Costretti a osservarla da balconi e finestre, la città, per chi ha vissuto il lockdown urbano, è apparsa come un oggetto sconosciuto, di cui in fondo non avevamo capito nulla. Presi dalla frenesia dei ritmi produttivi, dal caleidoscopio di opportunità, eventi, happening, dal frastuono della vitalità umana e dal fragore delle sue macchine, dal desiderio di crescita illimitata, la città del XXI secolo improvvisamente ci è apparsa come un oggetto alieno, estraneo al nostro benessere, sconnesso con l’armonia della natura e con lo spirito umano.
Pochi eventi come la
crisi del Covid-19 hanno spinto a ripensare le grandi strutture urbane, a interrogarsi sulla qualità della vita delle metropoli, a comprendere le connessioni tra salute, resilienza, sostenibilità, prosperità. Siamo tornati a studiare e riprogettare questi spazi sovraffollati, risultato delle attività di un animale sociale sempre più numeroso e sempre meno propenso ad abitare aree liminali, a scegliere territori marginali di provincia, paesi montani e collinari. Abbiamo capito che ci dovrà essere un prima e un dopo nella vita cittadina.
Gli architetti obietteranno che per loro la città è sempre stata un oggetto di indagine e di studio. Ma per come si costruisce l’abitato urbano oggi, per come si progetta lo spazio delle megalopoli – la sua crescita senza limiti – viene da pensare che solo pochi avanguardisti abbiano davvero fatto bene i compiti, forse troppo presi da facciate sfavillanti, masterplan da archistar e idee dove la forma sovrasta pesantemente la funzione. È tempo che il neoliberismo abbandoni gli spazi urbani e lasci spazio a una
filosofia circolare.

Metabolismo urbano

Partiamo dalla struttura: come raggiungere the good city form, per dirla con il compianto geografo e urbanista Kevin Lynch? Sempre di più la città viene letta come un organismo, fatto di innumerevoli gangli, reti (flussi), spazi, attori che interagiscono tra loro. Come una persona in buona salute ha un metabolismo perfettamente funzionante, così una città sana deve avere un metabolismo urbano efficiente. Assume lo stretto necessario di materia, acqua, energia, conosce i flussi in entrata di persone e merci, ottimizza ogni elemento che entra nel metabolismo (energia, materiali, ma anche risorse intellettuali, finanza), cresce senza produrre scarti nocivi (particolato, emissioni di gas serra, ma anche disparità sociale, disoccupazione, povertà). Allo stesso tempo, gode di benessere psichico ed emotivo. Nulla come la felicità e l’ottimismo sono in grado ci curare i malanni.
Se è poi vero che le città possono essere
equiparate a ecosistemi biologici, allora, come qualsiasi organismo vivente, possono trovare strategie di sopravvivenza e di adattamento, anche e soprattutto nei momenti di grande crisi come quelli che stiamo vivendo.

Resilienza in città

Ed è qui che nasce la necessità diventare resilienti. La resilienza è la capacità di un sistema – un organismo umano, una città, una comunità, un’azienda, un sistema ecologico o socioeconomico – di adattarsi, ripristinare la propria funzionalità e innovarsi dopo avere subìto un impatto esterno, uno shock o uno stress di origine naturale o antropica.
Per creare elementi di resilienza e circolarità si può partire dalle
funzioni. Riflettendo su come pedonalità e ciclabilità possono affiancare il Trasporto pubblico locale collettivo come scelta di mobilità, sui modi per rendere davvero accessibili il verde e gli spazi pubblici ai bambini e agli anziani, togliendo spazio all’unico investimento anti-economico della storia, l’auto, che giace inutilizzata il 93% della sua vita.
In generale, è necessario
riflettere sull’abitare del futuro. Se è vero che tutti cercheremo case con metrature più ampie, giardino e tranquillità fuori dai centri urbani, dall’altra le città non moriranno, ma dovranno necessariamente reinventarsi. E allora perché non farlo in chiave resiliente, circolare, inclusiva ed equa? Può essere questo il New European Bauhaus?
Sono tanti gli esempi di amministratori locali impegnati sul fronte del contrasto al cambiamento climatico e pandemico con progetti e scelte concrete; tra questi, l’ambizioso
piano ForestaMi, tre milioni di alberi piantati a Milano e nei 133 comuni dell’area metropolitana entro il 2030; il nuovo Piano dei tempi e degli orari, piazze e strade aperte portati avanti dalla città di Milano; l’esperimento di Urban Jungle a Prato, sempre sul verde come spazio di cura e benessere. Oppure Londra, con la super highway urbana ciclabile, lo Sponge Garden di Rotterdam, il programma per tetti verdi e inclusivi di Buenos Aires, il parcheggio Pop-up di New York, passando per il visionario progetto di Oceanix City, sviluppato da Bjarke Ingels Group.
Durante la pandemia sono emerse le caratteristiche che possono rendere le
comunità resilienti alle emergenze, si è acquisita “consapevolezza circa le fragilità individuali e collettive”, ed è emerso come solo le risposte collettive possano risollevare le sorti di una comunità ferita. E, insieme a questa presa di responsabilità, altrettanto forte si è affermata la consapevolezza dell’importanza e della presenza dello Stato. Diventa dunque evidente che per avere città sane e per raggiungere gli ambiziosi obiettivi del Piano nazionale per la ripresa e la resilienza sia necessario lavorare sulla resilienza e la circolarità nelle strutture pubbliche. Per la sua trasversalità, la resilienza funziona come abilitatore all’interno delle amministrazioni locali. Per un ripensamento complessivo della città e del suo funzionamento servono team multidisciplinari o figure di coordinamento che rendono la trasversalità realtà e non un principio astratto. Per farlo, occorre maturare nel corpo pubblico capacità di mediazione e di diplomazia, indispensabili per agire all’interno di una struttura fortemente gerarchizzata come quella che contraddistingue gli enti locali.

Le città circolari: un viaggio intorno al mondo

Rimettere in salute le nostre città e renderle resilienti non sarà facile. Questo numero di Materia Rinnovabile è una cura dimagrante, un piano di remise en forme per le nostre città, partendo proprio dalla transizione dalle città lineari petrocapitaliste alle città circolari. Un viaggio intorno al mondo e intorno ai saperi, dai Paesi Bassi alla Colombia, dagli Stati Uniti all’Italia per capire come si sta iniziando a declinare questa transizione. Paula Pluchino ci porterà a conoscere i modelli del metabolismo urbano e dei digital twins. Antonella Totaro mostrerà il modello olandese di circular cities, ma soprattutto aprirà il discorso dell’abitare circolare, squisitamente introdotto dall’intervista con Carol Lemmens di Arup e che continuerà sul numero #38 di Materia Rinnovabile, interamente dedicato all’edilizia circolare. L’urbanista a Cassim Shepard racconta invece del coinvolgimento di chi vive nella città come modo per ripensare gli spazi pubblici e rendere sostenibile il rapporto con gli ambienti extra-urbani. Da Bogotà invece arriva una lezione di come il modello di città circolare varia da regione e regione e di come i paesi di nuova industrializzazione possono accelerare e superare anche la vecchia Europa. Tanti i casi studio, a partire da Enel, che ha fatto del tema delle città circolari una bandiera. E poi NextChem, con i suoi distretti circolari per l’energia e materiali, Gruppo CAP, che ci racconta, tramite la penna di Rudi Bressa, il tema dell’acqua nelle città circolari. Questo numero non conta certo di risolvere il tema, ma vuole comunque gettare elementi anche contrastanti nell’agone per alimentare il dibattito. Che si preannuncia sempre più interessante. Intanto, buona lettura!

Scarica e leggi il numero 36 di Materia Rinnovabile sulle città circolari.