Abbondanza di materie prime, risorse umane altamente qualificate, un’industria petrolchimica con un peso rilevante e un governo che sostiene con convinzione il processo di decarbonizzazione, con un piano per portare il contributo della bioeconomia al prodotto interno lordo nazionale dal 2% stimato del 2022 al 37% entro il 2037. Sono questi, in sintesi, i punti di forza della Thailandia, il paese asiatico che vanta tra l’8 e il 10% delle specie di microrganismi mondiali e circa l’8% delle piante. In Thailandia si produce il 50% della manioca, il 9,4% dello zucchero e il 24,9% del riso che sono commercializzati su scala mondiale. 

Questa ricchezza di materie prime, unita a un forte sostegno da parte delle autorità governative (National Biotechnology Framework nel 2004, National Bioplastic Roadmap nel 2008, Alternative Energy Development Plan nel 2012, Thailand 4.0 e la Nuova S-Curve nel 2015), sta consentendo un buono sviluppo delle produzioni biobased con l’attrazione di significativi investimenti da parte di grandi multinazionali estere, come nel caso della Total Corbion PLA, la joint-venture tra il gigante petrolifero francese e la società biochimica olandese focalizzata sulla produzione di bioplastiche PLA (acido polilattico). Anche le risorse umane sono sempre più formate a questo scopo: nel 2017, secondo l’Ufficio dell’educazione superiore thailandese, ci sono stati oltre 34.000 laureati in materie scientifiche e oltre 40.000 in ingegneria. Le università, inoltre, offrono numerosi programmi di studio focalizzati sulla bioeconomia, come nel caso della Mahidol University, che ha lanciato un corso di laurea in “Bioinnovation”.

La bioeconomia è protagonista dei programmi di sviluppo a breve, medio e lungo termine delle industrie considerate chiave nel piano di sviluppo economico Thailand 4.0. Quando si parla di agricoltura, biotecnologie e alimentazione per il futuro, la bioeconomia è presente, così come nel lungo periodo quando si parla di biocombustibili e prodotti chimici di origine biologica. In poche parole l’economia basata sulle risorse biologiche rinnovabili è vista come una leva strategica per lo sviluppo industriale del paese asiatico nel terzo millennio.

 

La bioplastica in pole position

 

Uno dei fiori all’occhiello della bioeconomia thailandese è la produzione di bioplastica. La canna da zucchero, convertita in PLA per poi produrre bioplastiche, può incrementare di oltre sette volte il proprio valore, secondo le stime del governo di Bangkok. L’abbondanza di materie prime e la presenza di una forte industria petrolchimica, con circa tremila imprese attive nel settore della plastica, ha favorito la produzione di bioplastiche, il 90% della quale è destinata all’esportazione. 

Nel 2006 il governo nazionale ha dichiarato l’industria delle bioplastiche come una delle “industrie della nuova ondata” ritenute di primaria importanza per la crescita del paese. Considerata come un’industria emergente, il suo potenziale è enorme, grazie alla presenza di materie prime (manioca su tutto) a basso costo e facilmente disponibili e a un tessuto di imprese produttrici di plastica con canali consolidati per fare arrivare il prodotto finito in tutto il mondo. La Thailandia è il primo esportatore di plastica nel Sudest asiatico e l’ottavo a livello mondiale.

La roadmap per le bioplastiche ha favorito l’integrazione e una più stretta collaborazione tra il governo, il settore privato e la comunità dei ricercatori, e ha posto in essere una serie di programmi di supporto, incentivi e infrastrutture per incoraggiare l’innovazione e la commercializzazione, con l’obiettivo ultimo di creare in Thailandia un’industria delle bioplastiche sostenibile in grado di competere su scala internazionale. In questo quadro sono stati finanziati 89 progetti di ricerca e innovazione, è stata istituita un’associazione industriale di settore, sono stati inseriti degli standard per le bioplastiche biodegradabili e compostabili, rafforzata la cooperazione con altre associazioni industriali in Europa, Giappone, Corea del Sud e Taiwan, organizzata una conferenza internazionale (InnoBioplast).

 

I player di mercato

 

Alcuni dei maggiori player su questo mercato o sono thailandesi o hanno comunque qui una loro sede. Multibax è una delle società nazionali più famose nel settore. Il suo prodotto bandiera è Mbio-2, un sacchetto in bioplastica biodegradabile che è stato certificato dai maggiori enti di certificazione mondiali. PTT MCC Biotech è una joint venture tra il colosso chimico thailandese PTT Global Chemical e la giapponese Mitsubishi Chemical, che sviluppa un polibutilene succinato biobased (bio-PBS), la cui applicazione principale è nella bioplastica compostabile ricavata da mais, manioca e canna da zucchero.

Anche NatureWorks è una joint venture che vede come protagonista PTT Global Chemical, dove nel ruolo di secondo partner si trova l’americana Cargill. Leader nel mercato delle bioplastiche, la società, che ha il proprio quartier generale nel Minnesota, ha una propria sede nelle vicinanze di Bangkok.

Infine, Total Corbion PLA ha una presenza ormai consolidata nel territorio thailandese. Il primo nucleo si deve a Corbion, che è attiva nel paese asiatico dal 2005 per la produzione di acido lattico, impiegato per la produzione di bioplastiche (PLA) a partire dallo zucchero. Lo scorso dicembre la multinazionale franco-olandese ha annunciato l’avvio del suo impianto di bioplastica PLA (Luminy) da 75.000 tonnellate all’anno a Rayong, nell’Est del paese. La nuova struttura produrrà una vasta gamma di resine PLA Luminy da canna da zucchero non Ogm rinnovabile di provenienza locale: dal PLA standard al PLA innovativo, resistente alle alte temperature.

 

I biocombustibili

 

La Thailandia è anche uno dei principali paesi del Sudest asiatico per il mercato del bioetanolo. Nel 2018 la produzione ha raggiunto 1,5 miliardi di litri, triplicando il valore registrato solo dieci anni prima. E l’obiettivo indicato nel Piano di sviluppo di energia alternativa prevede il raggiungimento di 3 miliardi di litri entro il 2026. Secondo lo stesso piano, entro il 2036 la percentuale di energie rinnovabili sul totale dovrebbe raggiungere il 30%, con una crescita sostanziale per i biocombustibili dal 7 al 25%. Il governo di Bangkok punta in modo deciso sulla crescita del mercato, con un obiettivo di crescita del consumo di bioetanolo da 1,18 miliardi a 4,1 miliardi entro il 2036, e del consumo di biodiesel da 1,24 miliardi a 5,1 miliardi entro la stessa data. Tutto ciò si traduce in una serie di incentivi fiscali e sussidi che supportano l’incremento delle flotte di veicoli che possono essere alimentati sia con miscele E20 sia con quelle E85. Anche in questo caso la canna da zucchero e la manioca sono le principali materie prime, con la canna da zucchero che domina il mercato (70% della produzione di bioetanolo) visti i bassi costi di produzione. 

Tra i principali attori del mercato c’è la Global Green Chemicals, prima conosciuta come Thai Oleochemicals Company, che è leader nella produzione di metil estere, usato come ingrediente nel biodiesel. Al suo fianco si trova la Bangchak Corporation Pulic Company, che si è posizionata nel settore delle bioenergie con tre differenti imprese: la Bangchak Biofuel, la Bangchak Bioethanol e la Ubon Bio Ethanol. La Thailandia è il terzo produttore di olio di palma al mondo, e quindi molto del biodiesel thailandese deriva da questa materia prima. 

 

L’attrazione degli investimenti

 

È un mercato interessante per la bioeconomia quello thailandese. Anche perché non manca il supporto finanziario da parte del governo. Nel 2017 allo scopo di attrarre investimenti stranieri è stato lanciato lo Schema Bioeconomia: 400 miliardi di baht thailandesi (circa 11,7 miliardi di euro) da destinare alla bioeconomia in tre fasi. La prima dal 2017 al 2018 con 51 miliardi, la seconda nel biennio 2019-2020 da 182 miliardi e la terza dal 2021 al 2026 da 132 miliardi. E all’inizio di quest’anno è stato presentato un piano di sviluppo della bioeconomia, guidato dal Consiglio per gli investimenti (Board of Investments), un’agenzia governativa sotto il diretto controllo dell’ufficio del primo ministro.

“Verde è la strada da seguire per gli investitori in Thailandia”, ha dichiarato il 4 marzo scorso il vice-primo ministro Somkid Jatusripitak annunciando il piano per la bioeconomia thailandese, con un nuovo generoso schema di incentivi per gli investitori interessati a costruire la nuova economia del Regno, finanziando ricerca, sviluppo e innovazione. Secondo il primo ministro, una bioeconomia in crescita e lucrativa serve a raggiungere il duplice obiettivo di ridurre la disparità reddituale tra gli agricoltori e di creare prodotti con un maggior valore, attraverso la collaborazione fra scienza, agricoltura e industria. 

“Il pacchetto per promuovere la Thailandia come hub della bioeconomia non dà soltanto alle grandi imprese una opportunità ma supporta anche le cooperative agricole e le comunità d’affari”, ha detto Somkid.

Il piano messo in campo dal Consiglio per gli investimenti thailandese assicura agli investitori una esenzione fiscale totale per i primi otto anni e privilegi fiscali aggiuntivi dopo questo periodo (a seconda degli investimenti realizzati), insieme a misure assistenziali per gli agricoltori. Secondo il consiglio, questo schema di incentivi potrà favorire la nascita di diversi cluster in tutto il territorio, focalizzati sugli scarti della frutta nelle province del nord, sulla canna da zucchero e sulla tapioca nel nord-est e sulla palma nelle province del sud.

Il piano di sviluppo per la bioeconomia si basa su cinque pilastri: bioenergia, biochimica, alimentazione, mangimistica e biofarmaceutica. Quest’ultima nella concezione del paese asiatico fa parte a pieno titolo della bioeconomia, secondo il modello anglosassone (Stati Uniti e Regno Unito fanno espressamente riferimento alla biofarmaceutica nelle loro strategie nazionali).

“La Thailandia è stata a lungo un semplice esportatore di materie prime per altri paesi che le trasformavano e creavano valore aggiunto. La sfida per il paese è passare da un’economia a basso valore a una ad alto valore”, ha rivendicato Somkid presentando il piano.

 

Il ruolo del centro di ricerca BIOTEC

 

Alla base dello sviluppo della bioeconomia thailandese c’è l’istituzione nel lontano 1983 del National Center for Genetic Engineering and Biotechnology (BIOTEC), diventato a partire dal 1991 uno dei centri di ricerca di eccellenza della National Science and Technology Development Agency (NSTDA) con un focus specifico sul trasferimento tecnologico. 

Si tratta del principale centro di ricerca asiatico. BIOTEC gestisce unità di ricerca situate presso il parco scientifico della Thailandia e laboratori specializzati ospitati da università differenti, dando lavoro a oltre 500 persone, tra cui 170 dottori di ricerca e 200 assistenti di ricerca e tecnici di laboratorio. L’attività di ricerca copre un’area molto ampia: dalle scienze agrarie alle scienze biomediche e ambientali. Oltre ai laboratori di ricerca, le attività di BIOTEC comprendono anche un programma di sensibilizzazione, la formazione e le relazioni internazionali. Il Centro è finanziato da fondi provenienti dal governo e da fondazioni privati, ma anche da proventi derivanti dalla fornitura di servizi.

Di primo livello è l’attività di trasferimento tecnologico a vantaggio di imprese private e pubbliche, specialmente nelle comunità rurali, a cui si affianca una continua opera di formazione del personale nel campo delle biotecnologie. 

Le biotecnologie industriali sono il vero motore della bioeconomia made in Thailand.

 

National Center for Genetic Engineering and Biotechnology, www.biotec.or.th/en/index.php

 


 

Intervista a Mariagiovanna Vetere, direttore Global Public Affairs di NatureWorks

di M. B.

 

La bioeconomia in Thailandia è in forte espansione

 

Joint venture al 50% tra l’americana Cargill e la thailandese PTT Global Chemical, NatureWorks è uno dei leader mondiali nel mercato delle bioplastiche. In questa intervista con Materia Rinnovabile, Mariagiovanna Vetere, direttore Global Public Affairs, ci spiega cosa significa investire in bioeconomia in Thailandia, quali i punti di forza e di debolezza del paese del Sudest asiatico.

 

NatureWorks è un’impresa per metà thailandese. Quali sono i punti di forza della bioeconomia in Thailandia?

“La bioeconomia in Thailandia si sviluppa a partire dall’abbondanza di materie prime e biodiversità che il suo territorio esprime; oggi in Thailandia ci sono approssimativamente l’8% dei microorganismi e il 10% delle specie di piante del mondo. La Thailandia produce oggi a livello mondiale circa il 50% della cassava, il 9,4% di zucchero e il 25% circa di riso (Fonti: World’s Top Exports, KrungsriResearch 2017). Questa abbondanza costituisce il suo punto di forza unitamente a una politica chiara di sviluppo che punta sulla bioeconomia sia in termini di finanziari che di sviluppo culturale, dal momento che il governo supporta molti programmi di educazione superiore per la formazione di esperti in chimica, bioingegneria e biotecnologia.” 

 

E i punti di debolezza?

“La bioeconomia è in forte espansione, sia nei materiali (biopolimeri, chimica verde) sia nei biocarburanti; a mio parere la sfida che il paese dovrà affrontare è quella della sostenibilità delle biomasse utilizzate. NatureWorks si è impegnata a certificare tutta la biomassa utilizzata oggi e in futuro nei propri impianti proprio per garantire che lo sviluppo della bioeconomia proceda di pari passo con l’agricoltura sostenibile, la protezione del suolo, delle acque e della biodiversità.”

 

La Thailandia sta supportando molto il settore delle bioplastiche. Cosa significa questo per voi in concreto? E quali sono le principali differenze con Stati Uniti ed Europa?

“Il governo thailandese sta investendo più dell’Europa e più degli Usa e propone un piano di supporto agli investitori esteri nel paese molto aggressivo. Basti pensare all’esenzione dalle corporate tax fino a 15 anni e alla totale deducibilità delle spese di Ricerca e Sviluppo. Per NatureWorks questo si traduce in un pacchetto di misure molto appetibili in vista della costruzione di un futuro secondo o terzo impianto di produzione del nostro polimero Ingeo.”

 

C’è consapevolezza da parte della popolazione thailandese delle tematiche “verdi”?

“La popolazione sta diventando molto sensibile ai problemi legati al cambiamento climatico, anche a seguito delle inondazioni che periodicamente affliggono il paese. Molto sentito anche il tema dell’inquinamento atmosferico e dell’innalzamento dei livelli di PM2,5 dovuto agli incendi delle foreste praticati dai paesi vicini e all’aumento del traffico veicolare.” 

 

Quanto è importante l’olio di palma per la bioeconomia thailandese?

“Non sono una esperta in materia, ma so che l’olio di palma viene utilizzato nella chimica verde per produrre numerosi prodotti. La Thailandia è un importante produttore di olio di palma, ma non il principale. Anche qui la sostenibilità gioca un ruolo importante per preservare la grande biodiversità delle foreste thailandesi.”

 

Quali sono i piani di sviluppo di NatureWorks nel Sudest asiatico?

“A oggi non ci sono piani di dettaglio; stiamo esplorando la possibilità di localizzare uno dei nostri impianti futuri proprio in Thailandia, ma non ci sono ancora certezze in merito.”  

 

NatureWorks, www.natureworksllc.com