La scorsa settimana la giunta regionale della Sardegna, di centrosinistra e fresca d’elezione, ha approvato una moratoria di diciotto mesi sull’installazione di impianti rinnovabili che comportino consumo di suolo. Sono escluse dal provvedimento le infrastrutture dedicate all’autoconsumo e alle comunità energetiche, oltre che tutti i progetti relativi alle fonti fossili.

La scelta del governo di Cagliari, guidato dall’ex sottosegretaria allo sviluppo economico Alessandra Todde (M5S), non è giunta a sorpresa. Da almeno un quindicennio esiste nell’isola una certa opposizione alle fonti rinnovabili, e negli ultimi due anni il malcontento è esploso. Già a febbraio, nella conferenza stampa di insediamento al termine dello spoglio, Todde aveva annunciato che la moratoria sarebbe stata tra le priorità della sua agenda. Col provvedimento appena approvato, questa promessa si appresta a diventare realtà. Le dinamiche politiche che hanno portato alla moratoria hanno molto a che fare con le peculiarità della Sardegna, ma non è da escludere che altre regioni del Sud Italia decidano di seguire questo esempio.

Molto fossile, metano in arrivo e una selva di progetti rinnovabili

Per capire quanto sta avvenendo nell’isola occorre partire dal contesto. Ciò su cui tutti gli attori politici in campo sembrano concordare è che quello in corso in Sardegna sia un caso da manuale di transizione non governata.
L’isola ha uno dei mix energetici più sporchi d’Italia. Al 2023 era fossile per il 75%, con una quota importante di carbone derivante dalle due centrali ancora attive. Le rinnovabili sommate non vanno oltre il 25%. Questo nonostante l’isola sia un’esportatrice netta di elettricità: i trasferimenti verso penisola e Corsica, sommati alle perdite, valgono il 40% del totale prodotto.

A proposito del carbone ancora presente sull’isola, il Ministro dell’ambiente Gilberto Pichetto Fratin ha annunciato poche settimane fa che la chiusura delle centrali, prevista al 2025 come nel resto d’Italia, sarà rimandata. Solo in Sardegna rimarranno attive fino al 2027. Il governo regionale punta a sostituirle grazie al Tyrrhenian Link un elettrodotto sottomarino che collegherà Sardegna e Sicilia e soprattutto grazie al metano. A lungo il gas naturale è stato marginale nell’isola, ma da alcuni anni si stanno costruendo le infrastrutture per il suo uso sia domestico sia interno alla rete elettrica.

In questo scenario di transizione lenta, e da fossile ad altro fossile, si inseriscono le rinnovabili. Complice la liberalizzazione del settore, il miglioramento delle tecnologie e le condizioni climatiche favorevoli, sulla Sardegna sono piovute enormi quantità di richieste per nuovi impianti eolici e fotovoltaici. Terna, il gestore della rete, segnala 809 pratiche giunte ai suoi uffici, divise approssimativamente tra un 40% di solare e un 30% a testa di eolico off-shore e eolico in-shore. Se tutte si trasformassero in impianti, si supererebbe di undici volte il consumo elettrico isolano – calcolato sui consumi attuali, e quindi al netto di future opere di elettrificazione.

Presentare richiesta di connessione a Terna è solo il primo passo del lungo percorso che porta alla realizzazione di un impianto rinnovabile: è realistico che non tutti questi dossier vadano in porto. Come ricorda la Confederazione Nazionale dell’Artigianato (che ha salutato con favore la moratoria) l’iter autorizzativo dura in media sette anni e va a buon fine per la metà degli impianti. Anche così, però, i numeri sono tali da destare preoccupazione nei territori.

La gran parte dell’opposizione è di tipo paesaggistico. Realtà come Italia Nostra e Gruppo d’Intervento Giuridico – impegnate in tutta Italia nella lotta contro le energie rinnovabili – denunciano il rischio di deturpare lo scenario naturalistico sardo. Una paura condivisa da molti abitanti delle comunità rurali e dai sindaci. A queste ragioni, poi, si aggiungono la questione dei profitti e quello che la stessa Todde ha chiamato “colonialismo energetico”. Innanzitutto, i diffusi comitati contrari ai parchi eolici e fotovoltaici fanno notare come i profitti derivanti dagli impianti in via di autorizzazione, privati e in gran parte di società estere o del settentrione, non rimangano sul territorio.

L’altro grande tema è legato alle esportazioni: i fautori della moratoria temono che i progetti in campo siano in larga parte pensati per l’esportazione verso le regioni industriali del nord Italia. Un tema quest’ultimo che – in una terra segnata da un forte autonomismo e che da tempo lamenta altre forme di servitù, ad esempio quelle militari – ha forte presa su segmenti trasversali della popolazione.

Frenare la speculazione, non la transizione

Il testo della moratoria approvato dalla giunta regionale non è ancora legge. Per entrare in vigore deve superare il vaglio del consiglio regionale - dove sia maggioranza sia opposizione sembrano intenzionati a votarlo. Se approvato, sarà vietata per un tempo massimo di diciotto mesi l’installazione di impianti rinnovabili connessi al consumo di suolo, a esclusione di quelli legati ad autoconsumo e comunità energetiche. “Diciotto mesi è un tempo cautelativo. Noi speriamo di sbloccare la situazione in sei mesi”, ha spiegato Todde. Il tempo offerto dalla moratoria, infatti, serve nelle intenzioni a stilare il piano delle aree idonee, ancora inconcluso, e aggiornare il piano paesaggistico regionale. “Il nostro obiettivo non è frenare la necessaria transizione ecologica, ma la speculazione”, ha concluso la presidente.

I comitati contrari ai progetti rinnovabili avevano presentato mesi fa una loro proposta di moratoria unitaria. A differenza di quella approvata dalla giunta regionale, questa versione prevedeva lo stop anche alla presentazione di nuovi progetti, non solo alla loro installazione, e chiedeva di fermare contestualmente le nuove infrastrutture fossili. Il disegno di legge Todde stralcia la parte relativa al fossile e si limita all’installazione, ritenendo di esclusivo interesse nazionale il tema delle richieste. In passato moratorie simili sono state impugnate dal governo di Roma e affossate dai tribunali. In questo caso la giunta sarda assicura di aver studiato la norma nei minimi dettagli, e di non temere bocciature.

Le reazioni

Nell’isola la contrarietà a pale e pannelli è diventata via via trasversale. La moratoria ha fatto da punto di caduta di un’area ampissima e variegata che va dalla stampa di destra (l’Unione Sarda, principale quotidiano conservatore dell’isola, è impegnata in una dura campagna contro le rinnovabili), a parte dell’ecologismo, ai sindaci, alla politica tutta, compresi gli esponenti locali di Europa Verde.

Le reazioni nell’isola si dividono essenzialmente tra chi plaude all’iniziativa di Todde e chi, considerandola insufficiente, vorrebbe un blocco ancora più duro. Le poche voci contrarie arrivano più spesso dal continente. ANEV, l’associazione che riunisce le imprese dell’eolico, parla in una nota di provvedimento “incredibile, figlio di un accanimento, visto negli ultimi mesi di campagna elettorale nell'isola, verso le fonti pulite, che finirebbe per avvantaggiare solo il gas e le centrali a carbone”. Sardegna Rinnovabile, un cartello che riunisce Greenpeace, Legambiente, WWF e Kyoto Club, scrive di “uno stop anacronistico e irresponsabile”.

 

Immagine: Villasimius, Sardegna (Envato Elements)

 

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