Un continente liquido. Così Fernand Braudel, celebre storico francese della scuola delle Annales, ha definito il Mediterraneo. Un continente fatto di acqua che bagna tre continenti diversi ed è pesantemente minacciato dagli effetti del cambiamento climatico. Se è esistita ed esiste un’economia mediterranea, allora esiste anche una bioeconomia mediterranea, saldamente interconnessa al territorio, in grado di costruire un nuovo ponte tra la sponda nord e quella sud, nel segno di uno sviluppo economico diffuso e rispettoso dell’ambiente. 

Il 2016 ci consegna un Sud Europa protagonista in questo settore. I governi di Spagna e Italia hanno finalmente raccolto la sfida lanciata dall’Unione europea nel 2012, quando venne presentata la strategia “Innovare per una crescita sostenibile: una bioeconomia per l’Europa”, facendo entrare la bioeconomia nella loro agenda politica. 

Infatti prima delle strategie di Francia e Gran Bretagna, sono arrivate quella spagnola a marzo e quella italiana a novembre, entrambe basate sull’agroalimentare e sulla chimica verde, la quale sta già dimostrando di essere volano di crescita e occupazione: da Montmeló in Catalogna, dove è presente l’impianto per la produzione di acido bio-succinico della Succinity GmbH, joint venture tra Basf e Corbion, a Porto Torres in Sardegna dove si trova la bioraffineria di Matrìca, joint venture tra Versalis e Novamont, fino a Gela in Sicilia dove è in corso la riconversione alla chimica verde della raffineria del Gruppo Eni. 

Ma è il mare Mediterraneo il vero, grande protagonista della bioeconomia del Sud Europa, riserva di materie prime rinnovabili ancora in larga parte da esplorare, e al tempo stesso diretto beneficiario della nuova economia basata sulle risorse biologiche, che consentirà un minore impatto ambientale sulle sue acque. Quelle acque oggi protagoniste di uno dei fenomeni migratori più imponenti degli ultimi decenni, via verso la libertà per milioni di profughi che troppo spesso si trasforma in luogo di tragedia.

“Il mar Mediterraneo – si legge nella strategia ‘La bioeconomia in Italia: un’opportunità unica per connettere ambiente, economia e società’ – è un bacino con caratteristiche bio-geo-fisiche uniche. Contribuisce in modo preminente all’economia europea sopportando il 30% del commercio globale via mare con più di 450 porti-terminali, ospitando il secondo più grande mercato del mondo per le navi da crociera, la metà della flotta da pesca dell’Ue e un patrimonio culturale e naturale unico. Al contempo il Mediterraneo si trova ad affrontare sfide importanti ambientali legate ai cambiamenti climatici, al crescente traffico marittimo e all’inquinamento, al sovrasfruttamento delle risorse ittiche, alle invasioni di specie aliene, per esempio. Allo stesso tempo, la biodiversità locale e le risorse di acque profonde, il turismo, la produzione di energia da fonti rinnovabili, l’acquacoltura marina rappresentano importanti opportunità locali per la crescita e l’occupazione blu, ancora non efficientemente sfruttate”.

La strategia italiana, inoltre, ricorda come la Bluemed initiative, avviata nel 2014 su impulso della presidenza italiana dell’Unione coinvolgendo gli Stati membri dell’area e il Portogallo, abbia consentito di “trarre vantaggi dall’avere una comune agenda strategica di ricerca e innovazione. A breve, questa iniziativa sarà estesa anche ai paesi della sponda sud, perché l’intera area possa condividere gli obblighi e le opportunità di una crescita sostenibile e duratura dell’economia del mare Mediterraneo. Così, la bioeconomia potrebbe notevolmente contribuire alla rigenerazione, allo sviluppo economico sostenibile e alla stabilità politica dell’area e, quindi, alla riduzione dei fenomeni di migrazione. Per esempio con la realizzazione di progetti di investimento locale ad alto impatto infrastrutturale e sociale, come espresso nel documento Migration Compact proposto dal governo italiano (un contributo per una strategia europea sull’immigrazione inviato al presidente dell’Unione europea Jean-Claude Juncker, ndr)”.

La stesura della strategia ha anche rappresentato un’opportunità fondamentale per l’Italia di rafforzare la propria competitività e il proprio ruolo nel promuovere la crescita sostenibile in Europa e nel bacino del Mediterraneo. È il frutto di una collaborazione interministeriale, che ha coinvolto il ministero dello Sviluppo economico, delle Politiche agricole, alimentari e forestali, il ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca e il ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare. Oltre ai maggiori attori nazionali della bioeconomia, tra cui l’agenzia per la Coesione territoriale, la conferenza delle Regioni e i cluster tecnologici nazionali della Chimica verde (Spring) e dell’Agroalimentare (Cl.an).

La bioeconomia offre un’importante opportunità per la crescita e l’occupazione in Europa, anche se la regione mediterranea è in ritardo rispetto al Nord Europa, nonostante il grande potenziale in termini di disponibilità di prodotti agricoli, forestali e risorse biologiche marine, nonché terreni rurali e marginali. È il messaggio univoco che è emerso lo scorso 9 novembre in un evento organizzato dal Cluster italiano della chimica verde Spring, dalla Biobased Industries Joint Undertaking, dalla Commissione europea e dall’Università di Bologna nell’ambito di Ecomondo 2016 a Rimini.

 

 

Cluster Spring: strategia e obiettivi

Nato in risposta all’avviso promosso dal ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca nel 2012 per lo sviluppo e il potenziamento di cluster tecnologici nazionali, il cluster italiano della chimica verde Spring (acronimo di Sustainable Processes and Resources for Innovation and National Growth) include circa cento realtà che a diverso titolo operano nel campo della bioeconomia e rappresentano l’intera filiera della chimica da fonti rinnovabili, a garanzia di un approccio multidisciplinare fondamentale per lo sviluppo del settore.

Il cluster, di cui è presidente Catia Bastioli, amministratore delegato di Novamont, stimola azioni di ricerca, dimostrative, di trasferimento tecnologico, divulgazione e formazione, in costante dialogo con gli attori del territorio, promuovendo a livello locale, nazionale e internazionale un modello di economia circolare incentrato su filiere innovative integrate, sostenibili e multisettoriali, partendo dalla raccolta dei bisogni delle aree locali e dall’interazione con tutte le realtà della filiera biobased. È associate member del Biobased Industries Consortium e partecipa come osservatore all’Expert Group on Biobased Products della Commissione europea.

www.clusterspring.it

 

“Serve – ha dichiarato Philippe Mengal, direttore esecutivo della BBI JU – una maggiore interconnessione tra i paesi del Mediterraneo, sul modello nord-europeo. Da questo punto di vista Horizon 2020 e la BBI JU offrono importanti opportunità per sostenere azioni di Ricerca e Innovazione a misura locale, creando interconnessioni tra agricoltura sostenibile, foresta, industria e crescita dell’economia del mare”.

“Il punto – aggiunge Jose Manuel Gonzalez Vicente del Centro per lo sviluppo tecnologico industriale, che fa capo al ministero spagnolo dell’Economia, dell’Industria e della Competitività – è che la bioeconomia non è ancora adeguatamente riconosciuta come un’opportunità nel Mediterraneo”. La pensa allo stesso modo Fabio Fava, docente di Biotecnologie industriali all’Università di Bologna e rappresentante italiano per la bioeconomia in Horizon 2020 e nella BBI JU, secondo il quale “il potenziale per la bioindustria nel Mediterraneo è enorme, occorre però un coordinamento maggiore tra i paesi del Sud Europa membri dell’Unione, a partire dai tre più grandi Francia, Italia e Spagna”.

“Nell’area – sottolinea Fava – ci sono 3,5 miliardi di ettari di terreno degradato e abbandonato utilizzabili per consentire nuovo sviluppo rurale, una consolidata industria alimentare e bioraffinerie integrate nel territorio, che potrebbero essere alimentate con gli abbondanti scarti dell’agricoltura, dalla pesca, dall’acquacoltura. È fondamentale però avere una visione condivisa tra tutti i paesi dell’area, che valorizzi e completi quanto già fatto dall’iniziativa BlueMed dedicata alla crescita dell’economia del mare Mediterraneo e dal programma Prima (Partnership for Research and Innovation in the Mediterranean Area) per l’agricoltura, le acque interne e l’industria alimentare, che coinvolge anche i paesi della sponda sud, come Marocco, Libano o Egitto”.

I segnali economici in quest’area sono incoraggianti. “Se si continuerà a promuovere l’integrazione e la collaborazione all’interno dei paesi del Mediterraneo – garantisce Donato Iacovone, amministratore delegato di EY in Italia e managing partner dell’area mediterranea – nei prossimi anni la mappa mondiale sarà arricchita dalla nascita di un nuovo mercato emergente”. Il Rapporto BaroMed 2015 realizzato da EY prevede nell’immediato futuro una crescita positiva e gli investitori sembrano dimostrare interesse nella regione. “Grazie a un mercato non ancora saturo e alle risorse presenti, non solo l’Europa e gli Stati Uniti, ma anche Cina e India considerano l’area come una meta altamente attrattiva per gli investimenti”.

La ricerca di EY ha coinvolto 156 dirigenti di 20 paesi del mondo, i quali considerano il Mediterraneo un’area più attrattiva dell’Europa (51%), dell’Africa (60%) e dell’Asia (52%). Secondo Iacovone, “grazie a una posizione strategica rispetto ad Europa, Africa e Asia, e con un mercato del lavoro in crescita e con le grandi risorse presenti, la regione offre un ottimo compromesso tra crescita e costi. Nell’immediato futuro, infrastrutture più efficaci e una maggiore stabilità aiuteranno a creare più posti di lavoro sia nell’industria sia negli altri settori”.

La bioeconomia, quindi, può essere la chiave di volta per assicurare crescita economica e nuovi posti di lavoro, preservando la ricchezza di biodiversità del Mediterraneo, che è ancora uno dei più importanti ecosistemi del mondo. “Il presupposto imprescindibile della bioeconomia – ha ribadito a Rimini Catia Bastioli, amministratore delegato di Novamont e presidente del Cluster Spring – è che suolo, acqua e aria non devono essere danneggiati perché rappresentano il patrimonio naturale su cui si fonda. Distruggere queste risorse significa distruggere l’economia stessa. Per questo bisogna puntare su filiere che rispettino la sostenibilità del territorio, in grado di fornire biomassa sostenibile. La bioeconomia va intesa come rigenerazione territoriale, come uso efficiente delle risorse. Non ci può essere competizione con il cibo, ma sinergia. La bioeconomia rappresenta una grande opportunità per riconnettere economia e società e per la valorizzazione delle diversità”.

Come la stessa Bastioli ha dichiarato all’inaugurazione della bioraffineria di Bottrighe di Adria, la prima al mondo per la produzione di butandiolo da biomassa, “la bioeconomia è democrazia”. Per il Mediterraneo non potrebbe esserci occasione migliore. 

 

“La bioeconomia in Italia: un’opportunità unica per connettere ambiente, economia e società”, tinyurl.com/j7az3zs

Migration compacttinyurl.com/ho6whzl

Biobased Industries Joint Undertaking, www.bbi-europe.eu

Rapporto BaroMed 2015 a cura di EY, tinyurl.com/znqnlk4