Chris Patermann è considerato il padre della bioeconomia europea ed è tuttora una figura centrale nella comunità mondiale della bioeconomia. In questa intervista esclusiva, a dieci anni dalla prima strategia di Bioeconomia lanciata dalla Commissione Europea, parla delle nuove sfide che stiamo affrontando per realizzare una nuova economia basata sulle risorse biologiche.

chris patermann at bis

Sono passati dieci anni dalla prima strategia europea di bioeconomia. Quali passi avanti sono stati fatti fino ad oggi?
Noto molti interessanti passi avanti negli ultimi dieci anni, ad esempio molto importante è stato l'aggiornamento della strategia sei anni dopo, nel 2018. Questa strategia e un piano d'azione aggiornati saranno secondo me decisivi per la sua continuazione, attuazione e visione.
L'aggiornamento si concentra in modo impressionante su nuove tendenze come la digitalizzazione e l’Intelligenza Artificiale, sottolinea ancora di più l’importanza dei limiti planetari e della biosfera, fa riferimento al ruolo crescente delle regioni come fattori trainanti per il futuro e mette in evidenza il ruolo ancora ampiamente sottovalutato delle regioni urbane e periurbane come volano per la bioeconomia.
Inoltre, vedo buoni progressi nello sviluppo delle bioindustrie in Europa; BBI e BIC costituiscono veri casi di successo e gli altri continenti invidiano l'Europa per questo. Sono lieto che Circular Bioeconomy Europe (CBE) continuerà questo processo, anche se avevo auspicato una maggiore velocità nei processi decisionali, guardando anche a ciò che i "competitori amichevoli" negli Stati Uniti e in Asia stanno pianificando in questo settore.
E, ultimo ma non meno importante, il numero di strategie nazionali e regionali in Europa, purtroppo ancora con l'eccezione dell'Europa orientale, è aumentato in modo impressionante. Osservo tuttavia con una certa preoccupazione la crescente complessità di regole, strategie, impatti delle iniziative collaterali che a volte sembrano non essere così ben coordinate come dovrebbero, per accompagnare e influenzare lo sviluppo delle bioeconomie in Europa.
Questa complessa rete di questioni è ben descritta in un ottimo documento di sintesi pubblicato di recente dal CEFIC: il report illustra le enormi potenzialità di una bioeconomia per le industrie chimiche in Europa che rimangono ancora ampiamente sconosciute e potrebbero anche essere ostacolate in futuro da queste complessità. Ciò rappresenta una vera sfida, forse addirittura una minaccia per lo sviluppo concreto del concetto di bioeconomia. Ma sono ottimista sul fatto che nella competizione già oggi visibile tra le strategie mondiali per far fronte al futuro del nostro pianeta, il concetto di economie biobased, con le biotecnologie come driver tecnologico primario ma non esclusivo, troverà il suo meritato posto, grazie a suoi indubbi punti di forza, che spaziano dalla rinnovabilità alla circolarità all'innovazione. Ma questi vantaggi devono essere davvero spiegati e “venduti” bene!

Si parla molto del Green Deal e della transizione ecologica, ma poi in sostanza sembra esserci ancora una forte prevalenza degli interessi dei produttori di combustibili fossili nelle decisioni politiche di tutto il mondo. Cosa fare per un vero cambio di paradigma economico e sociale nell'Unione Europea?
Domanda molto difficile. Le potenzialità dell'Ue sembrano piuttosto limitate: gli interessi sono troppo diversi tra gli Stati membri, anche tra le regioni. Il concetto del Green Deal potrebbe essere un punto di svolta in questo senso e gli Stati membri e le regioni assumeranno un ruolo guida complementare. Ma a parte questo, dobbiamo allo stesso modo unire le forze per dimostrare che non è solo l'Europa a praticare il Green Deal: si tratta di un impegno globale per tutti i continenti. Molti scienziati affermano con ragione che le risposte alle sfide planetarie possono essere fornite solo su scala planetaria. Le possibilità di persuadere i nostri vicini continentali in questa direzione potrebbero essere migliorate se si considera l'impatto planetario della pandemia. La Comunità Europea dovrebbe anche avviare una simile iniziativa globale parallelamente al nostro Green Deal europeo, ma senza assumersi il ruolo insegnante, piuttosto come vicino amichevole! E qui vedo un'opportunità molto interessante per la diffusione della bioeconomia, guardando al recente forte aumento di nuove strategie nazionali e piani d'azione, ad esempio in America Latina (Costa Rica, Uruguay, Colombia, Stato brasiliano del Para in Amazzonia). Gli Stati Uniti e il Canada come giganti della biomassa potrebbero, anche all'interno dell'emisfero occidentale, essere più attivi: il primo aggiornando la sua strategia ormai vecchia di 10 anni, e il secondo arrivando finalmente a una strategia nazionale. Questo vale anche per la Russia e la Repubblica Cinese, che molti anni fa erano state più attive nelle iniziative biobased.
Un'ultima osservazione su questo tema della globalizzazione e del multilateralismo: a livello multinazionale, la bioeconomia non ha ancora trovato la sua sede istituzionale strategica, la sua Global Home: UNEP, UNIDO, FAO, OCSE, G-20 o qualcosa di nuovo, un consorzio di organismi internazionali per ospitarla a livello globale. Penso che sia anche il momento di riflettere su tale possibilità, prendendo a modello il discorso sui cambiamenti climatici e il modo in cui si è fatto strada negli organismi internazionali come la Conferenza delle Parti. Un processo simile acuirebbe l'attenzione e l'interesse in tutto il mondo su un uso maggiore e sostenibile delle risorse biologiche come fondamento di nuovi concetti per il futuro.

Gli effetti del cambiamento climatico sono molto evidenti in tutta la loro portata distruttiva: le inondazioni in Germania la scorsa estate, la siccità nel Sud Europa, senza dimenticare l’alluvione che ha colpito la Sicilia a fine 2021. Quanto è importante avere un'Unione Europea coesa per affrontare la sfida del cambiamento climatico?
La risposta è semplice: è molto importante! Visto che, è un dato di fatto, i cambiamenti climatici e gli eventi meteorologici estremi ignorano i confini nazionali. I bambini a scuola lo imparano già nelle classi primarie!

Data la situazione attuale, quanto è fattibile l'obiettivo della neutralità climatica entro il 2050 secondo lei?
Guardando a quanto sono cambiate le condizioni di vita dall'inizio degli anni Novanta del secolo scorso, credo sia possibile. Per me il fattore chiave abilitante per raggiungere quella data sarà la Responsive Innovation, applicata a livello globale e il più inclusiva possibile. E, ultimo ma non meno importante, che possiamo permettercela nel senso più largo del termine.

Articolo apparso su Il Bioeconomista