Inizia oggi la seconda settimana di negoziati di COP15, per trovare un accordo quadro globale per la tutela della biodiversità, il Global Biodiversity Framework (GBF). Il negoziato del decennio per la natura procede lentamente, ma si riducono le opzioni negoziali sul testo che dovrà essere approvato dai ministri di tutto il mondo in arrivo mercoledì a Montreal.
Materia Rinnovabile, unica testata italiana registrata al negoziato, ha incontrato Marco Lambertini, direttore di WWF International, per discutere degli avanzamenti e fare il punto sui target chiave.

Come procede il negoziato di COP15?
La storia di COP15 è travagliata. Il negoziato è iniziato nel 2020, in piena pandemia, con conferenze virtuali che non funzionavano, e una serie di difficoltà che hanno portato all’appuntamento di Montreal con molte questioni aperte. All’inizio della prima settimana c'erano ancora 1800 opzioni testuali tra parentesi, di cui numerose con posizioni molto contrapposte su temi fondamentali. Purtroppo molte di queste opzioni perdurano nell'ultima versione del testo del Global Biodiversity Framework diversamente dalle Conferenze sulla biodiversità precedenti. Sarà un duro lavoro quello dei prossimi giorni per consegnare un testo facile da negoziare ai ministri.

Vari sherpa registrano però un cambio di marcia…
Abbiamo visto nell'ultima settimana un cambiamento nella disponibilità a cercare soluzioni. C'è maggiore pressione perché i ministri stanno arrivando e perché si percepisce, diversamente dai negoziati precedenti, una grande attenzione della stampa internazionale e del mondo del business.

Come possiamo caratterizzare le posizioni politiche sul Global Biodiversity Framework?
Ci sono due blocchi di elementi negoziali: l'ambizione, ovvero gli obiettivi di tutela della biodiversità e i mezzi di implementazione, incluse le risorse finanziarie. Tra questi due blocchi si sta giocando all'uovo e alla gallina, quale fare prima? Il Sud del mondo dice: “non possiamo aderire a degli obiettivi ambiziosi se non ci sono le risorse”: il Nord dice: “noi non abbiamo tutte le risorse prontamente disponibili come governi”. I negoziatori però stanno capendo che l'ambizione è irrinunciabile, dato che la situazione è talmente grave che non si può lasciare Montreal con un accordo debole. Una volta che il processo è adottato si potrà trovare tutte le risorse necessarie, che non arriveranno solamente dai bilanci dei governi e dagli accordi bilaterali, ma includeranno le banche di sviluppo multilaterali, le agenzie multilaterali, la grande filantropia, il settore privato-

Eppure la sensazione è che le risorse economiche siano un elemento chiave per approvare il Framework.
Le risorse che sono già state messe sul tavolo sia dal settore pubblico che da quello privato, in particolare filantropia, sono le più alte nella storia, parliamo di 15 miliardi di dollari aggiuntivi. Ma vediamo un aumento anche delle risorse pubbliche allocate nei budget domestici. Troviamo degli obiettivi e troveremo le risorse.

C'è la possibilità che il Global Biodiversity Framework collassi?
Al momento non è realistico raggiungere un accordo dettagliato sulle risorse economiche. Serve però definire bene il processo per erogare queste risorse. Se questo processo è incerto e non ispira fiducia, e non si danno delle deadline, è possibile che non si trovi un accordo.

Che obiettivi saranno finalizzati nel testo?
Il Global Biodiversity Framework deve trovare una missione globale equivalente al 1,5°C dell'Accordo di Parigi, un faro per governi, società civile e imprese. Noi crediamo che l'obiettivo del Framework sia “fermare e invertire la perdita di biodiversità e sostenere uno sviluppo nature positive”, dato che la natura può tornare facilmente, ripristinando foreste, rigenerando barriere coralline, facendo tornare gli impollinatori, eccetera. Per raggiungere questa missione globale vanno centrati tre obiettivi.

Il primo è quello della conservazione del 30% delle aree marine e terrestri entro il 2030, con tutti i meccanismi di inclusione e rispetto delle comunità indigene. Conservazione di ecosistemi che generano un sacco di benefici. Come la captazione dell'acqua delle foreste per usi agricoli e industriali. Oppure la cattura e sequestro della CO2, dato che senza la capacità della natura di sequestro di anidride carbonica l'obiettivo di 1,5°C è irraggiungibile.

Il secondo target è la rigenerazione della natura – si sta discutendo se avere un target percentuale o di superficie complessiva – fondamentale per perseguire la missione di uno sviluppo nature positive.

Il terzo è invece l'impronta ambientale. Se devi preservare la natura che c'è e rigenerare la natura persa, devi gestire in maniera sostenibile l'ambiente produttivo: le foreste che si usano per il legname, i campi che coltivi per l'agricoltura, la pesca, il settore estrattivo e le infrastrutture .

Per raggiungere questi target serve movimentare le risorse, nodo chiave di questo negoziato.
I punti chiave sono una roadmap per reperimento delle risorse e degli obiettivi, ma speriamo che si risolva la contrapposizione di mettere i soldi prima dell'ambizione. Poi c' è la questione del DSI, il Digital Sequence information sulle risorse genetiche.

Che cos’è?
Si tratta dei ricavi derivati da risorse genetiche. Quando un’impresa di un Paese industrializzato fa una scoperta medica, farmaceutica o cosmetica studiando una pianta o un animale di un Paese in via di sviluppo, trae grande profitto da questa risorsa genetica. Però sono i Paesi meno sviluppati quelli con più grande biodiversità, da cui però non traggono profitto. Dunque chiedono una percentuale di quei profitti. Un tema legittimo ed equo, come renderlo operativo però è un’altra storia. Qua speriamo ci si possa accordare non definendo i dettagli ma delineando un processo per capire come gestire al meglio il DSI.

Monica Medina, special envoy per biodiversità americana, ha confermato che gli Usa sono aperti a trovare un giusto approccio su questo tema.
Gli Stati Uniti non hanno ratificato la convenzione sulla biodiversità ma possono aderire volontariamente a questo approccio.

Altro tema spinoso quello dei sussidi dannosi per la natura. Si muove qualcosa su quel track negoziale?
C'è molta resistenza, serve un accompagnamento politico per fare questa transizione. Però non è questione di togliere i sussidi ma di ri-direzionarli. Chi riceve finanziamenti per un'agricoltura sostenuta dalla chimica li riceverà per fare un'agricoltura sostenibile. Se i tagli venissero approvati darebbero un'importante indicazione ai ministeri delle finanze e del commercio, oltre che ad organizzazioni come la WTO.
C'è stata un'esperienza positiva all'inizio di quest'anno, dove la WTO per prima volta in trent'anni ha deciso di ridurre i sussidi per la pesca legata a specie sovra sfruttate.

Quanto è importante il ruolo delle comunità indigene nel raggiungimento dei target?
C'è una grande presenza a COP15 di rappresentanti di popolazioni indigene, che sono guardiane in molti casi di questi ambienti naturali. Il 30% di aree protette è un'opportunità unica per le comunità indigene di essere riconosciute come guardiane della biodiversità nelle zone dove vivono. Per questo serve includere nel testo una leadership delle popolazioni indigene.

Qua al Montreal Convention Center c'è una grande presenza del settore privato: siamo di fronte ad una svolta simile alla COP26 di Glasgow dove il settore finanziario inviò un segnale molto importante?
Si è partiti con il Global Risk Report del World Economic Forum che individua nei temi naturali sei dei dieci principali rischi economici. Qui a COP15 sono tantissimi gli eventi sul ruolo del settore privato e come può contribuire ai target per tutelare la biodiversità. Se il GBF sarà approvato l'attenzione del mondo finanziario crescerà esponenzialmente. Certo ci sono anche le lobby dell'industria agrochimica, che si sentono minacciate, ma la maggioranza del settore privato è interessato a capire quale sarà la nuova direzione globale sulla natura. Il mondo industriale e finanziario sa come posizionarsi sul clima, ma non sa cosa fare sulla natura perché non c'è un framework chiaro. Questa è l'opportunità di adottare il Global biodiversity Framework.

Che ruolo ha la Cina?
La Cina ha fatto dei passi enormi in avanti dal punto di vista di protezione ambientale e sul clima sul territorio domestico, ma deve fare ancora molto all'estero, le compagnie cinesi devono ancora allinearsi alla visione nazionale. Ricordiamo che la presidenza di Cop15 è cinese e questo summit si sarebbe dovuto tenere in Cina. Dunque è sicuro che quello che uscirà da Montreal sarà implementato da Pechino.

L’Italia è poco presente a Montreal: zero stampa, non verrà nemmeno il ministro dell’Ambiente. Cosa fa sulla biodiversità?
L'Italia ha fatto tanti passi in avanti. Le aree protette superano il 17% del territorio nazionale. Le popolazioni di aquile, fenicotteri, lupi, orsi sono in aumento. Il problema sono i piccoli animali e gli insetti. Pesano le colture intensive sostenute dalla chimica delle pianure. C’è l’impatto all’estero: siamo un grande Paese industrializzato con aziende che operano e comprano in tutto il mondo, esse possono svolgere un grande ruolo. Infine il governo di un Paese del G7 può fare la sua parte nel sostegno finanziario internazionale per la biodiversità.

Immagine: Sonika Agarwal (Unsplash)