La storia è quella di Okja, il nome assegnato a una specie di supermaiale ingegnerizzato geneticamente, creato nei laboratori di una società (fittizia, ma fino a un certo punto, visto che si tratta di una evidente parodia del gigante Monsanto) chiamata “Mirando”. La Mirando/Monsanto ha creato questa bestia specialissima perché deve rifarsi una sua verginità “ambientalista” dopo i disastri compiuti dalle gestioni precedenti. E contemporaneamente mettere sul mercato un killer product che moltiplicherà i profitti aziendali. La nuova amministratrice delegata, una terribile e bravissima Tilda Swinton, afferma di voler mettere a disposizione dell’umanità un animale da allevamento che consumi meno risorse e che produca meno inquinamento rispetto alle “normali” vacche o porcelli. Una mossa davvero green, visto che – come noto – gli animali da carne utilizzano moltissima acqua, terreno, cereali e generano attraverso i loro rifiuti importanti quantità di gas serra. Già che ci sono gli scienziati della Mirando creano un supermaiale facile da “lavorare” quando si tratta di processarlo industrialmente, con un sacco di carne poco grassa, buona per tutte le religioni e culture, e soprattutto, “con un sapore buonissimo”. Insomma, quello che si può a buon diritto definire un greenwashing di proporzioni planetarie.

Non vogliamo qui “spoilerare” troppo la trama del film, che si sviluppa attraverso l’incontro tra il supermaiale Okja e una ragazzina coreana, Mija, che vive con un nonno contadino in montagna e a cui viene inizialmente affidata Okja, e con cui sviluppa un rapporto di amicizia. Ben presto, come ovvio, la Mirando ha bisogno di recuperare il suo prototipo per concludere la sperimentazione macellando il povero animale. E svelando il destino programmato sin dall’inizio dall’azienda: farlo finire dentro un mostruoso mattatoio/lager, dove le povere bestie vengono torturate, umiliate e poi uccise per diventare una braciola o una fettina nei piatti dei consumatori. In alcuni passaggi il film coraggiosamente mette tutti gli umani sul piatto della bilancia dei cattivi: multinazionali del cibo, ambientalisti travolti dalla propria cieca vanità, persino la piccola Mija.

Bisogna dire che non è la prima volta che Bong Joon-ho affronta con mano sicura e approccio davvero creativo il confronto/scontro tra umanità e ambiente. Tutti ricordiamo il meraviglioso Snowpiercer, ambientato in un futuro in cui, dopo una disastrosa glaciazione prodotta per cercare di bloccare il riscaldamento globale, la minuscola fetta di umanità che si è “salvata” vive a bordo di un lungo treno che non si ferma mai, governato da un’élite di ricchi che occupano le carrozze di testa e che sfrutta i proletari schiavizzati dei vagoni di coda. 

Stavolta Bong Joon-ho invece affronta un altro fondamentale nodo politico ed etico della nostra epoca: è giusto desiderare di rispondere alle sfide ambientali di oggi cercando di non modificare i nostri comportamenti quotidiani, puntando a continuare a vivere come stiamo vivendo adesso? Si può parlare davvero di “sostenibilità”, limitandosi a definirla sulla base di meri aspetti tecnici, senza affrontare una profonda riflessione etica sull’azione dell’uomo, che sta producendo simultaneamente una catastrofe climatica, una estinzione di massa, una scarsità di risorse e (incidentalmente) una distruzione scientifica e industrializzata del mondo animale? Si può parlare di “scelte sostenibili” quando in realtà si stanno compiendo semplicemente scelte ciniche e basate su calcoli?

Interrogativi giganteschi, a cui per adesso non stiamo dando risposta. Basti pensare al nuovo paradosso che emerge quando appoggiamo le cosiddette “buone pratiche di pesca sostenibile” per evitare di svuotare gli oceani dai pesci. In realtà non stiamo facendo altro che cercare di salvare alcune specie marine dall’estinzione al solo scopo di ucciderle “meglio”, per mangiarcele in un futuro più o meno prossimo. Interrogativi che Okja invece ci mette davanti in modo esplosivo. Costringendoci a pensare.