In molti hanno dato la carta per spacciata, travolta dall’avvento del digitale e da una crescente sensibilità ambientalista che la considererebbe come una delle principali cause di deforestazione del pianeta. Eppure, questo materiale inventato in Cina agli inizi del II secolo d.C. e perfezionato dai cartai italiani nel 1200 per diventare uno strumento essenziale di trasmissione di cultura e informazioni, oggi sta vivendo una sorta di nuova giovinezza con l’affermarsi del paradigma della bioeconomia circolare. Proprio così: la carta è un bioprodotto per eccellenza perché si ricava dalla cellulosa che a sua volta deriva dal legno. E non mancano i sistemi di certificazioneFSC, PEFC, ecc. – per garantire che la carta provenga da sistemi di gestione sostenibile delle foreste. Basta fare un giro in un paese come la Finlandia, per esempio, per vedere con i propri occhi come a ogni albero abbattuto ne corrisponda uno nuovo piantato.

Modello di riciclo e sostenibilità, la filiera italiana è pronta alle sfide del Terzo Millennio

La carta, inoltre, è inserita in uno dei circuiti di riciclo più consolidati ed efficienti: in Italia, secondo i dati forniti dal consorzio Comieco, nel 2018 sono stati raccolti 3,4 milioni di tonnellate di carta e cartone solo con la raccolta differenziata dei comuni italiani (se poi si aggiunge la raccolta industriale su superfici private il dato complessivamente ammonta a circa 6,6 milioni di tonnellate). Una vera e propria “foresta urbana”, che diventa importante materia prima seconda per il settore cartario nazionale il quale fino al 2004 importava dall’estero circa un milione di tonnellate e che oggi, grazie allo sviluppo delle raccolte interne, riesce a soddisfare il proprio fabbisogno produttivo. Sembra, infine, che stia via via togliendo terreno alla plastica nel mercato degli imballaggi, affermandosi come uno dei materiali preferiti dall’industria alimentare e dalla grande distribuzione per le notevoli proprietà di conservazione soprattutto dei prodotti deperibili. L’industria dell’imballaggio è sempre più orientata a utilizzare materie prime derivanti da fibre rinnovabili e compostabili, direzione nella quale il settore della carta e del cartone è sempre più impegnato e sta investendo fortemente sulla sostenibilità del packaging cellulosico, ottenendo risultati importanti sia sotto il profilo dell’innovazione, sia per quanto riguarda la riciclabilità.
Lo sviluppo di materiali per l’imballaggio da fonti rinnovabili rappresenta una grande opportunità per la competitività nella bioeconomia circolare in cui si recupera tutto, riducendo costi e impatti ambientali.

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La filiera della carta: circolare prima di Ellen MacArthur

Il settore cartario – come ricorda il Rapporto 2019 di Unirima, l’Unione nazionale delle imprese di recupero e riciclo maceri – è storicamente e strutturalmente un settore circolare.” Molto prima che Ellen MacArthur ponesse con la sua fondazione il tema dell’economia circolare al centro del dibattito politico ed economico in tutta Europa. La filiera è infatti chiusa e il prodotto una volta utilizzato può essere recuperato e reimpiegato nel processo produttivo per fabbricare nuova carta. La fase di produzione e quella di riciclo, in genere, coincidono e la cosiddetta carta da macero, ovvero la materia prima secondaria, viene impiegata in alternativa o insieme alla cellulosa (la materia vergine) dalle cartiere per produrre nuova carta. Sotto tale profilo la filiera della carta è un vero e proprio modello di economia circolare: da carta nasce nuova carta. La raccolta può avvenire attraverso due diversi canali: urbano, con la raccolta differenziata svolta dalle aziende di gestione dei rifiuti urbani e assimilati (public utilities e imprese private) – di cui Comieco garantisce il ritiro attraverso corrispettivi economici verso i comuni previsti da un Accordo Quadro nazionale con l’ANCI – o industriale, attraverso aziende specializzate, le quali sono generalmente private. Le aziende che effettuano la raccolta differenziata conferiscono la carta agli impianti di recupero, i quali a loro volta provvedono alle operazioni di selezione e valorizzazione finalizzate alla produzione di materia prima seconda che viene poi utilizzata nei cicli produttivi dalle cartiere che producono nuova carta (le bobine). Questa viene successivamente utilizzata dai trasformatori del settore cartotecnico, che la impiegano per fabbricare i prodotti finiti. A fine vita del prodotto, cioè una volta terminato l’impiego, il ciclo circolare riparte attraverso i circuiti delle raccolte differenziate.

All’inizio del ciclo: la gestione sostenibile delle foreste

Dal 1800, il legno è la materia prima da cui viene prodotta la carta. Dal momento in cui si fu in grado di ottenere la pasta di legno, la produzione divenne di massa trasformando la carta in un prodotto di largo consumo. Con la rivoluzione industriale e l’impiego di macchinari sempre più innovativi, fu possibile anche diversificare gli impieghi: oltre ai prodotti da stampa, si iniziò a produrre la carta igienica, le prime confezioni di cartone per gli imballaggi e poi, nel secolo scorso, la carta per gli isolamenti elettrici, i giocattoli e tanti altri prodotti. L’industria italiana in questa evoluzione ha giocato un ruolo di primo piano, anche se il nostro paese deve importare la cellulosa per fare la carta. Tutta la cellulosa importata in Italia è soggetta a verifica di legalità e circa l’80% è dotata di certificazione di sostenibilità, mentre il tasso di circolarità (rapporto tra materie prime secondarie e quelle totali impiegate) di tutto il settore, grazie al ciclo virtuoso che parte dalle raccolte differenziate, raggiunge il 55%, con eccellenze nella filiera degli imballaggi che consentono di raggiungere l’80% di riciclo. Un target che, per il settore dell’imballaggio, è già oltre gli obiettivi europei previsti al 2025 e in linea con quelli del 2030 che fissano il riciclo all’85%.

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Eppure, con 11 milioni di ettari occupati dalla foresta, il 38% della superficie, l’Italia è il sesto paese dell’UE in termini assoluti e il primo per dinamica: la superficie boschiva è aumentata del 6,7% nell’ultimo quarto di secolo, rispetto a un 2,1% nella media europea. L’Italia è ai primi posti anche per protezione delle foreste, con 4,7 milioni di ettari di foresta riconosciuti come cruciali per preservare la biodiversità e le caratteristiche paesaggistiche e 8,2 milioni di ettari con ruolo di protezione del suolo e delle acque.
Secondo un’indagine svolta nel 2016 nell’ambito della campagna Twosides – il lato verde della carta (un’iniziativa lanciata nel 2008 da esponenti della filiera della comunicazione su carta, comprendente le imprese forestali, i produttori di paste per carta, i distributori di carta, i produttori di inchiostri e additivi chimici, gli operatori della prestampa, della stampa e delle finitura, gli editori, i produttori di buste e di imballaggi in carta e gli operatori postali), ancora oggi in Italia la carta non gode di buona reputazione quando si parla di foreste e meno del 50% della popolazione sa cosa siano le certificazioni FSC o PEFC.
Ma che cosa significa esattamente gestione sostenibile delle foreste? La definizione corrente, adottata nel 1993 dalla Conferenza ministeriale per la protezione delle foreste in Europa, consiste “nella gestione e nell’uso delle foreste e dei terreni forestali nelle forme e a un tasso di utilizzo che consentano di mantenerne la biodiversità, produttività, capacità di rinnovazione, vitalità e potenzialità di adempiere, ora e nel futuro, a rilevanti funzioni ecologiche, economiche e sociali a livello locale, nazionale e globale, senza comportare danni ad altri ecosistemi”.
In poche parole: va evitato l’abbattimento indiscriminato degli alberi. La gestione delle foreste è una responsabilità nazionale, anche se l’Unione europea ha definito determinati criteri e linee guida sul modo migliore per prendersene cura. Bruxelles, infatti, intende sostenere e attuare sempre di più una gestione sostenibile proteggendone e preservandone le molteplici funzioni. A tal fine, è stata adottata una nuova strategia forestale che è stata pubblicata nel settembre 2013 (con un orizzonte che va dal 2014 al 2020), allo scopo di promuovere un migliore coordinamento tra tutte le parti interessate coinvolte.
Tra le certificazioni più diffuse vi sono proprio FSC (Forest Stewardship Council) e PEFC (Programme for Endorsement of Forest Certification). Si tratta di standard internazionali rivolti alle imprese che operano nel settore del legno e dei suoi derivati. Questi schemi sono stati sviluppati con l’obiettivo di diffondere nella società civile e industriale principi di corretta gestione forestale. Per ognuno dei due schemi (FSC e PEFC) si possono identificare due standard di certificazione: il primo è rivolto a chi opera nell’ambito della gestione delle foreste (imprese, consorzi, enti pubblici) e ha la finalità di assicurare che le stesse siano gestite nel rispetto di rigorosi standard ambientali sociali ed economici; il secondo è basato sul principio della rintracciabilità dei materiali provenienti da foreste certificate ed è rivolto alle imprese che trasformano i prodotti derivati dal legno. Interessa quindi, segherie, mobilifici, aziende che producono imballaggi in legno e chi produce prodotti contenenti legno per l’edilizia e l’arredo ma anche cartiere, tipografie, cartotecniche, ecc.

Il consumo della carta

Uno degli impieghi più importanti dei prodotti forestali è senz’altro quello della carta, che ha vissuto negli ultimi anni una fase di profonda trasformazione: la digitalizzazione dei contenuti ha portato a un’abbondante diminuzione dei consumi di carta, concentrata nel settore della carta grafica: a livello mondiale la produzione di carta per usi grafici è passata da 21,4 a 16,1 chilogrammi pro-capite (5° Rapporto sulla Bioeconomia, Intesa Sanpaolo). Al tempo stesso si è verificata una crescita nei consumi a livello globale, legata sia all’industrializzazione dei paesi emergenti, con la Cina diventata in breve tempo il principale produttore e consumatore di carta, sia a un maggiore utilizzo della carta in contesti differenti rispetto alla stampa e alla grafica (dagli imballaggi all’incremento negli utilizzi igienico-sanitari). L’accresciuta sensibilità ambientale e la ricerca di nuove fonti di materia prima hanno poi comportato una spinta verso l’utilizzo di input sempre più certificati sul piano della provenienza e, soprattutto, a un forte aumento del recupero, con la pasta carta vergine che ha perso quota tra gli input a favore di quella derivante dal riciclo: tra il 2001 e il 2017 la quota di pasta carta originata da fibre riciclate è passata dal 6% al 33% del totale.
Secondo il Rapporto già citato di Intesa Sanpaolo, nell’Europa a 28 paesi, il settore della carta e dei prodotti in carta occupava nel 2017 circa 660.000 addetti, per un fatturato di oltre 200 miliardi di euro, in poco meno di 20.000 imprese. Si tratta del 2,1% e del 2,5% rispettivamente degli addetti e del fatturato del manifatturiero della vecchia Unione a 28 paesi.
Circa il 25% degli addetti è occupato nelle fasi a monte (produzione di pasta carta 2,2% e di carta 23,3%), caratterizzate da una elevata intensità di capitale, mentre il restante 75% è attivo nelle fasi a valle della produzione di prodotti in carta, per loro natura a maggiore intensità di lavoro. In particolare tra i comparti a valle assume un peso importante la produzione di carta e cartone ondulato per imballaggi, che da solo copre circa il 41% dell’occupazione europea del settore.
Nel complesso del settore, l’Italia, con 72.000 addetti per 23 miliardi di fatturato, è il secondo paese produttore, alle spalle della Germania.
Il nostro paese, nonostante la mancanza di materia prima, si colloca tra i principali produttori europei, in particolare per quanto riguarda la carta grafica e quella per utilizzi igienico-sanitari. Come emerge con chiarezza dal caso del settore cartario di Lucca, la buona performance italiana dipende dalla forte specializzazione di alcuni attori che, puntando sull’innovazione tecnologica e sulla partnership con un competitivo settore della meccanica dedicata, si sono ritagliati un ruolo importante nel panorama della carta mondiale.
L’innovazione, in particolare, sarà una delle chiavi principali per continuare a operare in contesti sempre più complessi e con una crescente domanda di sostenibilità. Alcuni temi centrali per la crescita e lo sviluppo del settore riguardano, nello specifico, il controllo e la gestione degli elevati consumi energetici; l’automazione di sistemi di controllo, di processo e di manutenzione volti alla minimizzazione delle inefficienze produttive; la presenza di impianti di recupero degli scarti provenienti dall’attività delle cartiere.

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Il riciclo di carta e cartone

Nella filiera della carta, i rifiuti oggi sono in larga parte recuperati e riciclati per consentire il ritorno in circolo del materiale. Il rifiuto viene riciclato e reimmesso nei cicli produttivi e di consumo come nuova materia prima che sostituisce in larga parte le materie prime vergini. La carta può essere reimmessa nel processo produttivo numerose volte: secondo gli addetti ai lavori può essere riutilizzata da cinque fino a sette volte. Questo perché nella trasformazione da carta da macero a fibra naturale, il materiale riceve notevoli stress, visto il complesso processo per la lavorazione, con piccole perdite di caratteristiche, maggiormente meccaniche, e una perdita delle fibre stesse.
Attraverso la chiusura del cerchio non solo si riduce il consumo di materia prima, ma si risparmiano anche energia e acqua, si riducono le emissioni e si diminuisce la quantità di materiali destinati alle discariche, risparmiando così preziose risorse che andrebbero altrimenti sprecate. Se fino agli anni Ottanta si consumava esclusivamente carta fabbricata con la cellulosa di legno, quindi carta nuova, “oggi, per lo meno in Italia – sottolinea Comieco (Consorzio nazionale recupero e riciclo degli imballaggi a base cellulosica) – capita il contrario: si riciclano otto imballaggi su dieci. Ciò significa che si consuma meno materia prima vergine. In ogni caso, in Europa, per ogni albero tagliato dall’industria della carta ne vengono piantati tre e nel nostro continente la riforestazione è in crescita ovunque”. Riciclare carta e cartone significa molto anche per l’aria che respiriamo. Le emissioni di anidride carbonica evitate in un anno grazie al ciclo del riciclo di carta e cartone – stando alle stime di Comieco – equivalgono a sei giorni di blocco totale del traffico in tutta Italia.
Dai suoi esordi nella fine degli anni Novanta – sottolinea Carlo Montalbetti, Direttore generale di Comieco – l’Italia del riciclo di carta e cartone ha compiuto importanti passi avanti e noi italiani possiamo considerarci a pieno diritto una tra le nazioni europee meglio organizzate. In vent’anni, i volumi di carta e cartone raccolti sono più che triplicati. Ciò significa 45 milioni di tonnellate di CO2 in minori emissioni e 400 discariche risparmiate sul territorio.”

Nel caso della carta, le potenzialità legate al riciclo sono sfruttate e massimizzate a livello sia europeo sia italiano. La quasi totalità dei rifiuti in carta e cartone viene riciclata. La termovalorizzazione risulta marginale: solo l’1% dei rifiuti in carta viene destinato a questa modalità di trattamento in Europa.
Sui materiali raccolti lavorano gli impianti di recupero per trasformare il rifiuto in materia prima seconda e raggiungere gli standard merceologici previsti dalla UNI EN 643, la norma che definisce le tipologie di carta e cartone per il riciclaggio la cui prima versione è del 1994 ed è stata successivamente aggiornata (Norma UNI EN 643 – Lista europea delle qualità unificate di carta e cartone da riciclare – Marzo 2014). Raccolte differenziate non di buona qualità – sottolineano gli addetti ai lavori – possono condizionare profondamente le attività successive riguardanti le fasi del recupero e del riciclo. Per questo motivo c’è una continua attività di standardizzazione finalizzata al miglioramento della qualità che coinvolge l’intera filiera italiana e il Consorzio Comieco. Nel giugno 2019 Comieco, Unirima, Assocarta e Assografici hanno adottato delle specifiche procedure per uniformare il campionamento e le modalità di verifica delle frazioni estranee nella carta raccolta e sottoposta alle operazioni di selezione che precedono il riciclo.

La qualità è un tema centrale e prioritario per l’intera filiera anche in considerazione degli obiettivi di riciclo sempre più ambiziosi previsti dalle nuove direttive europee in via di recepimento: più si ricicla più crescono gli scarti di processo che riguardano sia la selezione degli impianti di recupero che i processi in cartiera. Uno sforzo che riguarda non solo i rifiuti urbani da avviare a riciclo nelle cartiere, ma anche i rifiuti industriali, sulla falsariga di paesi come la Germania o l’Austria, dove però dagli scarti delle cartiere si produce energia. Tanto che il presidente di Assocarta(l’Associazione che aggrega le imprese che producono in Italia carta, cartoni e paste per carta) e della Federazione carta e grafica, Girolamo Marchi, lamenta che “se la situazione non cambia saremo invece costretti a stipulare accordi settoriali per esportare i nostri scarti all’estero. Alla faccia dei principi dell’economia circolare e, soprattutto, della bilancia commerciale del paese. Inutile stupirsi se i nostri concorrenti producono a prezzi inferiori. Lo fanno anche recuperando i nostri scarti industriali, servizio per il quale si fanno pagare, oltre a non avere il costo energetico”. Sul tema della gestione degli scarti di lavorazione derivanti dalla produzione di materia prima secondaria si è fatta sentire anche Unirima, poiché dalle attività di selezione e recupero dei rifiuti di carta e cartone finalizzate alla produzione di materia prima secondaria derivano scarti non riciclabili qualificati come rifiuti speciali non pericolosi nel Catalogo europeo dei rifiuti (CER). “Tali rifiuti – commenta il direttore generale di Unirima Francesco Sicilia – come riportato nell’ultimo rapporto rifiuti speciali dell’Ispra, rappresentano circa il 30% del totale dei rifiuti del capitolo 19, cioè i rifiuti prodotti dal trattamento dei rifiuti, per un quantitativo complessivo pari a circa 11 milioni di tonnellate. Ma, mentre i dati Ispra evidenziano il costante aumento della produzione di questi rifiuti, +2,3% del 2017 rispetto al 2016, le capacità degli impianti di destinazione che devono riceverli si stanno drasticamente riducendo con conseguente esponenziale incremento delle difficoltà da parte delle imprese del nostro settore nell’allocare tali scarti di lavorazione”. “Unirima – aggiunge il presidente Giuliano Tarallo – sta ponendo da tempo l’attenzione su tali criticità nei momenti di confronto pubblici, mezzo stampa, nei rapporti con le istituzioni come fatto nelle audizioni alla Commissione Ambiente della Camera dei Deputati, nei convegni, come quello in occasione della presentazione del Rapporto Unirima 2019 e in ultimo agli Stati Generali della carta da macero dello scorso 22 gennaio. L’Associazione ritiene fondamentale intervenire con urgenza al fine di prevenire danni per l’economia di tutta la filiera del riciclo della carta, per i sistemi pubblici di raccolta differenziata e con possibile rischio per l’ambiente.”
Un tema spinoso quest’ultimo in Italia, che si aggiunge a quello riguardante il cosiddetto End of Waste. La filiera cartaria che traina l’economia circolare italiana non ha ancora una norma nazionale che disciplina la cessazione della qualifica di rifiuto (End of Waste), indispensabile per allineare procedure e standard merceologici alla richiamata norma tecnica di settore UNI EN 643.

Il caso Italia

L’Italia, intanto, eccelle nel trattamento dei rifiuti da imballaggio, dove supera gli obiettivi fissati a livello europeo per la carta e il cartone. Il tasso di riciclo degli imballaggi in carta dovrà essere pari ad almeno il 75% nel 2025 e all’85% nel 2030. Il nostro paese è già messo molto bene. Stando ai dati del 24° Rapporto Comieco presentato nel luglio scorso, la raccolta differenziata di carta e cartone nel 2018 ha raggiunto i 3,4 milioni circa di tonnellate (oltre 56 chili per abitante a livello di media nazionale), con un miglioramento significativo del Mezzogiorno, che contribuisce con il 50% ai nuovi volumi. Il Sud è l’area che, seppur in continua crescita negli ultimi anni, ha ancora un notevole potenziale di sviluppo (stimato in circa 600.000 tonnellate) in termini di quantitativi ancora da intercettare per il riciclo e sottrarre alla discarica. Il riciclo si attesta all’81% dell’immesso al consumo, superando, come già sottolineato, gli obiettivi europei fissati al 2025. Tutto ciò – enfatizzano a Comieco – “testimonia non solo l’impegno dei cittadini a differenziare la carta, ma anche un sistema di gestione efficace ed efficiente, capace di garantire, a qualunque condizione e su tutto il territorio nazionale, il ritiro e l’avvio a riciclo degli imballaggi in carta e cartone”. Lo sviluppo delle raccolte differenziate urbane è stato reso possibile dalla sussidiarietà al mercato di un sistema come quello di Comieco che, attraverso i corrispettivi previsti dall’Accordo Quadro con l’ANCI, ha garantito i comuni sul ritiro delle raccolte differenziate su tutto il territorio nazionale anche quando il mercato non rendeva remunerativa la raccolta e la valorizzazione. Comieco dal 1998 (anno di avvio del sistema consortile Conai, Consorzio nazionale imballaggi) a oggi ha sempre operato come garante dell’avvio a riciclo di carta e cartone, accompagnando di fatto lo sviluppo della raccolta differenziata in tutta Italia con oltre 1,6 miliardi di euro corrisposti ai comuni (97,5 milioni di euro solo nel 2018) e più di 31,2 milioni di tonnellate di carta e cartone gestiti. Le quantità gestite da Comieco, sempre secondo gli ultimi dati ufficiali relativi al 2018, rappresentano il 42,5% della raccolta comunale complessiva a livello nazionale, percentuale che scende sotto il 30% al Nord, dove le raccolte sono più sviluppate e i comuni le gestiscono prevalentemente sul mercato e, viceversa, sale a oltre il 74% al Sud dove ci sono aree in cui la raccolta è ancora molto arretrata e il Consorzio svolge un vero e proprio ruolo di traino per il loro sviluppo. Le quantità gestite da Comieco nel 2019 fanno registrare una crescita di 580.000 tonnellate dovute al fatto che molti comuni che gestivano le proprie raccolte sul mercato, a fronte della caduta dei prezzi dei maceri, si sono rivolti al Consorzio. Le stime per il 2020 parlano di rientri per ulteriori 480.000 tonnellate. In termini economici questi quantitativi si traducono in un esborso verso il territorio di 50 milioni di euro. Numeri che attestano il ruolo sussidiario al mercato di Comieco e la sua garanzia del ritiro a livello nazionale. Le convenzioni prevedono un contributo in favore dei comuni, calcolato sulla base della quantità e della qualità della raccolta, che ha lo scopo di aiutare i comuni a sostenere i maggiori oneri generati dal servizio di raccolta differenziata. Comieco svolge controlli e verifiche a campione presso le imprese di recupero ed è quindi garante anche della qualità del macero che viene avviato alle cartiere.

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La raccolta evolve con gli stili di vita

In molti comuni la raccolta differenziata è ancora in fase di sviluppo, ma anche in territori dove è una realtà consolidata stanno emergendo i nuovi stili di vita che modificano la composizione del rifiuto urbano. Un esempio su tutti è l’aumento degli acquisti di prodotti online in una città come Milano, dove ogni giorno sono oltre 23.000 i pacchi consegnati. Per questo motivo, Comieco ha lanciato nel capoluogo lombardo un test per la raccolta ad hoc di imballaggi da e-commerce. E nel 2018 è nata anche Comieco Factory, che affianca e premia imprese e progettisti nell’attività di ricerca e sviluppo, affinché gli imballaggi cellulosici diventino sempre più funzionali, con il minor spreco di risorse.
L’e-commerce nel nostro paese sta facendo registrare un’ascesa quasi inarrestabile. Nel 2018 ha raggiunto un valore di 27,4 miliardi di euro. Un incremento del 16% rispetto al 2017, pari a 3,8 miliardi di euro in più in 12 mesi. Questo secondo i dati presentati dall’Osservatorio eCommerce B2c promosso dalla School of Management del Politecnico di Milano e da Netcomm, il consorzio del commercio digitale italiano. Gli acquisti online di prodotto valgono 15 miliardi di euro (+25%), mentre i servizi 12 miliardi (+6%). Il turismo (9,8 miliardi di euro, +6%) si conferma il primo comparto dell’e-commerce. Tra i prodotti, si consolidano informatica ed elettronica di consumo (4,6 miliardi di euro +18%) e abbigliamento (2,9 miliardi, +20%) e crescono a ritmi molto interessanti arredamento (1,4 miliardi, +53%) e food & grocery (1,1 miliardi, +34%).
C’è bisogno sempre di più, quindi, di un packaging innovativo e sostenibile. Secondo una ricerca sullo stato dell’innovazione della filiera cartaria italiana realizzata per Comieco da Marco Frey, docente alla Scuola Universitaria Superiore Sant’Anna di Pisa, l’industria cartaria italiana è tra le prime in Europa per capacità di innovare processi e prodotti. E ogni anno investe 420 milioni di euro in innovazione: riciclabilità e biodegradabilità sono i punti di forza degli imballaggi cellulosici. Il dato complessivo in Europa arriva a 3,5 miliardi di euro. Si tratta di un settore capace di stare al passo con i tempi nell’epoca della rivoluzione digitale, in grado di distinguersi per dinamismo sia nella fase progettuale del packaging, sia nell’ambito del riciclo. “La vivacità del settore cartario – secondo Amelio Cecchini, Presidente di Comieco – è confermata anche dagli oltre 300 brevetti depositati in Italia per quanto riguarda lo sviluppo e la progettazione di imballaggi cellulosici negli ultimi anni. Nel 2017, lo European Patent Office ha ricevuto oltre 4.300 domande di brevetto da parte di imprese italiane (+4,3% sul 2016), di cui il 23% ha riguardato il settore delle macchine e delle tecnologie dedicate a carte e cartoni. L’innovazione in quest’area ha portato a realizzare imballaggi sempre più riciclabili e compostabili rendendo l’economia circolare una realtà e non solo uno slogan.”

Il mercato della carta da macero

I dati sullo stato di salute di questo settore sono contenuti anche nel rapporto presentato a luglio 2019 da Unirima. Siamo di fronte a un settore industriale in crescita con circa 6,6 milioni di tonnellate di carta riciclata nel 2018 (raccolta dei rifiuti urbani e assimilati più attività commerciali e industriali). Ma se da un lato c’è un incremento delle raccolte differenziate e del riciclo, il mercato frena e i prezzi della carta da macero crollano. In Italia la produzione cartaria nel 2018 si è attestata intorno ai 9 milioni di tonnellate. Il 57% di tale produzione ha come materia prima il macero (carta riciclata) proveniente da raccolta differenziata. Se al quantitativo proveniente dalla raccolta differenziata si sommano le importazioni, sul mercato italiano nel 2018 sono finite 10,7 milioni di tonnellate di carta. Delle 6,65 milioni di tonnellate di carta da macero prodotte, circa 4,74 milioni sono state destinate alle cartiere italiane e 1,9 milioni all’export, pari a circa il 29% del totale. L’Italia è da circa dieci anni, sottolinea il Rapporto Unirima, un esportatore netto di quei quantitativi di carta da macero, che nel sistema economico nazionale rappresentano un “surplus”. Le esportazioni, destinate in gran parte a cartiere asiatiche (di cui circa un milione alla Cina almeno fino al 2018), sono quindi un elemento fondamentale del comparto delle imprese del macero e dell’intera filiera.

Il mutamento dello scenario internazionale, con la chiusura del mercato cinese e la saturazione di nuovi mercati, ha portato però a un crollo del valore della carta da macero, che ha toccato il minimo storico dai tempi della crisi economica, nel 2008: il prezzo medio del cartone è passato infatti dai 52,50 euro per tonnellata di gennaio 2019 a 5,50 euro per tonnellata di gennaio 2020, con un calo di circa il 90%. Un trend che non colpisce solo l’Italia: prima la chiusura del mercato cinese e poi la guerra commerciale tra Stati Uniti e Pechino hanno portato un surplus di carta da macero su tutti i mercati internazionali determinando il conseguente affossamento delle quotazioni della materia prima.
In questo quadro, Unirima denuncia anche una forte carenza di impianti dedicati allo smaltimento delle frazioni estranee non riciclabili in Italia. Un deficit destinato a crescere nel tempo, che potrebbe far lievitare i costi di smaltimento della filiera produttiva e impedire sostanzialmente la chiusura in ottica circolare del flusso produttivo.
Negli anni – sottolinea l’Unione nazionale delle imprese per il recupero e il riciclo dei maceri – anziché favorire lo sviluppo di nuove imprese per la gestione dei rifiuti, soprattutto nei punti critici della chiusura del ciclo con impianti di trattamento finale, si è ostacolata sempre, a livello sia politico sia amministrativo locale, la realizzazione di nuovi impianti o lo sviluppo di quelli esistenti. Questo ci ha reso oltremodo dipendenti dalla disponibilità di impianti esteri ad accogliere i rifiuti prodotti dal nostro sistema industriale”.
Un ruolo positivo in questa crisi lo gioca comunque Comieco, che ha garantito, grazie al suo sistema sussidiario al mercato, il ritiro e il riciclo di oltre 600.000 tonnellate di carta e cartone, che venivano gestite sul mercato ma che a causa proprio del calo dei prezzi non riuscivano più a trovare collocazione.

Dal packaging ai nuovi materiali

Nel campo più ampio della bioeconomia, la carta sta guadagnando un ruolo da protagonista per il packaging dei prodotti alimentari. Uno dei casi più significativi è quello del colosso svedese Tetra Pak, che ha lanciato negli ultimi anni sul mercato un cartone del latte 100% bio-based. Si tratta di Tetra Rex 100% da fonte rinnovabile: un imballaggio prodotto esclusivamente con carta e con polimeri derivati da fonte vegetale, premiato per questa sua composizione innovativa dall’Istituto italiano imballaggio. Allo stesso modo della carta certificata FSC, i polimeri possono essere tracciati all’origine e questo ha consentito al contenitore di ricevere il più alto livello di certificazione bio-based da parte di Vinçotte, ente di certificazione riconosciuto a livello internazionale. I polimeri di origine vegetale utilizzati da Tetra Pak sono prodotti dall’impresa biochimica brasiliana Braskem, che ricava la materia prima da canna da zucchero coltivata su terreni degradati.
Non deve stupire questo protagonismo del Nord Europa, se si pensa che nei paesi scandinavi e in Finlandia l’industria forestale rappresenta uno dei pilastri delle economie nazionali. Proprio per rispondere al calo della domanda di carta a livello globale e per sfruttare al meglio l’abbondante materia prima disponibile solo a livello di scarti, l’industria della carta si sta ritagliando un ruolo da protagonista nella bioeconomia circolare mondiale. Grandi gruppi come UPM, Metsä e Stora Enso hanno avviato quella che si potrebbe definire una vera e propria riconversione in industria dei biomateriali.
Con i materiali a base biologica, è possibile creare imballaggi più leggeri e più resistenti, o semplicemente materiali più sostenibili, sostituendo le materie prime a base fossile con una materia prima naturale, rinnovabile e biodegradabile: la cellulosa microfibrillata (MFC), ricavata dal legno coltivato in foreste gestite in modo sostenibile. Questi materiali non sono in conflitto con il cibo e con il suolo e possono contribuire a un futuro più sostenibile sostituendo i materiali a base fossile in applicazioni come imballaggi, pellicole barriera, carte speciali o persino rivestimenti e adesivi.

La carta nel contesto della crisi climatica

Gli obiettivi sfidanti nella lotta ai cambiamenti climatici hanno coinvolto l’industria cartaria europea con la Roadmap 2050. Si tratta di un piano, presentato in Italia nel giugno 2017 in anteprima da Assocarta, che prevede una strategia di riduzione dell’80% di emissioni di CO2 entro il 2050, in linea con gli obiettivi europei. In esso viene definita una tabella di marcia che traccia e analizza i percorsi di investimento che l’industria dovrebbe seguire per raggiungere l’obiettivo di decarbonizzazione e che richiederà nei prossimi 35 anni un incremento degli investimenti del 40%, pari a 44 miliardi di euro. “L’ambizioso obiettivo lanciato nella Roadmap – sottolinea Assocarta – potrà avverarsi solo se ci saranno le giuste condizioni normative e di contesto, considerati gli attuali costi normativi ormai pari a 1/3 della reddittività delle imprese.”
Per raggiungere gli obiettivi, le nuove tecnologie saranno fondamentali, insieme alla capacità di accesso all’energia a costi più competitivi rispetto a quelli attuali, con un fabbisogno energetico che potrà essere integrato utilizzando altre fonti rinnovabili intrinseche nel processo di produzione della carta.
Tutti questi processi in atto fanno della filiera della carta italiana un tassello di primo piano della bioeconomia circolare nel nostro paese e delle politiche di mitigazione degli effetti della crisi climatica.