Le transizioni non sono mai facili, specialmente per coloro la cui sussistenza è radicata nei modelli che vengono abbandonati. I cambiamenti drastici nella società e nell’economia hanno sempre generato la paura di perdere il lavoro, nonostante spesso contribuiscano alla crescita dell’occupazione. Ci si aspetta che il passaggio da un’economia estrattiva lineare a una circolare generi milioni di nuovi posti di lavoro. Tuttavia rimangono molte incertezze. Gli esperti hanno opinioni diverse sulla reale entità e sulla qualità di questi nuovi posti di lavoro. Ma tutti concordano sul fatto che politiche forti e coerenti siano essenziali per una transizione positiva.

La strategia 2020 della Commissione europea (Ce) per la crescita intelligente, sostenibile e inclusiva stabilisce che il 75% delle persone tra i 20 e i 64 anni dovrebbero avere un impiego entro il 2020, cosa che richiederà 17,6 milioni di nuovi posti di lavoro. L’economia circolare potrebbe essere di grande aiuto per raggiungere questo obiettivo, dato che la maggior parte delle sue attività primarie (come il riuso e il riciclo) richiedono una maggiore quantità di manodopera rispetto a quanta ne serve in un modello improntato sullo smaltimento in discarica.

La Commissione europea stima che l’economia circolare possa creare 580.000 posti di lavoro entro il 2030; e la completa implementazione delle misure per la gestione dei rifiuti potrebbe aggiungere 170.000 posti di lavoro entro il 2035. Però il Circular Economy Action Plan (Piano di azione per l’economia circolare) della Ce non dà cifre concrete al di fuori del settore dei rifiuti e rimane vago riguardo a come si concretizzerà la crescita dell’occupazione nell’economia circolare.

Dare cifre concrete riguardo all’impatto dell’economia circolare sull’impiego rimane un’impresa ardua: le stime attuali variano considerevolmente in base alla fonte da cui provengono. Questo è principalmente dovuto alla mancanza di consenso sulle definizioni di economia circolare e posti di lavoro “verdi”, ma anche al cospicuo numero di settori e leggi relative che potrebbero modellare l’economia circolare, rendendola un obiettivo quasi irraggiungibile. 

Katrin Sommerfeld, esperta di mercati del lavoro inclusivi al Centre for European Economic Research (Zew) e autrice dello studio “Economia circolare e occupazione”, afferma: “I numerosi elementi diversi di un’economia circolare possono ostacolarne l’implementazione e la creazione di posti di lavoro […] in particolare, gli aspetti non sufficientemente analizzati della transizione come la digitalizzazione.”

D’altra parte la semplice creazione di occupazione non è sufficiente; i posti di lavoro creati devono essere di alta qualità. I sindacati criticano la mancanza di proposte concrete da parte della Ce per garantire condizioni di lavoro sicure e di alta qualità. La European Public Service Union (Epsu, sindacato europeo del servizio pubblico) avverte che il lavoro nel settore dei rifiuti, per esempio, viene spesso pagato poco e svolto in un ambiente di lavoro inadeguato. “Si parla poco delle condizioni di lavoro nell’ultima proposta della Ce sull’economia circolare”, evidenzia Guillaume Durivaux, Funzionario per le Politiche dell’Epsu: “Hanno usato il simpatico slogan dell’economia circolare che crea milioni di nuovi posti di lavoro, ma senza specificare di che tipo, quando e come...”

 

 

 

Almeno un milione di posti di lavoro

Secondo la Ellen MacArthur Foundation, è difficile valutare le opportunità reali di occupazione create dall’economia circolare, dato che dipendono in gran parte dalla configurazione del mercato del lavoro. Nonostante questo, sostiene che “il potenziale di creazione di posti di lavoro nel settore della rilavorazione globale e del riciclo in Europa supera già il milione”.

Analogamente, il think tank Green Alliance ha determinato che, al suo attuale tasso di sviluppo, l’economia circolare entro il 2030 potrebbe creare oltre 900.000 posti di lavoro in Italia, Polonia, Germania e Regno Unito. Nei primi tre paesi 270.000 di questi posti di lavoro reimmetterebbero nel novero della forza lavoro persone disoccupate. Nel Regno Unito la disoccupazione potrebbe essere ridotta di circa 54.000 unità. Un’espansione più ambiziosa delle attività legate all’economia circolare potrebbe addirittura portare a circa mezzo milione di posti di lavoro nel solo Regno Unito, dei quali circa 102.000 sarebbero posti di lavoro netti. Un modello circolare potrebbe anche contribuire a compensare circa il 18% delle perdite nel lavoro specializzato previste nel paese nell’arco dei prossimi dieci anni.

Libby Peak, consigliere sulle politiche per le risorse e l’economia circolare di Green Alliance, elogia l’impatto dell’economia circolare nella creazione di occupazione: “La cosa più importante da osservare è che l’economia circolare fornisce posti di lavoro netti”, sostiene Peak, “non sta solo creando un rimescolamento nel mercato del lavoro e togliendo posti di lavoro da altri settori. Li sta aggiungendo ai livelli di impiego generali”.

In maniera simile il Waste and Resources Action Programme (Programma di Azione su Rifiuti e Risorse) stima che, seguendo l’andamento attuale dell’economia circolare, nei 28 paesi dell’Ue potrebbero essere creati 1,2 milioni di posti di lavoro entro il 2030, 250.000 dei quali saranno netti e contribuiranno, quindi, a ridurre la disoccupazione. Però, in contrasto con la visione di Peak, Henning Wilts, capo dell’unità di ricerca sull’economia circolare al Wuppertal Institute for Climate, Environment and Energy, è molto preoccupato riguardo al fatto che solo circa un quarto dei posti di lavoro creati rappresenterebbero nuove assunzioni. Il resto rimpiazzerebbe posti di lavoro esistenti. La maggior parte dei lavoratori nei settori dell’estrazione e della lavorazione sarà ricollocata nella gestione dei rifiuti e nei servizi. “Se si ricicla di più, per esempio, ci saranno meno posti di lavoro nei settori delle materie prime”, commenta Wilts. “Un milione di persone dovranno trovare un nuovo lavoro e dovranno passare dal settore primario a modelli più circolari”.

L’International Labour Office (Ilo) stima che: “In uno scenario di economia circolare l’occupazione mondiale crescerebbe dello 0,1% entro il 2030 rispetto a uno scenario business-as-usual”, il che significherebbe la creazione di 6 milioni di nuovi posti di lavoro a livello globale. Ciononostante l’organizzazione evidenzia le implicazioni relative alla sfida della riallocazione dei posti di lavoro: “Complessivamente ci saranno sei milioni di posti di lavoro in più, ma diversi milioni di posti di lavoro semplicemente si sposteranno da un’industria a un’altra”, afferma Guillermo Montt, Senior Economist presso il Dipartimento Ricerca dell’Ilo.

 

 

Ambienti e condizioni di lavoro

Si prevede che la maggior parte dei paesi europei abbia un beneficio dalla crescita dell’occupazione. Riguardo alla distribuzione geografica, si suppone che le attività inerenti all’economia circolare aumentino sia nelle aree urbane che in quelle rurali. Nuove attività legate ai servizi resteranno concentrate nelle città, ma i posti di lavoro relativi alle attività di riparazione e riciclo possono aumentare dovunque, e addirittura dare un impulso allo sviluppo di aree ex industriali. “In posti come il Regno Unito, dove i posti di lavoro sono concentrati a Londra, l’economia circolare può riequilibrare l’economia all’esterno di questi centri urbani e aiutare le aree che precedentemente sono state escluse dallo sviluppo economico” spiega Peak, di Green Alliance.

Però, la maggior parte dei posti di lavoro verrà creata in paesi che già possiedono un forte settore della gestione dei rifiuti, in particolare in Germania, Regno Unito, Italia, Francia e Spagna, che insieme totalizzano già oltre il 65% dell’occupazione nel settore dei rifiuti. Quasi la metà dei posti di lavoro sarà creata solamente in Germania e Regno Unito. Quindi, i lavoratori potrebbero essere dislocati geograficamente, e non solo entro i confini europei. I lavoratori nei paesi in cui le industrie estrattive rappresentano il principale motore dell’economia, potrebbero doversi spostare in paesi in cui sono già presenti le infrastrutture necessarie allo sviluppo di un’economia circolare. L’America Latina e i Caraibi, insieme all’Europa, vedranno la maggiore crescita dell’occupazione; mentre l’Asia e i paesi affacciati sull’Oceano Pacifico, l’Africa e il Medio Oriente potrebbero subire la perdita netta di posti di lavoro se la diversificazione economica non verrà ulteriormente promossa. “Questi paesi non possiedono le infrastrutture necessarie, quindi in quei luoghi prevediamo un calo dell’occupazione”, sostiene Montt, dell’Ilo, “anche se non è detto che succeda per forza, perché potrebbero anche riuscire a sviluppare industrie nel campo del riciclo o dei servizi legati ai prodotti”. In ogni caso, continua Montt, “dato che è probabile che la riallocazione avvenga in tutti i paesi, gli incentivi alla mobilità geografica saranno decisivi nel sostenere la transizione dei lavoratori da un modello lineare a uno circolare”.

Riguardo alle condizioni di lavoro, Green Alliance vede lo sviluppo dell’economia circolare nel Regno Unito come un’opportunità per creare posti di lavoro di qualità superiore, più stabili e durevoli. I lavori mediamente specializzati o non specializzati, che sono per lo più in declino, avranno i maggiori benefici. Aumentare la meccanizzazione e la delocalizzazione rende vulnerabile l’occupazione in queste attività, ma lo sviluppo di un’economia circolare farà durare il 90% di questi posti di lavoro almeno fino al 2025. Invece, l’Epsu sostiene che le condizioni di lavoro e i salari dei lavori legati all’economia circolare sono spesso ben lontani dall’essere di buona qualità. In linea con il ragionamento dell’Epsu, la ricerca eseguita nel settore del recupero delle risorse nei paesi dell’Ue ha presentato questi lavori come una “nuova forma di lavoro sporco, collocata in mercati del lavoro secondari e basata su lavoratori itineranti e migranti, spesso provenienti da stati legati da accordi”. La ricerca evidenzia che i lavoratori degli impianti di recupero dei materiali (Material Recovery Facilities, MRF) o degli stabilimenti di recupero dei materiali tessili nel Regno Unito svolgono la loro attività in un ambiente rumoroso e maleodorante, in cui condividono spazi molto angusti. Inoltre, gli orari di lavoro sono solitamente molto lunghi e con poche pause, e spesso i lavoratori percepiscono il salario minimo. “Il fatto che ci sia un rischio di lavoro di qualità inferiore non dovrebbe impedirci di far espandere l’economia circolare”, spiega Montt. “Invece dovrebbe renderci più consapevoli del fatto che è un problema sul quale dovremmo lavorare”.

 

Capacità e politiche

Tutti gli esperti concordano sul fatto che le politiche chiare sono fondamentali per la creazione di lavori dignitosi in un’economia circolare. Sommerfeld evidenzia che, senza le politiche necessarie, la transizione “potrebbe essere un passo positivo per la società in generale, ma non per gli individui”. Le misure di protezione sociali sono, perciò, essenziali. Montt propone che, per quei casi in cui i lavoratori non possono adattarsi alla nuova situazione lavorativa, il loro calo di reddito dovrebbe essere compensato.“È scorretto far pagare a questi lavoratori il peso della transizione. Dovremmo sostenerli”, afferma. Questo implica anche la necessità di garantire condizioni di lavoro sane e sicure. Nel settore del riciclo, per esempio, i lavoratori entrano spesso in contatto con sostanze pericolose che possono danneggiare la loro salute. “Ecco perché è stato necessario stilare una legislazione sulle condizioni di lavoro, ma sfortunatamente queste ultime non sono state inserite nel Circular Economy Package”, spiega Durivaux.

Le politiche devono anche fare pressione sui governi e sui soggetti coinvolti affinché colmino le lacune in fatto di conoscenza e di capacità in modo che i lavoratori possano dedicarsi a compiti circolari. Per ora non sta succedendo, si lamenta Wilts del Wuppertal Institute: “Non vedo nessuno discutere del tipo di qualifiche che le persone devono possedere per svolgere servizi circolari. Non c’è un solo erogatore di servizi di formazione specializzato nella rilavorazione. Questa è una lacuna enorme. Alcune fabbriche semplicemente hanno cominciato a sviluppare per conto loro materiale per la formazione. La questione è quando cominceremo a sviluppare queste capacità e a fornire formazione per questo sviluppo”. La CE, a sua volta, sostiene che un supporto pratico per il business e per i cittadini è già disponibile attraverso programmi come il Programma Strutturale per la Ricerca e l’Innovazione (Framework Programme for Research and Innovation) del progetto Horizon 2020 o Erasmus+. In aggiunta, il Fondo Sociale Europeo sta investendo denaro per migliorare la preparazione dei lavoratori in paesi come la Spagna, dove ha stanziato oltre 22 milioni di euro per un programma dedicato ai lavori “verdi”.

“Introdurre le politiche adeguate è la sfida più grande”, riconosce Peak. Per riuscirci, devono essere ulteriormente riconosciuti i benefici di un modello circolare sullo sviluppo economico, come succede per i benefici ecologici. Quando si sviluppano strategie di economia circolare l’occupazione deve essere considerata un elemento chiave. Solo allora si creeranno un notevole numero di posti di lavoro e condizioni di lavoro dignitose.  

 

 

Fonti

Green Alliance (2015), Unemployment and the circular economy in Europe: a study of opportunities in Italy, Poland and Germany;

www.green-alliance.org.uk/unemployment_and_the_circular_economy_in_Europe.php

Green Alliance (2015), Employment and the circular economy: job creation in a more resource efficient Britainwww.green-alliance.org.uk/employment-and-the-circular-economy.php

Green Alliance (2016), Job quality in a circular economywww.green-alliance.org.uk/resources/Job%20quality%20in%20a%20circular%20economy.pdf

Immagine in alto: Credit: Heather Clisby