La Convenzione di Basilea sul controllo dei movimenti oltre frontiera di rifiuti pericolosi e sulla loro eliminazione è l’accordo globale più completo sui rifiuti e ha lo scopo di proteggere la salute umana e l’ambiente dai possibili danni arrecati dai rifiuti pericolosi. Sottoscritta da 187 Stati ed entrata in vigore nel 1992, la Convenzione è legalmente vincolante e prescrive agli Stati membri di minimizzare la generazione di rifiuti, di trattarli il più possibile vicino a dove sono stati prodotti e di ridurre i movimenti internazionali dei rifiuti pericolosi. La convenzione identifica tre categorie, che possono essere semplificate come verde, gialla e rossa. Tutti i rifiuti nella lista verde possono essere commerciati liberamente; quelli nella lista rossa sono considerati pericolosi; mentre la lista gialla include altri tipi di rifiuti che possono presentare dei rischi. Prima di poter esportare i rifiuti delle categorie gialla e rossa è necessario ottenere l’autorizzazione da parte delle autorità dello Stato di importazione tramite il consenso preventivo scritto. Fino all’anno scorso tutti i rifiuti di plastica ricadevano dentro la categoria verde, ma durante la COP14 tenutasi nel maggio 2019, gli Stati membri hanno adottato degli emendamenti che spostano la maggior parte dei rifiuti di plastica pericolosi o potenzialmente pericolosi nelle categorie gialla e rossa. Gli emendamenti entreranno in vigore il 1 gennaio 2021 e renderanno il commercio globale dei rifiuti di plastica più trasparente, tramite un sistema di regole più stringenti. In particolare, dall’anno prossimo potranno essere scambiati liberamente e senza consenso preventivo scritto solo lotti di singoli polimeri non alogenati (o una miscela molto stretta di polietilene, polipropilene e PET), che sono stati raccolti separatamente, puliti, non sono contaminati, e che sono effettivamente destinati al riciclaggio in stabilimenti adeguati nel Paese importatore.

I paesi più ricchi non potranno più esportare rifiuti di plastica nei paesi in via di sviluppo

Gli emendamenti avranno un impatto enorme sul commercio internazionale dei rifiuti. Uno studio pubblicato sulla rivista Science mostra che dal 1988 al 2018 i Paesi ad alto reddito hanno contribuito per l’87% alle esportazioni globali di rifiuti di plastica (corrispondente a 71 miliardi di dollari) mentre i paesi dell’Asia Orientale e del Pacifico sono stati gli importatori primari (75% delle importazioni globali). Dal 1992 al 2018 la Cina da sola ha importato il 45% dei rifiuti globali di plastica ed è in Cina che nel 2017 i paesi dell’OCSE hanno esportato il 70% di tutti i loro rifiuti di plastica. “Per i paesi esportatori, spedire i rifiuti di plastica in Cina e nei paesi limitrofi ha rappresentato uno sbocco per la gestione dei rifiuti di plastica, impedendo loro di finire in discarica o di essere inceneriti nei paesi di origine” scrivono i ricercatori. Già da prima del 2010 la Cina aveva cominciato a denunciare la scarsa qualità e la contaminazione dei rifiuti importati. Nel 2013 con l’operazione Green Fence, aveva messo in atto un blocco temporaneo nella loro importazione; e il 1 gennaio 2018 ha imposto il blocco totale all’importazione dei rifiuti di plastica non industriali. Questo ha lasciando i paesi più sviluppati sotto una montagna di spazzatura e reso evidente l’insufficienza dei loro sistemi di recupero e trattamento dei rifiuti di plastica. I paesi esportatori hanno allora dirottato i rifiuti di plastica verso altri paesi dell’Asia Orientale e del Pacifico come Thailandia, Malesia, Indonesia, ma la qualità del materiale esportato è rimasta scadente e la possibilità di essere riciclato limitata. Con gli emendamenti alla Convenzione di Basilea, i paesi in via di sviluppo hanno adesso uno strumento legale per vietarne l’importazione.

L’inganno del riciclaggio della plastica

Riciclare i rifiuti di plastica può essere difficile a causa dei numerosi tipi diversi di formulazioni chimiche e di additivi, e anche perché alcuni polimeri possono essere riciclati solo un numero limitato di volte, dopodiché perdono le loro caratteristiche. Per anni il riciclo è stato indicato come la soluzione al problema dei rifiuti urbani e dell’inquinamento da plastica, ma i dati indicano che non è così. Uno studio pubblicato sulla rivista Science Advances mostra, infatti, che dal 1950 al 2015 sono stati prodotti 6,3 miliardi di tonnellate di rifiuti plastici, di cui solo il 9% è stato riciclato, il 12% è stato incenerito, e il restante 79% è finito in discarica oppure è stato disperso nell’ambiente, inclusi i mari e gli oceani. Il materiale esportato dai Paesi ad alto reddito verso i paesi in via di sviluppo conta per il raggiungimento degli obiettivi di riciclaggio degli Stati esportatori, anche se non sono mai state verificate le modalità di smaltimento nei paesi importatori, dotati spesso di infrastrutture per il trattamento e il riciclaggio meno sviluppate di quelle dei paesi esportatori. Come denunciato nel rapporto Discarded edito dalla Global Alliance for Incinerator Alternatives, la maggior parte dell’immondizia importata finisce in discarica, è incenerita, o si accumula nei porti senza nessun posto dove andare. Il pesante inquinamento ambientale ricade sulle comunità più povere.

La Plastic Waste Partnership potrà dare un impulso all’economia circolare

Durante la COP14 nel 2019 è stata creata anche la Plastic Waste Partnership con lo scopo di migliorare e promuovere la gestione ecologicamente razionale dei rifiuti di plastica a livello globale, regionale e nazionale, e prevenire e minimizzare la loro creazione, eliminando nel lungo il rigetto di rifiuti di plastica e microplastica nell’ambiente, in particolare nell’ambiente marino. “La partnership faciliterà lo sviluppo di strumenti regolatori, riunirà differenti tipi di stakeholder, e aiuterà le parti a implementare il consenso preventivo scritto” spiega a Materia Rinnovabile Susan Wingfield, responsabile della Plastic Waste Partnership all’interno del Segretariato della Convenzione di Basilea. Gli emendamenti hanno delle implicazioni che vanno oltre il commercio dei rifiuti. Infatti, tutti i rifiuti di plastica che non potranno più essere esportati, dovranno essere smaltiti nei paesi che li hanno prodotti, il che potrà portare a dei cambiamenti nella produzione stessa degli oggetti in plastica. “La Partnership – spiega Wingfield- potrà occuparsi anche di economia circolare: ad esempio fornendo indicazioni per migliorare la riciclabilità, la durabilità, la fase del design e quella di manifattura dei prodotti”. La Plastic Waste Partnership è composta da circa 120 membri, tra cui alcuni Stati membri della Convenzione di Basilea, organizzazioni governative internazionali, NGO, e rappresentanti dell’industria. “La Partnership ha un enorme sostegno da parte dei governi, e questa è un’ottima ragione per la quale il settore privato dovrebbe aderire, così come anche le amministrazioni locali e le compagnie che si occupano della gestione e smaltimento dei rifiuti” dice Wingfield. L’Unione Europea è uno dei membri della Plastic Waste Partnership, dove sostiene che la prevenzione e la gestione dei rifiuti che derivano dagli imballaggi di plastica, il principio di responsabilità estesa del produttore (EPR), e l’eco-design siano gli elementi chiave su cui deve concentrarsi la partnership. “Sotto alcuni punti di vista i paesi in via di sviluppo hanno più bisogno di aiuto dei paesi sviluppati – dice Wingfield -- ma in realtà il problema dei rifiuti di plastica trascende ogni paese e attraversa tutti i confini. Dopo il blocco cinese, il problema dei rifiuti di plastica coinvolge tutti i paesi. Ci sono molte questioni che devono essere risolte e la Plastic Waste Partnership – conclude l’esperta – identificherà le aree nelle quali sono necessari delle risoluzioni vincolanti e le svilupperà.”