Nel 2020 saranno passati dieci anni dalla pubblicazione di Merchants of Doubt, un libro che in Usa e in Europa ha lasciato il segno per la sua capacità di far riflettere sugli effetti della verità e sull’uso del dubbio come pratica narrativa e semiotica per decostruire la ricerca scientifica per scopi politici ed economici. Attuale oggi più che mai – ragione per cui viene pubblicato in Italia da Edizioni Ambiente con il titolo Mercanti di dubbi – in un’epoca di bufale, fake news, troll, psicografia, il libro è una vera e propria guida per capire come opera la macchina del dubbio per favorire un mercato, un’impresa, una corrente politica. In un mondo dove la comunicazione si fa labirinto degli specchi, dove la camera dell’eco distorce e amplifica chi urla più forte, dove il giornalismo si confronta con la post-verità dei social media, degli influencer, degli ingegneri del consenso, leggere Mercanti di dubbi diventa una necessità. E per capire perché il mercato del dubbio sia tutt’oggi in ottima salute abbiamo raccolto in questa intervista esclusiva l’opinione di Naomi Oreskes, co-autrice del libro insieme a Eric M. Conway.

In Mercanti di dubbi ha raccontato come grazie a piccoli gruppi di scienziati ed esperti si sono create campagne di comunicazione molto efficaci utilizzate da attori politici e economici per distrarre l’opinione pubblica dai reali pericoli messi in luce dalle scienze mediche e ambientali su temi come gli effetti del fumo, l’esistenza delle piogge acide, l’entità del buco nell’ozono, e soprattutto, le conseguenze del riscaldamento globale. Che cosa è cambiato a distanza di quasi dieci anni dalla pubblicazione del libro?

“Le cose sono ulteriormente peggiorate. Scrivendo il libro, avevamo identificato nella decostruzione dell’emergenza climatica il problema centrale della politica americana. Molta gente non riteneva che il ruolo dei negazionisti fosse la chiave dell’inazione per fermare le emissioni climalteranti, criticando fortemente il libro. Ebbene dieci anni dopo stiamo vedendo come questo discorso negazionista abbia costruito basi solide, portando al governo un presidente negazionista, circondato da un entourage che apertamente nega la scienza e sta facendo di tutto per spingere gli Usa fuori dall’Accordo di Parigi. Per molti anni la leadership del partito repubblicano è stata scettica sul climate change, ma è solo con Donald Trump che lo scetticismo e il dubbio ha raggiunto un livello tale da portare una parte della popolazione a credere che tutta la questione climatica sia ‘una bufala ordita dai cinesi’. La cosa peggiore è che in privato molti politici repubblicani ammettono che l’emergenza climatica sia reale e che l’evidenza scientifica sia inconfutabile. Ma sono relegati in un angolo da un discorso mediatico più amplio. Altri hanno negato l’evidenza per così tanti anni che non sanno nemmeno più valutare la possibilità che stia davvero accadendo, nonostante i sondaggi dicano che sempre più americani ritengono che la scienza abbia ragione. Questi politici sono incapaci di discutere apertamente sul tema. Figuriamoci di agire! E questo vale per tanti altri governi in tutto il mondo, alla stregua di quello americano.”

Ha mai pensato di aggiornare il libro o di scrivere un sequel per continuare a investigare i temi di Mercanti di dubbi?

“Il prossimo anno negli Usa uscirà un’edizione con prefazione di Al Gore e una nuova postfazione. Rielaborare e aggiornare il libro non ha senso. Quello che abbiamo scoperto è già tutto nell’edizione che i lettori hanno in mano. Sono i meccanismi la chiave. Nella postfazione semplicemente affrontiamo il tema del dubbio scientifico con un duplice approccio ottimistico e pessimistico. Nello specifico raccontiamo la rivoluzione energetica della California negli ultimi dieci anni, che ha davvero fatto passi da gigante nella transizione verso un’economia fondata sulle energie rinnovabili e risparmio energetico; cambiamenti più rapidi di quanto ipotizzato, con una quota di energie rinnovabili prodotte superiore al 50% (e con picchi fino all’80% nei giorni migliori). Questo contraddice il nonsense sul climanegazionismo che raccontiamo in queste pagine. L’economia californiana è una delle più forti degli Stati Uniti, con tassi di disoccupazione in linea con la media americana, in alcuni casi inferiori. Il caso della California prova che i mercanti del dubbio hanno usato argomentazioni inutili e falsificate. Allo stesso tempo però emergono nuove strategie di mistificazione, questa volta votate a negare l’efficacia delle rinnovabili: sono definite ‘poco affidabili, fonti intermittenti, inaffidabili in termini di sicurezza energetica nazionale’. Discorsi che associano l’uso delle rinnovabili a essere effeminati o ‘deboli’.”

Quale è l’assioma del libro che ancora oggi è assolutamente valido?

“Una delle cose più importanti emersa dalla stesura di Mercanti di dubbi è come l’ideologia neoliberista sia stata il fondamento di questi meccanismi negazionisti, sia che riguardino l’industria del tabacco sia legati al clima e alle energie rinnovabili, settori disparati mossi da un unico motore ideologico. Questa politica dell’economia priva di regole spiega e motiva perché l’evidenza sia stata negata da interessi specifici. Inoltre il libro ha mostrato come il negazionismo non sia una questione di analfabetismo scientifico, che può essere dunque risolta con maggiore ricerca scientifica o con spiegazioni più chiare e convincenti. Tutto ciò è stato fatto, ma nel caso del clima, non è servito. Per questa ragione quando abbiamo terminato il libro, Eric Conway ed io abbiamo iniziato a pensare a un lavoro su come l’ideologia neoliberista, così inadeguata per la nostra società, sia riuscita ad avere questo potere nella cultura americana ed europea in grado di distruggere regolamenti per la tutela della terra, dell’acqua, delle persone in favore di deregulation, detassazione, austerità e conquistando realtà influenti come il World Economic Forum e la Banca Mondiale e tanti altri enti che definiscono l’attività economica mondiale. Questo sarà il nostro prossimo lavoro dal titolo La magia del mercato. Una storia vera di un’idea falsa, che analizza come è nato il mercato, partendo dalle teorie di Friedrich Hayek e della Chicago School of Economics. Questo è il naturale sequel di Mercanti di dubbi, che di fatto sarà un prequel.”

Da un punto di vista di storia delle idee e delle ideologie gli ultimi dieci anni hanno visto l’arrivo di attori politici, da Trump a Farage, da Salvini a Duterte che hanno riportato in auge idee nazionaliste e sovraniste, in uno strano remix di neoliberismo nazionalpopolare, anti-scientismo, pensiero magico e ignoranza strutturale. Se prima il potere politico, come ben descritto nel libro, doveva avvalersi “di prestigiosi scienziati con titoli altisonanti” per produrre una contro-narrativa necessaria per il Capitale, oggi, con il boom orizzontatale dei social, dove uno vale uno e l’opinione di un blogger pesa quanto quella non di un ricercatore ma addirittura di panel di scienziati, il mercato del dubbio è sicuramente in forte crescita.

“Credo che il nostro lavoro sia importante perché spiega proprio questi meccanismi, che sono, come giustamente fai notare, terribilmente peggiorati. Il modo di operare di un piccolo gruppo di persone, non legittimate a parlare su una determinata questione, ma che per il fatto di avere un qualche tipo di conoscenza scientifica o di specializzazione, è diventato un virus che si è sparso come una pandemia contaminando svariati ambiti della conoscenza. Questo virus è stato sfruttato dai cosiddetti populisti per conquistare consenso e convincere le persone ordinarie che non devono dare fiducia agli esperti, che non ci si può fidare degli scienziati, definiti come un élite di teste d’uovo condiscendenti. In questo modo si è creata una situazione dove non si può dare fiducia a nessuno, dove la nozione di ‘fatto’ è messa in discussione e chi grida più forte ha ragione. Questo onestamente è davvero preoccupante. Una situazione davvero orwelliana, anche se George Orwell temeva che questa situazione distopica sarebbe giunta dall’Unione Sovietica o dalla Cina maoista. Invece oggi il doublespeak (linguaggio ambiguo che in realtà non comunica nulla, ndr) arriva dalla destra, un fatto che molti progressisti e liberali non hanno saputo anticipare e cui non hanno saputo reagire. Basta vedere la disinformazione impiegata per la vittoria della Brexit (con tecniche di guerriglia informatica portata avanti da società come Cambridge Analytica, nda). Come illustriamo nel libro, infondere il dubbio è davvero pernicioso, poiché in ogni caso io perdo e tu vinci, perché tutto quello che si vuole creare è confusione, non imporre una verità sull’altra, ma semplicemente confondere e spingere all’inazione questi meccanismi.”

I social media sono la macchina perfetta per amplificare questa strategia del dubbio?

“È difficile dire quanto pesino realmente. Quando abbiamo scritto il libro Facebook era ancora poco usato e Twitter non esisteva nemmeno. Eppure internet era già un motore importante di diffusione, e nel libro spieghiamo bene come funziona la camera dell’eco della disinformazione digitale. Uno spazio ristagnante ma senza ancore. D’altronde di questa confusione nella democrazia americana ne parlava già Alexis de Tocqueville nel 18° secolo. Dunque non è davvero un nuovo problema, i mezzi di comunicazione per creare disturbo si sono sempre trovati, sfruttando quanto a disposizione. Quello che si è diffuso è una cultura del sospetto, del dubbio, che esula dalla normale critica e confutazione. I social media sono l’ultima incarnazione, il mezzo più efficace data l’estrema diffusione.”

C’è anche molta incapacità nell’usarli: pochi riescono a distinguere fonti false da fonti attendibili. Mancanza d’istruzione, ma anche una totale incapacità politica a comprendere e regolare questo sistema, aprendo praterie a razzisti, pseudo-scienziati, malpancisti di ogni tipo.

“Concordo. La negligenza della classe politica è scioccante. Ma sono anche arrabbiata con il mondo dell’economia. In consessi come il World Economic Forum di Davos si parla spesso di come cambiare il mondo per il meglio. S’incontrano businessman che vogliono apparire come persone decenti, che ribadiscono che loro e i loro colleghi devono prendersi cura del pianeta e trasformarlo in un mondo migliore. Però poi c’è un silenzio assordante sul tema della disinformazione. Nessuno vuole regolarla. Continua a sussistere la nozione che se lasciamo fare al mercato tutto si sistemerà. In realtà questo è l’opposto di quanto noi sappiamo: i mercati funzionano quando sono regolati. Lo stesso Adam Smith, nel suo La ricchezza delle nazioni (del 1776, nda) diceva che monopoli e banche vanno regolate. Così la comunicazione.”

Regolare il mercato, qualsiasi mercato, è indubbiamente un argomento tossico nel dibattito americano.

“Abbiamo bisogno di regole sia per proteggere i lavoratori o l’ambiente, sia per proteggere il capitalismo, la libera competizione. I monopoli sono dannosi. Le persone sono però spaventate a parlarne. I politici temono che gli elettori non possano capire cosa significhi regolare il marketplace.”

Tanti cittadini non si fidano degli scienziati, nello specifico figure come i chimici dell’industria farmaceutica, i dottori nella ricerca sul cancro o sui vaccini, e purtroppo anche climatologi e biologi. Il libro mostra come numerosi esperti si sono prestati al settore privato lavorando per corporation e per istituzioni private, spesso con l’obiettivo di creare confusione o confutare ricerche dannose per il settore privato, con lo scopo di lucrare. Questo ha portato a una diffusa sfiducia nella scienza ufficiale. Come possiamo risanare questa frattura?

“Questa è un’ottima domanda. È ironico il fatto che alcune persone percepiscano in generale la scienza come troppo collusa con il settore privato. Una ricerca fatta dall’American Academy of Arts and Sciences negli Stati Uniti mostra come la gran parte dei cittadini ancora si fidi della scienza. Gli scienziati sono molto più rispettati di altri gruppi, come politici, giornalisti e imprenditori. Si diventa sospettosi quando sussiste la possibilità che gli scienziati abbiano interessi personali nella ricerca che stanno svolgendo. Attenzione però: se da un lato bisogna far crescere la fiducia del pubblico nella scienza, è altrettanto giusto che il pubblico sia scettico. I cittadini non sono idioti: capiscono che quando oggettività e indipendenza possono essere compromesse dalla dipendenza da finanziamenti privati è bene non fidarsi. In alcuni casi si sbagliano, in altri possono aver ragione. Dunque il problema non è delle persone ma della comunità scientifica, che deve affrontare chiaramente la questione. Serve maggiore trasparenza sulle fonti di finanziamento della ricerca e fissare linee guida che definiscano quando non è appropriato ricevere finanziamenti. Per esempio numerose università hanno adottato un indirizzo di questo tipo. Riviste come Science magazine non accettano contenuti sponsorizzati dall’industria del tabacco. Ma questa è solo la punta dell’iceberg: ci sono innumerevoli contesti che andrebbero studiati. Molte donne e uomini di scienza negano questo problema. Dicono: ‘siamo oggettivi, siamo scienziati, siamo indipendenti’. Va detto, tuttavia, che la scienza non è una virtù di per sé, e ogni finanziamento ricevuto non è necessariamente virtuoso per la scienza. Una questione resa complicata negli ultimi 20 anni a causa del calo di finanziamenti federali per la ricerca scientifica nelle università statali che ha limitato l’indipendenza. Questo ha spinto gli scienziati a cercare risorse nel settore privato per continuare il proprio lavoro. In alcuni casi sono nate partnership straordinarie, dove l’indipendenza dello scienziato è stata garantita. In altri casi no. Per questo credo che oggi serva una discussione seria su dove tracciare una linea rossa per questo tipo di partnership private.”

Quali sono i tre punti da tenere alla mente dopo aver letto questo testo?

“Il primo è prestare attenzione a come si crea confusione. Quando sentiamo qualcuno affermare ‘beh la scienza non è sicura al 100%, non c’è consenso’ deve scattare un allarme. Questa è la prima strategia del dubbio. Specialmente se a parlare non sono scienziati, bisogna prestare ancora più attenzione. Certo nella scienza alcune cose non sono definitive. Ma nei casi che includono la salute pubblica o l’ambiente se a parlare sono politici o industriali bisogna prestare extra attenzione.

Secondo punto: valutare la strategia. È pensata per confondere le acque più che dare una soluzione? La confusione è fatta per creare inazione. Dunque è bene evitare che l’argomento sia dibattuto in termini di scienza. Se ci fermiamo ad argomentare la scienza, l’inazione perdura. Consiglio sempre ai giornalisti scientifici e ambientali di non farsi trascinare nel dibattito sulla scienza, ma di concentrarsi sull’efficacia di pratiche attuali, siano essi il prezzo sul carbonio o le regolamentazioni sulle emissioni.

Il terzo punto è essere persistenti. Ogni azione importante richiede uno sforzo continuo. Basta vedere l’industria del tabacco: se abbiamo fatto progressi in Nord America ed Europa, oggi stanno contaminando il dibattito nel resto del mondo. Se ci vogliono fare dibattere sul fatto che il cambiamento climatico sarà irreversibile tra dodici o tra trent’anni noi dobbiamo concentrarci sulle soluzioni concrete a livello mondiale. Non abbiamo tempo, questo è il punto. E il dubbio indotto e non necessario ci fa perdere tempo utile e prezioso.”

Merchants of Doubt, www.merchantsofdoubt.org

Naomi Oreskes, Erik M. Conway, Merchants of Doubt, Bloomsbury 2010 https://www.bloomsbury.com/uk/merchants-of-doubt-9781596916104

Naomi Oreskes, Erik M. Conway, Mercanti di dubbi, Edizioni Ambiente 2019: www.edizioniambiente.it/libri/1277/mercanti-del-dubbio