La Francia si è finalmente seduta al tavolo dei paesi europei con una strategia nazionale sulla bioeconomia. Annunciata nel giugno 2015 e presentata lo scorso 18 gennaio, Une Stratégie Bioéconomie pour la France propone una visione per “lo sviluppo coordinato e sostenibile di tutte le filiere basate sulle biomasse per la produzione alimentare, dei materiali, dei bioprodotti, delle bioenergie e dei servizi ecosistemici”. È il frutto di un lavoro concertato, durato oltre un anno, che ha visto protagonisti il ministero dell’Ecologia, dello Sviluppo sostenibile e dell’Energia; il ministero dell’Educazione nazionale, dell’Istruzione superiore e della Ricerca; il ministero dell’Economia, dell’Industria e il ministero dell’Agricoltura, dell’Agroalimentare e della Foresta, insieme a tutti i portatori di interesse di questo metasettore che in Francia ha il proprio fondamento nell’agroalimentare.

La Francia, infatti, è il primo produttore agricolo dell’Unione europea e il primo esportatore. I terreni destinati all’agricoltura rappresentano il 51% del territorio nazionale (il 28% è coperto da foreste) e danno lavoro a 936.000 persone, generando un volume d’affari di 72,8 miliardi di euro. Le attività legate alla pesca e all’acquacoltura hanno un volume d’affari di 1,8 miliardi di euro. Mentre, secondo Ania, l’Associazione nazionale dell’industria agroalimentare, nel 2015 in Francia erano attive 16.218 imprese per un’occupazione totale di quasi 441.000 addetti e un volume d’affari di 170 miliardi di euro.

Sul fronte dell’industria chimica, stando ai dati forniti da Cefic, l’Associazione europea di settore, la Francia è il secondo paese europeo per fatturato, dopo la Germania e prima dell’Italia, e il settimo a livello globale, con un valore di 74,2 miliardi di euro nel 2015. Tra il 5 e il 10% delle materie prime utilizzate dall’industria chimica e dei materiali è di origine biologica.

Insomma, la bioeconomia in Francia è una realtà (la seconda in Europa per valore della produzione, anche in questo caso dopo la Germania) saldamente ancorata al territorio e, al tempo stesso, un’ambizione di cambiamento, come rivendica il governo(1) nella strategia: “Per l’avvenire nostro e quello del pianeta, la scelta strategica della Francia è di incoraggiare e sostenere lo sviluppo di una bioeconomia sostenibile”. Parigi, dunque, ha rialzato la testa e guarda avanti orgogliosa, spinta dal buon esito della COP21 ospitata a casa propria e incoraggiata anche dai dati positivi della propria economia, con un Pil la cui crescita è stata confermata a +0,4% nel quarto trimestre 2016 rispetto al trimestre precedente, con un rialzo annuo rivisto a 1,2%.

“Sono necessari – si legge nella strategia – nuovi modi di produzione e di consumo più efficienti, più resilienti e compatibili con i limiti del pianeta”. Ciò significa una migliore utilizzazione delle biorisorse, di cui sono ricche le filiere agricole, forestali e marine, da considerare come “una grande opportunità per l’economia francese, per rinforzare la sovranità alimentare e l’indipendenza negli approvvigionamenti, riequilibrando la bilancia commerciale, creando valore e rafforzando il dinamismo dei territori rurali e lo sviluppo dell’impiego”.

Per il governo guidato da François Hollande lo sviluppo della bioeconomia in Francia dovrà basarsi su forti investimenti in ricerca e innovazione, sia pubblici sia privati, e su un approccio sinergico e coerente, indispensabile a livello di politiche nazionali, regionali ed europee in materia di economia, ambiente, agricoltura, silvicoltura, ricerca e sviluppo del territorio.

La sinergia tra industria e agricoltura

I francesi sanno bene come creare sinergia tra settore industriale e agroalimentare. L’esempio più significativo a questo riguardo è il polo di competitività a vocazione mondiale “Industrie e agrorisorse”, meglio noto come Iar Pole, specializzato in chimica verde e biotecnologie industriali: quasi 200 aderenti attivi, tra Piccardia e Champagne Ardenne, nella costruzione della nuova economia basata sull’impiego di fonti rinnovabili. Si tratta della crème dell’industria francese: Michelin, Roquette, Veolia, Faurecia, Total, ma anche L’Oréal, Danone e Lacoste, per fare qualche nome.

Nei pressi di Reims, capitale della Champagne Ardenne, il Polo Iar ospita l’Istituto europeo di bioraffineria, una delle principali bioraffinerie al mondo. Il principio che anima il cluster francese è quello della condivisione e delle sinergie: il sito di Reims comprende anche un laboratorio di Ricerca & Sviluppo condiviso, un dimostratore industriale (Biodemo) e un centro di ricerca che riunisce diversi istituti di istruzione superiore (Cebb). Sempre a Reims si sviluppa il progetto Futurol, per la produzione di biocarburanti di seconda generazione, quelli che non impiegano biomassa proveniente da colture vegetali.

Se sinergia è la prima parola d’ordine del Polo Iar, la seconda è internazionalizzazione. Il cluster francese non è chiuso in una logica regionale, ma ha accordi di partnership attivi in Europa, in Canada, negli Stati Uniti, in Giappone, in Brasile e in India. In particolare, nel Vecchio Continente ha dato vita nell’ottobre 2015 all’intercluster 3Bi insieme al cluster inglese BioVale, a quello olandese Biobased Delta e al tedesco BioEconomy Cluster di Halle. L’obiettivo condiviso è di unire le forze nella ricerca, nello sviluppo e nell’applicazione di nuovi approcci high-tech nella conversione di biomassa, materia prima rinnovabile e rifiuti in nuovi prodotti ad alto valore aggiunto.

In precedenza, in Francia nel marzo del 2011, il Polo Iar aveva già avviato la United Bioeconomy Clusters (Ubc), un’associazione che punta a condividere una visione strategica di sviluppo nazionale incentrata sulla chimica verde e a presentare all’estero la bioeconomia francese in modo unitario. I cluster coinvolti: Axelera, il cluster della chimica e dell’ambiente della regione di Auvergne-Rhône-Alpes, focalizzato sulla chimica verde e sul riciclo dei materiali; Agrimip, Agri Sud-Ouest Innovation, il cluster per l’agricoltura e l’industria alimentare delle regioni di Aquitania e Midi-Pyrenees e Xylofutur, il cluster della filiera della carta della regione dell’Aquitania.

Il ruolo delle imprese

Un grande impulso alla crescita e al radicamento della bioeconomia francese è dato dalle grandi imprese, come Total, Arkema, Roquette e Faurecia, che stanno investendo pesantemente per sviluppare nuovi prodotti biobased sostenibili. Lo scorso marzo il colosso petrolifero che ha il proprio quartier generale a La Défense di Parigi ha lanciato ufficialmente le attività della joint-venture Total Corbion PLA, costituita al 50 e 50 con l’olandese Corbion, per la produzione e la commercializzazione di acido polilattico, un polimero biobased e biodegradabile ottenuto da risorse rinnovabili. Non solo: insieme all’americana Amyris, Total sta sviluppando un biocarburante per il mercato dell’aviazione commerciale che mira a ridurre le emissioni di CO2 delle compagnie aeree, responsabili a oggi del 2% di tutte le emissioni di CO2 dovute all’attività umana. In questo settore, il colosso petrolifero francese ha siglato un accordo di collaborazione anche con Air France, Airbus e Safran, la società nata nel 2005 dalla fusione tra Sagem (elettronica e difesa) e Snecma (aerospazio).

Sull’asse franco-olandese si sviluppa un’altra importante partnership: quella tra Roquette e Royal Dsm. La joint-venture da loro costituita, Reverdia, è una società attiva nella produzione di acido succinico biobased (biosuccinium), che ha il proprio stabilimento produttivo in Italia, a Cassano Spinola in Piemonte, e che nell’ottobre 2015 ha siglato un accordo con la tedesca Covestro (ex Bayer Material Science) per sviluppare un poliuretano termoplastico (Tpu) ricavato da materie prime rinnovabili, da utilizzare nel settore calzaturiero e nell’elettronica di consumo.

Arkema, la società chimica creata nel 2004 a seguito della riorganizzazione della divisione chimica di Total, è attiva soprattutto nella produzione, in Cina e negli Stati Uniti, di poliammidi (materiali termoplastici ideali per le applicazioni di carattere meccanico) da fonti rinnovabili da impiegare nell’industria automobilistica, dell’elettronica di consumo e dello sport.

Faurecia, uno dei più grandi gruppi mondiali per la componentistica per l’industria automobilistica, nel 2006 ha avviato un progetto denominato BioMat per la produzione di bioplastiche da materiali naturali, a cui ha fatto seguito nel 2012 una partnership con i giapponesi di Mitsubishi e una joint-venture con la thailandese PTT per l’avvio di un impianto di PBS (polibutilene succinato) con una capacità produttiva di 20.000 tonnellate all’anno in Thailandia. Obiettivo condiviso di Faurecia e Mitsubishi Chemical è lo sviluppo di un biopolimero che può essere utilizzato nella produzione di massa delle parti interne delle auto, attraverso l’impiego di acido succinico biobased fornito dalla società biotech americana BioAmber. Gradualmente, secondo i due gruppi industriali, si arriverà all’impiego del 100% di materiali di derivazione biologica nelle autovetture. Faurecia detiene i diritti esclusivi per le applicazioni automotive dei nuovi biopolimeri, il cui contenuto biologico è attualmente del 65%, ma la società francese mira a raggiungere il 100% entro il 2018 grazie all’arrivo sul mercato del bio-butandiolo. Il PBS infatti – sia esso derivato dal petrolio o dalle fonti biologiche – è composto al 60% da acido succinico e per il 40% da butandiolo.

Al fianco delle grandi imprese impegnate nella bioeconomia, non mancano quelle piccole e medie: tra queste spicca la Global Bioenergies. La società biotech fondata nel 2008 da Marc Delcourt e Philippe Marlière, e quotata all’Euronext di Parigi, si è ritagliata negli anni uno spazio da grande protagonista nel panorama europeo, grazie al suo dinamismo e a partnership importanti con attori del calibro di Audi, Clariant, Arkema, L’Orèal e Cristal Union. Nel 2015, la società francese ha realizzato lo scale-up industriale della propria tecnologia per produrre isobutene, consegnando ad Arkema i primi lotti di isobutene purificati dall’impianto pilota di Pomacle. Ma non solo: parte di questo isobutene è stato trasformato in isoottano, un biocarburante avanzato testato dalla tedesca Audi. In Germania, Global Bioenergies ha anche attivato il proprio impianto dimostrativo da 100 tonnellate annue nel sito chimico di Leuna. Mentre un impianto commerciale è stato realizzato in Francia attraverso una partnership con Cristal Union: quando sarà operativo, entro la fine del 2018, produrrà 50.000 tonnellate all’anno. L’isobutene è un intermedio chimico la cui domanda è in crescita da parte di diversi settori industriali (dalla cosmetica – da qui l’interesse di L’Orèal per l’impianto commerciale di Global Bioenergies – all’agroalimentare, fino alla chimica, ai combustibili e al gas per uso domestico), per un valore stimato in 20 miliardi di dollari.

Per diversificare la materia prima utilizzata, la società guidata da Delcourt ha completato lo scorso febbraio l’acquisizione di Syngip, un’impresa olandese che ha sviluppato un processo per convertire fonti di carbonio gassoso in olefine leggere (etilene, propilene, buteni, butadiene).

Tutto quello che succede a Bazancourt-Pomacle

La bioraffineria di Bazancourt-Pomacle è una delle più grandi d’Europa. Ogni anno trasforma tre milioni di tonnellate di biomassa (barbabietola da zucchero, frumento, erba medica) in zucchero, glucosio, amido, alcol alimentare e farmaceutico, etanolo e principi attivi cosmetici.

Nel 2005, quando la Francia ha lanciato una nuova politica industriale con i poli di competitività, Piccardia e Champagne-Ardenne si sono unite per sviluppare un progetto congiunto: il cluster a vocazione mondiale Industria e risorse agricole, Iar. L’eccellente esempio di Bazancourt-Pomacle è stato scelto dal Presidente della Repubblica francese per la cerimonia di lancio della politica nazionale incentrata sulla cooperazione tra attori pubblici e privati ​​per re-industrializzare il paese.

Nel 2007, il lancio di una nuova regolamentazione a favore dei biocarburanti ha stimolato, su iniziativa di Cristal Union e Blétanol (unione delle cooperative francesi di cerealicoltori), la costituzione di Cristanol, che gestisce nel sito un impianto per la produzione di etanolo derivato da un mix di barbabietola da zucchero e cereali. Pochi anni dopo, nel 2011, questo stesso ambiente favorevole ha portato alla creazione del progetto Futurol da parte della società Procethol 2G e alla costruzione del suo impianto pilota.

Inoltre, dal 2012 un significativo sostegno finanziario da parte delle autorità locali (Consiglio regionale Champagne-Ardenne, Consiglio dipartimentale della Marne e Area metropolitana di Reims) ha consentito l’avvio di un Centro di eccellenza per le biotecnologie industriali (Cebb), il quale, insieme al dimostratore industriale Biodemo, costruito nel 2010, ha reso possibile per Ard (Agro-Industrie Recherches et Développements, una struttura di ricerca privata di proprietà di grandi gruppi agroalimentari francesi e delle cooperative agricole regionali) lo sviluppo di processi biotecnologici su scala industriale.

Più di recente, la Fondazione Jacques de Bohan è stata istituita da Vivescia e Cristal Union. Il suo primo obiettivo è la promozione del concetto di bioraffineria come strumento industriale integrato per l’uso ottimale della produzione agricola.

Le misure di sostegno

Uno degli obiettivi prioritari che si pone la strategia francese sulla bioeconomia è comunicare adeguatamente alla società il fermento di cui il paese è protagonista sul fronte industriale e della ricerca. Oltre a ciò, è avvertita con forza la necessità di “precisare e valorizzare le esternalità positive dei bioprodotti” (attenuazione dei cambiamenti climatici, manutenzione dei territori, impiego locale, riduzione della dipendenza dalle fonti fossili, sostenibilità e rinnovabilità delle risorse, minore impatto sanitario e ambientale, protezione contro i rischi naturali e fisici, preservazione delle risorse idriche, valorizzazione degli scarti), dando sostegno alla loro domanda attraverso un sistema di appalti pubblici verdi e un sistema di etichettature e di norme su misura per le esigenze delle imprese e del mercato. Come già fatto, del resto, con il piano industriale “Chimica verde e biocarburanti”, che ha portato alla legge sulla “Transizione energetica e la crescita verde”, attraverso cui sono state introdotte misure per sostenere l’impiego dei bioprodotti nel quadro dei mercati pubblici tramite l’analisi della loro performance ambientale e il loro contenuto biologico. Con la stessa legge, voluta da Ségolène Royal, ministro dell’Ecologia, dello Sviluppo sostenibile e l’Energia nel governo Hollande, è stata consentita, a partire da gennaio di quest’anno, la commercializzazione dei sacchetti ultrasottili per ortofrutta, carni e pesce solo se biodegradabili e idonei al compostaggio domestico, prodotti in parte con materie prime rinnovabili: 30% dal 1° gennaio 2017, 40% dal 1° gennaio 2018, per poi salire al 50% dopo il 1° gennaio 2020 e al 60% a partire dal 1° gennaio 2025.

Il paese che ha, di fatto, segnato il passaggio all’età contemporanea entra nel Terzo millennio con l’ambizione di porsi alla guida di una nuova rivoluzione industriale: quella guidata dall’impiego delle risorse biologiche. La nuova force de frappe di Parigi è la bioeconomia.

A bioeconomy strategy for France, tinyurl.com/mth5njc

3Bi, www.3bi-intercluster.org/about-3bi


Intervista a Julien Dugué, ministero francese dell’Agricoltura, dell’Industria Alimentare e del Patrimonio Forestale

di M. B.

Foto: Pascal Xicluna/Min.Agri.Fr

Coinvolgere è la strategia vincente

Julien Dugué è il responsabile per la bioeconomia e la bioindustria nel ministero francese dell’Agricoltura, dell’Industria Alimentare e del Patrimonio Forestale. Coordina il lavoro interdipartimentale sulle strategie nazionali per la bioeconomia. “Materia Rinnovabile” l’ha intervistato per approfondire come le politiche francesi ne favoriscono lo sviluppo.

Che ruolo gioca la bioeconomia nella strategia di crescita sostenibile della Francia?

“Diversi settori hanno già un forte orientamento verso le soluzioni a base biologica: bioenergia, prodotti bio per l’edilizia e la chimica. Con la strategia nazionale questo ruolo diventa più importante e visibile. La strategia porterà anche maggiore coerenza tra le politiche pubbliche che puntano a sviluppare gli utilizzi delle biomasse.”

E quale è il ruolo del settore agroalimentare nella bioeconomia?

“Dal punto di vista della Francia, le catene di valore agroalimentari sono indubbiamente parte della bioeconomia: l’alimentazione è uno degli impieghi per la biomassa e dobbiamo considerarlo attentamente perché è il più strategico. Inoltre, le industrie agroalimentari rappresentano anche attori importanti quando si parla di prodotti a base biologica: questo potrebbe offrire nuove opportunità di valorizzazione o un modo molto interessante per utilizzare i flussi collaterali di materiali provenienti dalla lavorazione delle materie prime alimentari. Gli usi, alimentari e non, devono essere considerati contemporaneamente, in maniera sinergica.”

Quale è il piano di azione del governo per implementare appieno la strategia?

“Oltre ad azioni specifiche finalizzate a sviluppare usi innovativi delle biomasse, puntiamo a spingere le persone a collaborare in un approccio sistemico e a coordinare le loro azioni. Porteremo a termine questo lavoro grazie a un piano d’azione operativo.”

Quali sono le politiche in vigore in Francia per supportare la bioeconomia? E il ruolo delle regioni a questo proposito?

“Diverse politiche nazionali supportano lo sviluppo della bioeconomia: la nuova legge per la transizione energetica e la crescita verde, le politiche industriali e quelle agricole e forestali. La strategia per la bioeconomia sosterrà e coordinerà queste diverse iniziative. Anche le regioni sono molto importanti perché gestiscono strumenti per lo sviluppo economico, l’innovazione e sono a un buon livello per sviluppare progetti intelligenti nella bioeconomia. Vogliamo davvero aiutarle a realizzare i loro progetti.”

I punti forti del suo paese nella bioeconomia?

“La Francia ha una consistente produzione di biomasse nei settori agricolo, forestale e marino. Gli attori economici sono già in campo con progetti concreti. E, ultimo ma non meno importante, le politiche su ricerca e innovazione sono molto forti e si lavora parecchio nell’ambito della bioeconomia.”

Se le persone non vengono coinvolte, è davvero difficile mettere in campo tutto il necessario per potenziare la bioeconomia. Qual è la percezione della bioeconomia da parte dell’opinione pubblica francese? Ci sono piani di istruzione e formazione?

“Siamo totalmente d’accordo su questa affermazione. La bioeconomia come approccio globale non è molto diffusa nella società francese. Alcuni prodotti della bioeconomia sono ben conosciuti (biocarburanti, biomasse legnose, sacchetti di bioplastica), ma ci sono tuttavia alcune reazioni negative. Per questo motivo, la comunicazione in diversi settori della società (ong, scuole, università, consumatori) è uno dei pilastri della strategia francese al riguardo.”


Intervista a Boris Dumange, direttore generale di Iar Pole

di M. B.

Foto: Iar

Iar, catalizzatore dell’innovazione

Impegnato fin dalla sua nascita sullo sviluppo della chimica a base vegetale e delle biotecnologie industriali, il cluster Iar (Industries et Agro-Ressources) sta ora concentrando i suoi sforzi nella realizzazione di bioraffinerie competitive: una fonte di sviluppo economico regionale.

“Materia Rinnovabile” ha intervistato Boris Dumange, dal 2014 direttore generale dello Iar, il cluster della bioeconomia francese. Entrato a far parte dello Iar nel 2010 come vicedirettore del settore gestionale, in precedenza Dumange aveva lavorato per la Camera del Commercio e dell’Industria del dipartimento francese di Aisne dove era responsabile di attività di intelligence nel business.

Alla fine anche la Francia si è dotata di una strategia nazionale per la bioeconomia. Qual è la sua opinione al riguardo?

“La Francia è davvero uno degli ultimi importanti ‘Stati membri biobased’ dell’Unione europea a pubblicare delle linee guida ufficiali per la produzione e la valorizzazione di risorse rinnovabili. Ma i francesi non hanno aspettato una strategia per essere tra i maggiori esperti mondiali nella bioeconomia. Le autorità nazionali e regionali, specialmente nelle regioni Hauts-de-France e Grand Est, hanno una lunga storia in fatto di supporto allo sviluppo e alle industrie biobased. L’adozione della strategia è un nuovo forte segnale del fatto che la Francia è un attore chiave nel campo della bioeconomia e speriamo che questo contribuisca a rafforzare la sua posizione come uno dei paesi leader a livello mondiale.”

Quali misure dovrebbe introdurre a breve termine il governo per promuovere il pieno sviluppo della bioeconomia francese?

“Il governo ha annunciato la sua intenzione di sviluppare un piano di azione nei prossimi mesi e di fondare un consiglio nazionale per la bioeconomia, mettendo insieme industrie, ong, accademici e istituti di ricerca come anche decisori politici a livello locale, regionale e nazionale.

Come catalizzatori dell’innovazione, allo Iar riteniamo che servano strumenti e meccanismi finanziari per potenziare l’innovazione e gli investimenti nelle catene di valore a base biologica esistenti e in quelle che nasceranno. Il governo ha recentemente varato il suo programma pluriennale per il supporto alla ricerca, l’innovazione e l’industria (PIA3). Ora è importante che le priorità della strategia bioeconomica si riflettano in questo programma guida.

Anche l’incremento dell’utilizzo di innovazioni biotecnologiche da parte del mercato è di importanza cruciale. Le autorità pubbliche nazionali e regionali potrebbero avere un ruolo chiave attraverso l’acquisto da parte del settore pubblico di prodotti innovativi, sia per applicazioni alimentari, come proteine a base vegetale, sia industriali. Tali misure contribuirebbero in maniera significativa al rafforzamento della bioeconomia.”

Allo stato attuale delle cose, quali sono i punti forti e quelli deboli della bioeconomia in Francia?

“La bioeconomia francese è solidamente radicata nel settore e competitiva. Nella principale potenza agricola europea (22,9% della produzione di cereali, 32,9% di quella di barbabietole da zucchero e 24,5% di quella di colza e di rape), la bioeconomia rappresenta 1,9 milioni di posti di lavoro e un giro d’affari da oltre 300 miliardi di euro all’anno. È un’occasione unica per le regioni francesi per consolidare le loro economie e offrire opportunità agli agricoltori per diversificare i loro introiti.

La Francia è anche la patria di diverse eccellenze nel settore biobased e di alcune grandi cooperative agricole e industrie agroalimentari che sono coinvolte nella bioeconomia. Inoltre il paese può anche contare su un settore dell’innovazione ad alte prestazioni. Nelle sole regioni Hauts-de-France e Grand Est, dove lo Iar è particolarmente attivo, abbiamo sviluppato una delle offerte a più ampio raggio e integrative al mondo per accelerare l’innovazione riguardo alla maggior parte delle materie prime. Sono stati sviluppati impianti e programmi per l’innovazione come Pivert, Improve o B.R.I. di Pomacle-Bazancourt come anche laboratori di ricerca e sviluppo, impianti pilota e dimostrativi, dimostrativi con capacità fino a 180 metri cubi e TRL7 (TRL – Technology Readiness Level – indica il livello di maturità dell’impianto; il 7 è il livello System prototype demonstration in operational environment, ndr).

Tra gli elementi di debolezza, il fatto che, come in molti altri paesi europei, la bioeconomia rimane un concetto abbastanza astratto per molti cittadini e consumatori, anche se è parte della loro vita quotidiana. La strategia punta a coinvolgerli maggiormente in futuro: crediamo che questo possa contribuire a renderla più inclusiva e tangibile per le persone.”

Che ruolo gioca nella bioeconomia francese il piano industriale “Chimica verde e biocarburanti”? E qual è il ruolo delle regioni?

“Il Piano Chimica verde e biocarburanti era parte di 34 piani per potenziare l’industria francese, successivamente fusi in 9 soluzioni che rientrano nella ‘NFI’ (Nouvelle France Industrielle è la politica di reindustrializzazione lanciata nell’aprile 2015). Due di queste soluzioni sono fortemente interconnesse con la bioeconomia: quella sulle ‘nuove risorse’ che tratta le applicazioni non alimentari della bioeconomia come la chimica a base biologica, materiali biobased e biocarburanti. E la soluzione riguardante il ‘cibo intelligente’ in cui vengono affrontate importanti sfide come quella delle proteine a base vegetale. Gli attori della bioeconomia francese sono fortemente coinvolti nelle discussioni su queste due soluzioni, poiché queste sono un mezzo per implementare alcune delle priorità della strategia mediante azioni e misure. Per esempio lo Iar ha giocato un ruolo fondamentale nel piano ‘Proteine del futuro’ – che fa parte delle soluzioni inerenti al ‘Cibo intelligente’ – e nell’impegno del governo francese e di un consorzio di aziende private per rendere la Francia uno dei paesi leader mondiali nel campo delle proteine.

Le regioni sono essenziali nello sviluppo della bioeconomia francese. Regioni come Hauts-de-France e Grand Est hanno percepito la bioeconomia come una delle loro priorità assolute: per più di 30 anni, hanno supportato le grandi iniziative nel settore biobased e i progetti di bioeconomia.”

Uno dei temi centrali affrontati nella strategia è l’informazione e la diffusione della bioeconomia, sul quale anche la Commissione europea sta concentrando i propri sforzi. Cosa serve per relazionarsi con l’opinione pubblica?

“La bioeconomia non è niente di nuovo. Esiste già, ma è diventata una priorità politica in Europa e negli Stati membri. Attraverso plastiche, cibi, detergenti, detersivi e molte altre applicazioni, è parte della vita quotidiana di tutti i cittadini. Ma semplicemente loro non lo sanno.

La visione della bioeconomia dello Iar è inclusiva e profondamente legata ai territori locali, e contribuisce quindi a una crescita verde e sostenibile, alla creazione di posti di lavoro e anche alla rivitalizzazione di aree rurali. La bioeconomia sarà sostenuta dai cittadini solo se si rendono conto dei suoi vantaggi e del valore aggiunto. Grandi iniziative di comunicazione potrebbero probabilmente contribuire a una maggiore consapevolezza riguardo alla bioeconomia.”

www.iar-pole.com


Intervista a Marc Delcourt, co-fondatore e amministratore delegato di Global Bioenergies

di M. B.

Tutto è iniziato con Pasteur

Global Bioenergies è una delle imprese più dinamiche nel panorama della bioeconomia europea. Fondata nel 2008 nel Biocluster Évry Génopole, la società guidata da Marc Delcourt è l’unica nel Vecchio Continente che sta sviluppando un processo per convertire le risorse rinnovabili in idrocarburi attraverso la fermentazione. Inizialmente la società ha concentrato i propri sforzi sulla produzione di isobutene, uno dei più importanti building block petrolchimici convertibili in combustibili, plastica, vetro organico ed elastomeri. Più recentemente si è dedicata anche alla produzione di propilene, butadiene e altri membri della famiglia delle olefine gassose, molecole chiave nel cuore dell’industria petrolchimica. “Materia Rinnovabile” ha intervistato il suo amministratore delegato e co-fondatore, Marc Delcourt.

Qual è il suo parere sulla strategia per la bioeconomia presentata dal governo francese?

“La strategia ha il merito di fornire un quadro di riferimento al settore, però la bioeconomia in Francia non è nata certo lo scorso gennaio, ha radici molto solide nella storia. La microbiologia è un settore scientifico rilevante sin dai tempi di Louis Pasteur e il settore agroalimentare è alla base della stessa economia francese. La Francia dispone di numerosi strumenti per sviluppare la bioeconomia, abbondantemente messi in campo negli ultimi anni: dal supporto allo sviluppo dei biocarburanti avanzati, al sostegno alle imprese innovative. Nel 2013 la mia impresa ha ricevuto fondi dal governo per 4 milioni di euro nell’ambito del programma Investissements d’Avenir.”

Cosa si aspetta adesso in termini di misure politiche di supporto alla bioeconomia a livello francese ed europeo?

“Credo che il sostegno ai biocarburanti avanzati vada incrementato fino a quando essi non potranno essere competitivi sul mercato. La Francia recentemente ha deciso di incrementare il tetto dei biocarburanti al 7,5%, e io penso che questa sia una buona notizia che aiuterà l’intero settore, incluso chi come noi è focalizzato sull’innovazione. Inoltre penso possa essere un ottimo incentivo alla bioeconomia introdurre un sistema di appalti pubblici verdi, come il Biopreferred degli Usa. Noi adesso stiamo esplorando in Francia e in Europa tutti gli strumenti messi in campo negli scorsi anni per finanziare la costruzione di impianti commerciali primi nel loro genere. Penso che la chiave sia qui, perché stiamo parlando di grandi investimenti (tipicamente, 100 milioni di euro per impianto). I meccanismi di decisione per supportare le innovazioni che hanno raggiunto questo stadio di maturità saranno determinati.”

Può raccontarci la storia della società?

“Siamo partiti nel 2008 raccogliendo il primo capitale di rischio in Francia per sviluppare il nostro progetto. Allora abbiamo dimostrato che eravamo in grado di insegnare ai batteri come produrre idrocarburi, e alla fine, abbiamo raggiunto il livello di prototipo. Poi, abbiamo raccolto altri fondi e quindi, nel 2011, abbiamo quotato in Borsa la società. Ciò ci ha consentito di passare progressivamente dallo sviluppo in laboratorio allo scale-up industriale. Lo scorso novembre abbiamo ultimato la costruzione del nostro impianto dimostrativo da 100 tonnellate/anno di isobutene a Leuna, in Germania, anche grazie a un finanziamento di 5,7 milioni di euro ottenuto dal ministero tedesco della Ricerca e a un prestito di 4,4 milioni concesso da un consorzio di banche francesi.”

Costruito l’impianto di Leuna quali sono i prossimi passi per la Global Bioenergies?

“Nei prossimi mesi – e anni – l’impianto di Leuna ci permetterà di validare ulteriormente la tecnologia in ambiente industriale producendo lotti su scala della tonnellata. Questi campioni di prova saranno necessari ai diversi attori industriali per validare le specifiche del nostro prodotto. Questa è la ragione per cui ci aspettiamo numerose nuove collaborazioni, sulla scia di quelle già attive con Clariant nel campo della chimica, con Butagaz nel campo del gas domestico, con Arlanxeo in quello degli pneumatici, con Saudi Aramco in quello degli idrocarburi, con Lantmännen Aspen in quello dei biocarburanti, con Preem e Sekab nei biocarburanti da fonti lignocellulosiche e con L’Oréal in quello della cosmetica.”

A febbraio avete concluso l’acquisizione della società olandese Syngip. Qual è il valore strategico di questa operazione?

“Syngip sviluppa un processo biotecnologico per convertire le fonti di carbonio gassoso in olefine leggere. Il processo si basa su un microrganismo proprietario capace di metabolizzare l’anidride carbonica (CO2) e il monossido di carbonio (CO) in una vasta gamma di biochemicals ad alto valore, come isobutene, isoprene, butadiene e propilene. L’intero team Syngip sarà assegnato allo sviluppo del processo per l’isobutene di terza generazione, quello derivante dalla CO2. In questo quadro si inserisce anche la nostra collaborazione con l’americana LanzaTech.”

Quali sono le vostre attese per il 2017?

“Ci aspettiamo di andare avanti con il progetto del nostro primo impianto commerciale, attraverso IBN-One, la joint-venture che abbiamo creato con Cristal Union (il quarto player nel mercato dello zucchero in Europa). Ci aspettiamo anche di progredire in modo significativo nella diversificazione delle risorse utilizzabili nel nostro processo. In particolare, io mi aspetto di progredire significativamente nell’uso delle risorse di seconda generazione (paglia di grano, trucioli di legno ecc.).”

www.global-bioenergies.com