale inserirli non c’è e di conseguenza è più difficile normarli e limitarli”.
Prestiti, garanzie sui prestiti, assicurazioni, tagli alle accise, royalties (pagamenti effettuati dall’aziende ai proprietari del terreno per l’estrazione di idrocarburi) che non vengono tassate: sono alcune delle forme di sussidio che vengono erogate in un’ampia gamma di settori ad alta impronta carbonica, dalla produzione di energia ai trasporti, dall’edilizia alla agricoltura.

I sussidi al consumo

Per quanto riguarda il comparto energetico (il più sussidiato), a livello globale le sovvenzioni dirette sono diminuite da un picco di quasi l'1,2% del PIL mondiale nel 2012 allo 0,8% nel 2021, anno in cui hanno doppiato gli investimenti nelle rinnovabili (446 milioni di euro). L’IPCC stima che eliminandole si potrebbe ridurre le emissioni di gas a effetto serra del 10% entro il 2030.

“Alcuni di questi sussidi sono spesso messi in atto per sostenere le popolazioni vulnerabili, ma possono anche incoraggiare il consumo di combustibili fossili – spiega Igor Shishlov, responsabile della finanza climatica al Climate Perspective Group - In effetti, ci sono modi migliori per fornire sostegno alle persone fragili in tempi di crisi, ad esempio fornendo trasferimenti di denaro mirati piuttosto che sussidi generalizzati per i combustibili fossili". Shishlov si riferisce in particolare ai tagli delle accise sulla benzina che diversi Paesi, tra cui l’Italia, hanno operato per mitigare le fluttuazioni del petrolio sul mercato internazionale.
I cosiddetti sussidi al consumo, da un lato rappresentano un importante forma di supporto sociale durante i periodi di crisi energetica, dall’altro distorcono i prezzi, rendono meno attraenti gli investimenti per l'efficienza energetica (come nel caso della crisi del gas) e possono comportare uno spreco di energia.

Il ruolo di SACE come garante alle fossili

I sussidi diretti al consumo rappresentano tuttavia una piccola fetta della torta. In Italia, per esempio, tra i cosiddetti SAD (sussidi ambientalmente dannosi) - catalogati dal Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza energetica in lunghissimo elenco redatto nel 2019 – figurano i crediti all’esportazione. Si tratta di strumenti finanziari assicurativi che supportano gli investimenti esteri delle aziende, andando a coprire i rischi politici e commerciali. In Italia è SACE (Società per Assicurazioni di Credito all'Esportazione) a garantire questi investimenti. “Agisce come assicuratore pubblico interamente controllato dal Ministero dell'Economia e delle Finanze italiano – spiega Simone Ogno – In caso per esempio di uno scoppio di una guerra o di calamità naturale, i soldi dell’investimento vengono ripianati con contributi pubblici stanziati da SACE. Accade anche che il denaro venga risarcito alla banca che ha concesso un prestito alla multinazionale per realizzare una parte di quel progetto”.

Secondo la coalizione Export Finance for Future (E3F), SACE tra il 2015 e il 2020 ha speso più di 8 miliardi di euro in sussidi alle fossili, erogandone solo due per infrastrutture rinnovabili. In una speciale classifica tra i 10 Paesi della coalizione che impegnano più soldi pubblici per progetti fossili, l’Italia è la più esposta.
Ma non tutti pensano che il lavoro dell’agenzia di credito all’esportazione italiana debbano rientrare tra i sussidi ambientalmente dannosi. “Sebbene sia partecipata e prevalentemente di proprietà dello Stato italiano, SACE opera secondo le regole del diritto privato – dice a Materia Rinnovabile Andrea Marroni, consulente di MRC Consultants Si tratta di un servizio di assicurazione a condizione di mercato, non c'è nessun intervento preferenziale. Sarebbe un sussidio se SACE offrisse un prodotto finanziario agevolato per progetti fossili”. L’agenzia, tra il 2016 ed il 2021, ha emesso garanzie al settore Oil&Gas per un totale di 13,7 miliardi di euro, ma secondo Marroni la copertura assicurativa non preleva denaro dal budget fiscale dello Stato.

Tuttavia, come si legge nella dichiarazione firmata alla COP26 di Glasgow, tutte le agenzie di credito all’esportazione sono considerate come istituzioni di finanza pubblica che foraggiano l’industria fossile, e pertanto sono “incoraggiate” a emettere le loro garanzie per progetti di energia pulita, in linea con gli Accordi di Parigi.

I piani di SACE sono allineati agli accordi sul clima internazionali?

Alla COP26 di Glasgow del 2021, 34 Paesi e cinque istituzioni finanziarie pubbliche hanno firmato un impegno congiunto, la cosiddetta dichiarazione di Glasgow, per porre fine a nuovi finanziamenti pubblici internazionali ai combustibili fossili. Nel suo piano di implementazione, approvato nel 2021 e rivelato dalla pagina Linkedin di E3F solo due mesi fa, SACE prevede il divieto di “supportare nuove transazioni relative a carbone, impianti petroliferi che utilizzano il gas flaring di routine durante le attività di estrazione e i progetti mirati all'esplorazione, allo sfruttamento e alla produzione di petrolio e gas attraverso il fracking”.

Tuttavia questi divieti hanno tempistiche differenti: le coperture assicurative all’estrazione del petrolio verranno eliminate dal 2023, mentre quelle per il gas dal 2026. Di certo l’inclusione del gas nella tassonomia verde europea ha mischiato ancor di più le carte. “Gli investimenti in gas non sono compatibili con la traiettoria per contenere il riscaldamento globale a 1,5° C e non devono essere etichettati come verdi - aggiunge Igor Shishlov – credo però che questo non necessariamente inciderà più di tanto sulle sovvenzioni all’industria fossile. Il petrolio non è nella tassonomia verde, ma è comunque sovvenzionato. Tuttavia ci potrebbero essere implicazioni indirette. Utilizzando la tassonomia europea come conferma, i fondi di investimento potrebbero dichiarare che il loro portafoglio di investimenti è verde.”
SACE nel suo piano inserisce parecchie eccezioni che indeboliscono l’impegno dell’Italia preso a Glasgow. “In questo piano ce ne sono talmente tante che è come non averlo – commenta Ogno - Ci sono delle casistiche infinite. Tirando in ballo la questione della sicurezza energetica, ad esempio, l’agenzia potrebbe emettere garanzie per progetti fossili anche oltre il 2028”.

Per assistere ad una completa eliminazione dei sussidi da parte di SACE – che, nonostante le molteplici richieste di chiarimento da parte di Materia Rinnovabile, non ha rilasciato alcun commento – ci vorrà probabilmente ancora parecchio tempo. Troppe incognite, troppe eccezioni. In nome di una sicurezza energetica che non fa rima con sicurezza climatica.

Immagine: Envato Elements