Stop alle auto a benzina o diesel dal 2035, schema ETS (Emission Trading Scheme) che include le emissioni prodotte da traffico e riscaldamenti, comparto aereo e marittimo, una carbon border adjustment tax, obiettivo rinnovabili 40% al 2030. Sono le misure che più saltano agli occhi tra le proposte contenute nel pacchetto “Fit for 55” (Pronti per il 55%) presentato ieri dalla presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen e vari commissari.
Il goal è la riduzione entro il 2030 del 55% delle emissioni rispetto ai livelli del 1990, in vista dell’obiettivo della neutralità climatica per il 2050, obiettivi che sono legge Ue nel quadro del Green Deal. Certo per le associazioni ambientaliste l’obiettivo ideale sarebbe dovuto essere una riduzione del 65%, ma la partita politica è di per sé già complicata così. Basta vedere i commenti usciti sui giornali conservatori nostrani (e in tutta Europa), che attaccano la misura europea come un suicidio politico (il Foglio) o il pianto inconsolabile di Claudio Descalzi (AD di Eni), che nonostante abbia investito 5,7 miliardi sulle rinnovabili al 2024, ha ben pensato di attaccare il piano Fit for 55, per capire che non sarà facile far approvare la proposta attraverso il trilogo europeo.
“La transizione è una storia per ricchi, perché sono i ricchi che emettono di più”, ha spiegato Descalzi a Tempi. “L’Europa ha una Borsa per far pagare le emissioni, l’ETS. Eravamo a 20-25 euro per tonnellata, abbiamo toccato i 60 euro, arriveremo a 100 euro per tonnellata. Questo sta creando la morte nel sistema industriale, soprattutto per gli energivori”. I petrolieri si sentono feriti. Come se non fossero stati avvisati. Sono vent’anni che gli obiettivi di decarbonizzazione sono chiari, almeno dai tempi del Protocollo di Kyoto e solo ora iniziamo a parlare di acciaio verde o elettrificazione di larga scala. “Sosteniamo con convinzione la proposta della Commissione europea del pacchetto Fit for 55. Siamo decisamente in favore di target più elevati sulle Rinnovabili, come il 40% al 2030, di target specifici di Efficienza Energetica e dell’annunciato potenziamento del già esistente e funzionante ETS”, ha commentato Francesco Starace, Amministratore delegato di Enel. Segnale che chi era già pronto ha raccolto la sfida europea, facendone un’opportunità. Ma l’industrietta della confindustria fossile, i vecchi capitani d’azienda tronfi che hanno sempre pensato se la sarebbero cavata, come gli ingenui della Plastic Tax, hanno sbagliato i conti, e come tutti gli animali selvatici feriti, sono pericolosi.

Come scongiurare la rivolta sociale contro il Green Deal

La cosa più triste, però, è constatare l’assenza di un messaggio chiaro e incoraggiante dal Presidente del Consiglio Draghi o dal Ministro del MITE Cingolani. La stampa e i leoni da tastiera social si lanciano in attacchi contro la Commissione EU, ribadendo il rischio economico insito nella decabonizzazione (e ignorando i costi di vite e di stabilità politica legati al cambiamento climatico) e i dubbi legati allo stop delle auto a benzina, quando una buona parte delle compagnie automobilistiche hanno già buttato il cuore oltre l’ostacolo, come Stellantis. “I prezzi della CO2 potrebbero ancora crescere a tre cifre, influendo sulla competitività del sistema europeo, oltre che sull’equità sociale e sul lavoro”, ha spiegato Cingolani durante un question time alla camera, aggiungendo però che “il governo è pronto a intervenire, per contenere gli effetti negativi”. Certo dopo un piano da oltre 230 miliardi di euro ci si sarebbe aspettati un messaggio un po’ più ambizioso, del tipo: siamo pronti alla decarbonizzazione, abbiamo pianificato un piano che metterà i cittadini italiani al sicuro senza impattare eccessivamente sulle loro tasche.
Dice bene Luca Fraioli su La Repubblica che “esiste il timore di rivolta sociale contro un Green Deal che venga percepito come un insieme di balzelli e sacrifici in nome del clima, malcontento che potrebbe esser cavalcato dal fronte populista. Una preoccupazione che non riguarda solo il governo ma anche le associazioni ambientaliste, perché il raggiungimento degli obiettivi fissati dagli Accordi di Parigi richiede consenso e dunque misure capaci di ridurre i costi della transizione per i cittadini”. Gli occhi sono puntati sul “Fondo sociale per l’azione climatica” da 144 miliardi proposto dalla Commissione. Ma quello che serve oggi non sono solo risorse economiche, ma una narrativa politica condivisa, che sappia creare fiducia e far capire persino alle destre la necessità di queste misure (proprio loro, sono pronti a ricevere milioni di profughi per il clima?). Il governo ha il dovere di indicare come le risorse messe a disposizione potranno far risparmiare le famiglie italiane e sostenere soprattutto il Sud e le famiglie più deboli, dove Bonus 110% o bonus mobilità sono poco usati, spesso più per mancanza di informazione che di volontà.
Il governo ha 9 anni per costruire un modello italiano sostenibile sia economico che culturale. Se non ci riuscirà non è detto che il malcontento venga solo da fascisti e qualunquisti, ma il rischio di instabilità può arrivare anche da giovani, ecologisti e antagonisti, che non permetteranno al governo di svendere il futuro del paese e del pianeta. Cingolani avrà una grande responsabilità in tutto questo: gli auguriamo che con un colpo di reni sappia riprendere in mano la situazione e fare gli interessi degli Italiani, non di una minoranza di aziende ormai considerate una liability anche dalla BCE.