Che tipo di impatto avrà sull’Europa il Pacchetto economia circolare (CEP, Circular Economy Package)? Questo è attualmente il fondamentale interrogativo di cui si discute tra gli addetti ai lavori, ma a Bruxelles sembra esserci ottimismo su questo test finale. L’approvazione della normativa studiata per incrementare il riciclo, ridurre i rifiuti e promuovere l’economia circolare in Europa risale al 23 febbraio, più di due mesi dopo il raggiungimento dell’accordo sul CEP tra Parlamento europeo, Commissione europea e Consiglio europeo. Una volta ratificato il CEP stabilirà obiettivi giuridicamente vincolanti con scadenze chiare per il riciclaggio dei rifiuti e la riduzione dei quantitativi di rifiuti che sarà possibile smaltire in discarica. Questi obiettivi incrementeranno la percentuale di rifiuti urbani e di imballaggi riciclati, con obiettivi specifici per quanto riguarda il riciclaggio dei materiali utilizzati negli imballaggi. La normativa comprende anche obiettivi per ridurre la quantità di rifiuti urbani smaltita nelle discariche. Gli Stati europei dovranno raggiungere una percentuale di riciclo dei rifiuti urbani pari al 55% entro il 2025, al 65% entro il 2035. Sono previsti anche obiettivi specifici per tutti gli imballaggi (70%), la plastica (55%), il legno (30%), i metalli ferrosi (80%), l’alluminio (60%), il vetro (75%), la carta e cartone (85%). Altre misure comprenderanno la raccolta differenziata dei rifiuti tessili e dei rifiuti pericolosi, la raccolta differenziata o il riciclaggio alla fonte dei rifiuti organici. Tutto ciò dovrebbe dare anche un impulso ad altre strategie di economia circolare quali il prodotto come servizio e le pratiche di riparazione e riutilizzo. Durante il Circular Economy Stakeholder Forum a Bruxelles, Materia Rinnovabile ha intervistato KÄ�stutis Sadauskas, Direttore del DG Ambiente della Commissione europea, che ha seguito molto da vicino i negoziati sul Pacchetto.

 

Quali sono le principali caratteristiche di questo nuovo Pacchetto per l’economia circolare?

“Si tratta di una revisione della legislazione sui rifiuti. E anche se i rifiuti rappresentano solo una parte dell’economia circolare, senza soluzioni dirette non può esserci economia circolare. Il pacchetto è ottimo, lungimirante, ha obiettivi ambiziosi ma anche più limitati specifici, sulla gestione dei rifiuti. Per esempio, rivede la metodologia sul calcolo del riciclaggio: la semplifica e l’armonizza. In questo modo è possibile capire con sicurezza che cosa viene riciclato, e in quale quantità. Prima del CEP c’erano quattro metodi di calcolo in 12 diverse combinazioni, cosa che rendeva impossibile fare paragoni fra un Paese e l’altro. 

Stiamo poi rafforzando uno degli strumenti di mercato di maggior successo per l’economia circolare: la responsabilità estesa del produttore. È provato che si tratta di uno strumento potente, ma deve essere migliorato. Cosa abbiamo proposto nel nostro progetto di legge? Che è necessario incrementare la trasparenza, la responsabilità e la verificabilità, e collegarle alla circolarità. Questi sono i requisiti generali che abbiamo proposto di inserire nella legge, e poi dipenderà dagli stati membri come declinarla o applicarla a seconda della loro realtà specifica, ma i principi generali devono essere rispettati. I produttori che partecipano pagano una quota, e hanno il diritto di sapere dove vanno i loro soldi e che questi vengono usati in modo appropriato: è proprio quello che stiamo cercando di fare attraverso la responsabilità estesa del produttore. La raccolta dei rifiuti organici è un altro elemento fondamentale che è stato trascurato a lungo ed è molto problematico, perché questi rifiuti rilasciano CO2 e altre sostanze gassose simili. È una perdita di materiali preziosi, che possono essere compostati o usati come fertilizzanti, se ne possono fare molti usi positivi.” 

 

Avremo più “materia rinnovabile” a disposizione per produrre nuovi materiali o energia?

“Generalmente i materiali hanno molto meno valore dell’energia, che è come l’ultima goccia che strizziamo da un limone, ma quello che noi vogliamo è il succo, le vitamine, la fibra. Quindi ci saranno molte cose lungimiranti che ci semplificheranno la vita, ma allo stesso tempo bisognerà orientarsi verso una maggiore circolarità. Ciò creerà più benefici per gli operatori economici, che godranno di maggiori certezza negli investimenti: sapranno che in Europa si riciclerà di più e si useranno meno le discariche, e quindi ci saranno nuovi materiali sul mercato.” 

 

Ci saranno anche più fondi messi a disposizione dall’Europa per le imprese circolari?

“Ci sono già: gli Stati membri, le regioni e gli operatori possono scegliere di utilizzare i fondi già disponibili, che si tratti di fondi di coesione, o internazionali, o di sostegno: sono tutti utilizzabili.

La questione è se gli Stati membri e tutti coloro che hanno diritto a fare richiesta di fondi vogliono cercare di ottenerli e utilizzarli nel campo dell’economia circolare piuttosto che per qualcos’altro. Dipende da loro, i fondi ci sono. Secondo me investire nell’economia circolare è un’ottima scelta, perché comporta soluzioni di lungo termine che possono creare posti di lavoro, far crescere l’economia, rendere tutto più sostenibile e aumentare la competitività europea. L’economia circolare può proteggere la base industriale in Europa e favorire specialmente le regioni più in difficoltà che hanno una forza lavoro poco specializzata, aiutandole a mettersi in gioco e creare qualcosa di nuovo. Quindi offre davvero una serie di vantaggi, è un ottimo investimento. Spero che chi riesce a ottenere i fondi abbia la saggezza di investire veramente in soluzioni intelligenti.” 

 

Il CEP ha sollevato interesse negli Stati Uniti o in Cina? 

“Assolutamente sì. Posso confermare che c’è un grande interesse a livello internazionale, sicuramente in Cina, in molti paesi dell’Asia, in Nord America, Canada, Africa e America Latina. La Commissione europea organizza missioni per l’economia circolare in tutto il mondo. Le aziende europee incontrano autorità di diversi Paesi come Cile, Iran, Sud Africa, Cina, Colombia, Indonesia, India e Messico. Paesi che vogliono adottare queste soluzioni. In questo modo noi offriamo soluzioni e allo stesso tempo apriamo mercati per i produttori europei.”

 

Che aspetti sono carenti nel pacchetto, che altro bisognerebbe fare? 

“Il piano d’azione attuale deve essere completato, e c’è molto da fare sulle politiche sul prodotto. Abbiamo un nuovo piano di lavoro per l’ecodesign, che dobbiamo sviluppare. Dobbiamo usarlo molto responsabilmente, ma ha molto potenziale. La nuova legislazione sui rifiuti e lo schema di Responsabilità estesa del produttore incentiverà una migliore progettazione per la circolarità, ossia per la prevenzione dei rifiuti, e ciò avrà un impatto sui prodotti. Anche l’attuazione della normativa sulle sostanze chimiche avrà un suo impatto sulla progettazione e sui prodotti, sui metodi di produzione e sui materiali scelti. Quindi abbiamo già abbastanza carne al fuoco, abbiamo strumenti sufficienti. Quello che ci ripromettiamo di fare è di considerare questi strumenti nel loro insieme per renderli più coerenti e vedere se è possibile raggiungere risultati ancora migliori. Se ci sono delle lacune e se ci sono altre cose che occorre fare.”

 

Durante la conferenza degli stakeholder si è discusso molto della questione della plastica. Perché è così importante e quali passi intraprenderà la Commissione in futuro?

“Questa problematica è affrontata nella Strategia UE per la plastica, un documento complesso che ha stabilito importanti obiettivi. Entro il 2030 tutti gli imballaggi in plastica che entreranno sul mercato europeo dovranno essere riutilizzabili, o riciclabili in modo efficace rispetto ai costi. Noi la vediamo così: la plastica è un materiale indispensabile, non possiamo vivere senza, e ha reso la nostra vita più semplice e comoda. La plastica è un materiale facile e conveniente. Sfortunatamente non è biodegradabile e questo costituisce un enorme problema ambientale. Dobbiamo assicurarci che venga raccolta e riciclata, evitando che l’ambiente subisca danni, controllando le microplastiche. Dobbiamo anche rivolgerci alla bioeconomia per il problema della plastica. Ci sono grosse opportunità, ma dobbiamo stare attenti a non prendere decisioni di cui potremmo pentirci in seguito.”

 

Dobbiamo passare ad altri materiali e cercare di sostituirla quanto possibile?

“Dipende dal tipo di plastica. Ci sono plastiche contaminate da metalli pesanti che non erano proibite quando sono state prodotte, ma adesso lo sono. In questo caso è necessario smaltirle in sicurezza e sostituirle con qualcosa di più sicuro e migliore. Gli altri tipi di plastica devono essere recuperati e raccolti nel modo giusto, e re-immessi nell’economia. Penso che riducendo la propria dipendenza dalla plastica l’Europa vedrebbe diminuire la propria dipendenza dall’importazione di combustibili fossili e materie prime.”

 

Data la crescente complessità del mercato in questione, e grazie anche al CEP, è necessario pensare a una sorta di passaporto per i materiali per assicurarsi delle loro origini?

“Idealmente si, è necessario conoscere la provenienza dei materiali. Dobbiamo essere assolutamente certi che ci stiamo rifornendo da aziende responsabili, che non stiamo importando legname ricavato deforestando la giungla, o che i materiali non sono stati prodotti attraverso lo sfruttamento del lavoro minorile. Il problema è però come sia possibile farlo. L’aspetto fondamentale consiste soprattutto nel monitorare le sostanze chimiche, sapere da dove provengono, quante sono, quali sono i loro effetti. Se avete dei rifiuti contaminati da sostanze chimiche tossiche, nessuna azienda che si occupa di riciclaggio vorrà prenderli in carico, perché poi non potrà rivenderli una volta riciclati. Bisogna assicurarsi che sia possibile conoscere la composizione dei rifiuti: si deve poter risalire alla fonte. Le misure tecniche sono molto, molto complesse: come si possono identificare e tracciare migliaia di flussi in milioni di diverse catene di valore? Dobbiamo trovare una soluzione che sia smart ed economicamente fattibile. Per esempio la tecnologia digitale potrebbe essere uno degli strumenti per riuscirci. Ma è fondamentale costruire un mercato per le materie prime riciclate, con la certezza che si tratti di materiali di qualità che possono essere utilizzati per produrre beni di consumo che siano sicuri, di buona qualità, prodotti in modo continuativo e convenienti, così che possano essere competitivi sotto tutti i punti di vista.”