Nuova economia, nuovi posti di lavoro. Questa è l'equazione che va per la maggiore da quando nel 1908 Henry Ford produsse a Detroit la prima autovettura di massa realizzata in catena di montaggio, della quale si vendettero in meno di venti anni 15 milioni di esemplari. L'occupazione del settore metalmeccanico schizzò in alto. Nei primi tre anni, 1914-1917, di applicazione in casa Fiat a Torino del "fordismo" la produzione di autoveicoli passa da 4.644 a 19.187, mentre l'occupazione da circa 4.000 a 15.000 addetti. È un paradigma che ci ha accompagnato per tutto il ventesimo secolo e che molti applicano anche all'economia green, fatta da circolarità e rinnovabili. Un'equazione troppo semplice che in tempi di aumento della complessità non regge. L'approccio che troviamo in generale sui green jobs soffre di due aspetti: il primo è quello di considerarli come un fattore a sé stante, isolato dal contesto complessivo; mentre il secondo è quello di leggere l'innovazione tecnologica solo ed esclusivamente come processo positivo.

Rinnovabili ad alta occupazione

Vediamo il settore delle rinnovabili che all'interno della galassia dei green jobs è il più semplice da analizzare con un occhio rivolto al futuro. Si tratta di un settore in sicura crescita le cui dinamiche saranno facilmente immaginabili visto che abbiamo serie storiche delle dinamiche industriali di oltre trent'anni ed è semplice fissare degli obiettivi futuri che sono quelli climatici. Assumendo il 100% di rinnovabili al 2050, la ricerca internazionale di Mark Z. Jacobson dell'università di Stanford, "100% Clean and Renewable Wind, Water, and Sunlight All-Sector Energy Roadmaps for 139 Countries of the World", ha calcolato che si creerebbero a livello mondiale 52 milioni di posti di lavoro stabili con un incremento netto di 24,3 milioni visto che 27,2 milioni di addetti si perdono dalle chiusure del settore fossile. E la ricerca di Stanford è molto conservativa visto che ha preso in considerazione solo le rinnovabili mature quali eolico, fotovoltaico e idroelettrico, sia perché non è detto che altre quali le maree, il moto ondoso e l'idrogeno abbiano successo, sia per le questioni climatiche. “Queste sono tecnologie che potrebbero essere competitive verso il 2040, ma noi abbiamo bisogno di produrre energia da fonti pulite oggi”, afferma nell'introduzione Mark Z. Jacobson.
“Le rinnovabili possiedono in media un'intensità di lavoro maggiore delle fossili - afferma
Alex Sorokin, ex progettista di centrali nucleari, passato in tempi non sospetti alle rinnovabili - Questo nella fase di realizzazione mentre in quella d'esercizio siamo allo stesso livello, ma la loro presenza diffusa aumenterà la necessità di manutentori”. Maggiore lavoro uguale a maggiore costo dell'energia? No, perché con le rinnovabili non si paga il costo del combustibile.

Economia circolare, automazione e lavoro

Le cose, però, non sono così nette quando si parla di altri processi industriali. Nella manifattura l'espulsione di manodopera avviene in maniera sistematica da quarant’anni con aumenti di produttività esponenziali. E infatti l'emissione di CO2 in atmosfera è passata dai 19,37 miliardi del 1980 ai 36,42 del 2019. Nel frattempo la popolazione è salita dai 4,46 miliardi del 1980 ai 7,71 del 2019, mentre la produttività per ora di lavoro negli Stati Uniti (ma il trend è simile a livello mondiale) è aumentata dai 36,61 dollari del 1980 ai 65,52 del 2017, anche e soprattutto per l'innovazione tecnologica. Allo stesso tempo i lavoratori sono aumentati da 2,1 miliardi del 1980 ai 3,3 del 2019, contro un aumento del Pil mondiale da 11.200 miliardi del 1980 agli 87.700 del 2019. Si tratta di indicatori che danno la misura dell'insostenibilità generale del sistema economico, per non parlare della forchetta nella distribuzione del reddito che secondo Thomas Piketty negli ultimi venti anni è tornata ai livelli del 1914. Oltre a tutto ciò bisogna tenere conto che i nuovi processi dell'economia circolare, proprio perché sono innovativi, abbatteranno l'occupazione attraverso la robotica che sta vivendo una nuova stagione grazie al machine learning. Un esempio di ciò è il nuovo stabilimento dell'industria siderurgica austriaca Voestalpine nei pressi di Vienna che oggi è elettrico e in buona parte alimentato da energia rinnovabile, al contrario di quello precedente che era alimentato a petcoke. Gestiscono la linea di produzione, lunga settecento metri, in 14 dipendenti, per realizzare mezzo milione di tonnellate di acciai speciali l'anno. Lo stabilimento precedente del 1971 impiegava 1.000 addetti. “Scordiamoci che l'acciaio dia lavoro. - ha detto a Bloomberg, Wolfgang Eder, amministratore delegato di Voestalpine - Nel lungo periodo perderemo la maggior parte dei classici operai, persone che lavorano al caldo e nello sporco delle cokerie e degli altiforni. Tutto sarà automatizzato”.

Percentuale bassa

In questa chiave si capisce bene il report di Mckinsey&Co del gennaio 2017 che fa delle previsioni al 2040 di come l’automazione influirà sul mercato mondiale del lavoro. La perdita dei posti di lavoro avanzati, quelli che l'Organizzazione Mondiale del Lavoro (ILO) chiama decent works, sarà, secondo Mckinsey&Co di circa 800 milioni. È chiaro che in questo oceano di disoccupazione i 24,3 milioni di nuovi addetti nelle rinnovabili al 2050 di Stanford, i 3,9 milioni previsti dall'Unione Europea al 2030 nell'economia circolare del Vecchio Continente, i 18 milioni dell'ILO e i 65 milioni stimati dal Global Climate Action Summit per le economie low carbon – il totale al lordo delle possibili sovrapposizioni è 110,3 milioni - rappresentano, se si innescheranno sul serio robusti e duraturi processi di decarbonizzazione ed economia circolare, solo il 12,5% delle perdite complessive dei posti di lavoro.

Immagine: Nordex wind manufacturing, USA (ph Unsplash)